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La porta si chiude dietro di me: un tonfo assordante.

È normale sentirsi come un topo preso in trappola?
Sì, e mi ci sono fiondato con le mie stesse mani, un tuffo in avanti senza prima studiare il maledetto percorso.

Resto fermo e alterno il peso da un piede all'altro, l'attenzione saetta su ogni dettaglio, anche il più insignificante, però non li assimilo davvero; passano di fronte a me privi di persistenza e scivolano dalla mia mente in un secondo.
Il profumo forte dei fiori trattenuti in un vaso di vetro mi fa quasi starnutire, sento il naso pizzicare in modo doloroso e gli occhi velarsi di lacrime lievi.
Di colpo fisso l'orologio appeso alla parete. Produce un ronzio basso e costante, le lancette scorrono lente, il disegno impresso dietro di loro ricorda vagamente un cavallo stilizzato.
Deglutisco, mentre mi sembra di scorgere la figura dell'animale ridermi contro, i denti sporgenti ben visibili.

Mi manca l'aria.

Amelia è scomparsa oltre il corridoio, inglobata da un silenzio tombale, a parte il fastidioso ticchettio del tempo che scorre con una pigrizia assurda.
Provo la pressante sensazione di essere stato appena chiuso in una scatola, le pareti avanzano verso di me in un crudele gioco di fantasia. Rammento senza volere un episodio della mia infanzia, quando, per caso, trovai un rospo nel giardino di un compagno di classe. Sistemammo il poveretto all'interno di un contenitore di cartone forato per lasciarlo respirare, un vecchio coperchio di una vaschetta di gelato finito da chissà quanto accanto a lui, colmo d'acqua per rinfrescarlo. Quello stesso pomeriggio lo liberammo nei pressi di un fiumiciattolo non molto lontano. Tuttora, non riesco a spiegarmi come fosse giunto fin lì; eravamo distanti dalla sua casa d'origine, davvero molto.
Come deve essersi sentito dopo aver ottenuto di nuovo la libertà? Lo ricordo zampettare titubante e nascondersi nel fogliame, grato di essere tornato nel proprio ambiente.
In questo momento mi sento proprio come lui, ma l'unica differenza è che nessuno giungerà in mio soccorso per sollevare il coperchio della scatola gridandomi di fuggire.

«Damien?» Amelia mi chiama, presumo, dalla sua stanza. L'immagine del rospo si infrange a terra con un sussulto e, colto alla sprovvista, boccheggio un paio di respiri privi di fondamenta.
Serbavo ancora la speranza di non essere davvero qui.
Illuso.

«Ti serve qualcosa?» rispondo controvoglia, i piedi ancorati saldi alla mia postazione sicura. Mi sto quasi abituando al vago perimetro esplorato, potrei quasi iniziare a sopportare l'orologio e il cavallo ridente, i miei due unici compagni di sventura.

«Puoi accomodarti nel soggiorno, è la porta poco più avanti. Arrivo subito.»

Scruto il mio abbigliamento con occhio critico così come il lieve alone sotto le scarpe, segno dell'umidità rilasciata dalle suole di gomma. Dovrei togliermi di dosso gli abiti umidi di pioggia, prima di prendere un malanno e di riempire la sua casa di orme bagnate. Azzardo un coraggioso tendere del collo verso sinistra e intravedo la cucina, quindi il soggiorno si troverà certo dall'altra parte.

Qualora dovessi compiere il primo passo, non avrei altre vie di fuga. Prendo un bel respiro e mi concentro: Damien, elabora un piano.
Scarto diverse opzioni, un paio non sembrano malaccio nella teoria, però si rivelano fallimentari se messe in pratica, e alla fine giungo a una sola conclusione: prendere il telefono, fingere una conversazione con mio fratello e scusarmi dell'improvviso contrattempo. Ho stilato un ritratto preciso persino del mio sorriso colmo di scuse e l'imbarazzo nel doverla lasciare in questa situazione complicata.
Nel frattempo il mio pensiero vola oltre, scavalca l'ottima riuscita del piano e si evolve, portandomi a desiderare di lasciar trascorrere almeno un'oretta dal mio rientro in casa e, uscito di soppiatto, passare in biblioteca: leggere qualche libro di certo scaccerà la tensione accumulata. Quale scusa migliore da aggiungere alla pietanza prelibata di bugie, poi, quella dell'aver bisogno di un cambio per i miei abiti zuppi?
Perfetto, non fa una piega; non resta che mettere in scena il teatro.

Il viso raggiante di Amelia squarcia la mia visuale e intercetto gli asciugamani piegati tra le sue braccia, e anche quelli che hanno tutta l'aria di essere vestiti.
Dannazione, ha fatto troppo in fretta! Pensavo di avere più tempo per stilare il copione, o che il dolore alla caviglia in qualche modo la rallentasse. Invece mi sono perso nel labirinto dei pensieri e lei è riuscita a farla franca, ancora una volta.

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