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Ho inforcato le cuffiette il più in fretta possibile e alzato il volume della musica talmente tanto, da farmi dolere le orecchie.
Non sposto l'attenzione dalle linee tratteggiate sulla carta per timore di incontrare quella di Amelia.
Possibile che una singola ragazza sia stata in grado di turbarmi così tanto?

Muovo la matita sul foglio e provo a fare di tutto per concentrarmi.
Architettura.
L'ho sempre detestata, e adesso sto decisamente dando il peggio di me; mi è difficile persino tirare una riga dritta.
Calmo, Damien.
Mi viene quasi da ridere. Quante volte mi sarò già imposto di calmarmi? Venti o trenta volte.
Non so, ho perso il conto.

Alzo lo sguardo quando ascolto la porta della classe aprirsi, e finalmente scorgo la figura di Daniel. Si sta tamponando il naso con un fazzoletto un tempo bianco, ma ormai del tutto rosso.

«Daniel.» Il professore lo fissa da sopra i suoi occhiali a tartaruga. «Pensavo non saresti più arrivato.» Imperturbabile, sebbene la situazione particolare.

Il mio amico sorride affabile. «Ha ragione, però il preside non voleva proprio mollarmi, troppo intento con la sua ramanzina. Ma tranquillo, prof, so che ha sentito la mia mancanza, ed è per questo che sono qui» conclude e strizza l'occhio, quello non contornato da un livido scuro.

L'insegnante si limita ad alzare un braccio e a indicare il posto vuoto accanto al mio.
Lo odia, si vede lontano un miglio.
Be', odia tutti gli alunni, in realtà, quindi è difficile dire se la sua avversione per il mio amico è più o meno quella riservata al mondo intero.
Daniel si siede e tira un sospiro di sollievo, buttando la cartella sul banco.

«Non ci pensa già tuo padre a ridurti così? Come mai ti fai sempre pestare più del dovuto?» gli domando a mezza bocca, senza tuttavia staccare gli occhi dal mio disegno.

«Dami, se ci andassi piano, nessuno crederebbe che questi me li sono procurati con una semplice rissa» risponde in un sussurro tirando fuori l'astuccio monocolore.
Ha ragione, anche se non approvo la sua scelta, ma come dico sempre: ognuno trova il proprio modo per affrontare i problemi.
Dopo neppure una manciata di minuti, le ragazze sedute ai banchi di fronte si voltano.

«Daniel, quei lividi ti rendono affascinante.» Una delle due gli fa l'occhiolino.

Come riesce a fare conquiste anche con quella faccia? Mistero.

Lui sorride, mostrando la sua smorfia da ragazzaccio. «E non mi impediscono di fare ciò che devo, quando serve. Giusto, ragazze?» Ridono tutti e tre, complici di un pensiero comune.
Dal canto mio, faccio per rimettermi le cuffiette, però Daniel le tira via in fretta, chiudendo l'accesso al mio mondo chiuso.

«Allora, cos'è successo con Amelia?» La indica con un accenno del mento. Cavolo, credo di essere sbiancato, perché lui sgrana le palpebre mettendo meglio in mostra le sue iridi verde chiaro.

«Non avrai per caso rovinato questa occasione come al tuo solito, vero?» dice a denti stretti chinandosi sul banco, nascondendosi alla vista del professore per poter chiacchierare.

Centrato in pieno.

Cosa si aspettava? È il mio modo di fare, e questa volta non potevo comportarmi diversamente.
Scuote la testa. «Cavolo, Dami, non cambi mai. Le avrai spezzato brutalmente il cuore, proprio come hai fatto con ogni altra ragazza caduta nelle tue grinfie» commenta, storcendo la bocca.

Sta facendo tutto da solo, ed è sempre troppo teatrale. Cosa posso aggiungere per smentire le sue parole?
Mi conosce meglio di chiunque.
Il vero problema è ammettere che Amelia non è disposta a mollare.
Sono sicuro che, Daniel, farebbe i salti mortali pur di lasciarci di nuovo assieme, e io non voglio assolutamente passare una giornata come quella di ieri.
Vedo lo sguardo del mio amico passare da me, a lei.

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