<30> Tempo fa.

2.9K 125 65
                                    

Da quanto sono sveglio? Forse un paio d'ore nemmeno, eppure mi sembra di non essermi mai messo a dormire, le palpebre spalancate e nessuna traccia di uno sbadiglio in lontananza.
L'alba è sorta da tempo, eppure il solito gallo, intento a cantare ogni nota esistente nel suo repertorio, si sente ancora.
Mi sono sempre chiesto perché nei cartoni animati facessero svegliare l'animale sempre alla stessa ora per tirare su il malcapitato di turno, quando nella realtà non è affatto così e non tutti gli esemplari sono uguali. Infatti, credo di aver letto una notizia sul loro orologio biologico e sulla possibilità di cantare anche dopo un certo orario, tuttavia non ne sono sicuro e non andrò a cercare di nuovo la notizia.

Sospiro sconsolato e mi alzo, scostando di lato le coperte. Sebbene sia ancora autunno, il freddo ha deciso di anticipare il suo arrivo, e mi ritrovo a rabbrividire una volta posati i piedi nudi a terra.
Spazio gli occhi sulla stanza, incapace di soffermarmi su nulla in particolare. Fuggo via da ogni dettaglio, rifiuto di concentrarmi e dare pace alla mia attenzione traballante.
Sento il vuoto nel petto, questo sì che attira il mio interesse, ma non è più una novità eclatante: è così da qualche anno, ormai, e il niente è entrato a far parte dei miei giorni, l'amico peggiore mai avuto.
Chiudo le palpebre, le strizzo forte e scaccio via i brutti pensieri dalla mente, proprio come mi costringo a fare da quando mio padre è morto.
Sarò in grado di andare avanti, oggi? Salterò la fase della tristezza e aprirò un barlume di colore nella coltre grigia delle mie giornate?
Sussulto impreparato nel sentire un bussare pesante contro la porta della stanza.

«Damien, è ora di alzarsi! La scuola non aspetta nessuno.»

La voce di Jason squilla forte e percepisco una nota di fretta nel suo tono, forse un tentativo di trasmetterla anche a me, senza successo.
Riapro gli occhi e resto per qualche istante fermo, svuotato e appassito.
La scuola.
Non vorrei proprio andare.
A cosa serve? Al suo interno ci sono solo sconosciuti sempre pronti a salutare il prossimo, a sbattermi in faccia la loro stupida felicità unita a sorrisi ai quali, però, non ho neppure voglia di rispondere.
Io, non sono più come tutti, e provo invidia nei confronti di chi non ha mai passato niente di disastroso, di chi continua ad andare avanti nonostante il mio lutto eterno.
Le lezioni, poi, sono noiose e inutili, e non mi porteranno da nessuna parte.
Se potessi restare qui sdraiato sarebbe perfetto, il bozzolo di calda commiserazione attorno alla mia anima sfigurata. Sospiro lento e sconfiggo il mio carattere ostinato, mandando segnali eloquenti al corpo fino ad alzarmi con uno sbuffo.

Esco nel corridoio, mi dirigo verso il bagno ed eccolo lì, lo specchio colpevole di vendere ai miei occhi il riflesso di ogni mattina: ho lo sguardo assonnato, i capelli arruffati e le occhiaie pronunciate.
Passo un dito sulla curva storta del naso, sfioro la punta e arrivo alle labbra, dove alle estremità infilo i polpastrelli e le muovo verso l'alto. Quando le lascio, tornano inevitabilmente in basso a produrre una curva perfetta.

Sono la copia distorta di me stesso.
Cosa mi impedisce di attardarmi sul ciglio di un cavalcavia, uno molto alto e magari solitario, e spingermi al di là di una barricata tremolante?
Andrebbe bene anche un balcone rialzato, un qualunque strapiombo, qualcosa di definitivo a cui supplicare la parola: fine.
Ascolto la voce di mio fratello chiamare il mio nome per l'ennesima volta e l'immagine allettante vola via, sostituita dalla tiepida verità di non avere abbastanza coraggio per commettere un simile atto.
Lavo il viso, trattengo il respiro per una manciata di secondi e lo rilascio lento, le goccioline schizzano il vetro, però non le pulisco e le lascio colare verso il basso.

«Puoi farcela, Damien. Sei un ragazzo che ha ancora una lunga vita davanti a sé.»

Ripeto ad alta voce le parole del mio psicologo, anche se, in questo momento, non suonano per nulla confortanti.
Tornato nella stanza indosso un paio di jeans neri stretti, un maglione di lana color avorio sopra a una maglia lunga e una sciarpa pesanti a quadri.
Sarò esagerato, ma non ho voglia di prendere un malanno.

DestinoWhere stories live. Discover now