Il prezzo di un applauso

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Sciolsi i lacci delle scarpette.
La situazione delle dita era ben più drammatica di quanto pensassi: la pelle era lacerata e sanguinante in più punti.
Uscii dalla scuola di danza, con l'autostima sotto quello che era rimasto dei piedi, martoriati da lividi ed escoriazioni.
I muscoli erano talmente indolenziti e tremanti che dubitavo sarebbero riusciti a reggere il mio peso fino alla fermata della metro.
Il dolore maggiore però, non era di certo quello fisico.
Mi sentivo in colpa per Riccardo.
Non riuscivo a togliermi dalla testa il suo sguardo triste, quegli occhi sofferenti e segnati, la voce spezzata.
Non mi meritavo di essere amata a tal punto da una persona.
Cercai di ricacciare indietro le lacrime, senza riuscirci.
"Chiara!"
Alle mie spalle udii la voce dell'ultima persona che avrei voluto vedere in quel momento.
Continuai a camminare, fingendo di non aver sentito: magari avrebbe creduto di essersi sbagliato.
Invece di desistere, mi affiancò.
"Chiara, non far finta di non conoscermi!"
Mi voltai verso di lui, con il volto e la maglietta inzuppati di lacrime.
"Cos'è successo?"
Quasi gridò, a quella vista.
"Niente"
Risposi continuando a camminare con passo malfermo, a causa dell'intenso dolore ai piedi.
Lorenzo mi trattenne per il braccio.
"Chiara, cos'è successo?"
Ripeté a voce più alta, ma io lo ignorai.
"Ok, lasciamo perdere. Ti porto a casa."
"Ci vado da sola."
"Riesci a malapena a stare in piedi, piangi come una fontana e la metro è a 700 m da qui. Non vai da nessuna parte da sola."
"Ce la faccio benissimo."
"Non ce la fai!"
Rispose sollevandomi come se pesassi pochi grammi.
Urlai e mi divincolai, ma non servì a nulla.
Qualche minuto dopo ero sulla sua auto.
"Adesso mi spieghi cos'è successo."
Disse perentorio, porgendomi un fazzoletto.
"Niente"
Alzò gli occhi al cielo.
"Una persona a cui non è successo niente, secondo te, vaga per la strada zoppicando e piangendo?"
"Tornavo dalla lezione di danza. Mi fanno male i piedi. Fine della storia.
Tu cosa ci facevi qui, piuttosto?"
"Tornavo dalla palestra.
Non sapevo ballassi, comunque..."
"Lo faccio da quando ero molto piccola."
"Cosa balli?"
Chiese interessato.
Eravamo ancora fermi nel parcheggio.
"Danza classica.
Sai, per me non è un semplice sport.
È un'arte. Ti permette di raccontare una storia, esprimere un'emozione, un sentimento, solo attraverso il corpo, le sue linee, i suoi volumi.
È come dipingere usando tutte le tonalità della musica.
Ad ogni nota, ad ogni pausa, corrisponde un colore.
Non devi fare altro che imparare a vederlo, a sentirlo e indossarlo.
Poi è l'anima a fare tutto il resto."
Feci una breve pausa, poi ripresi, mantenendo lo sguardo fisso sulla strada.
"Credo che sia stata la danza a rendermi la persona che sono.
Quando sei sul palco, non vuoi far sapere a nessuno quanto ti sia costato quell'applauso.
Il pubblico vede solo la leggiadria, il volto sorridente.
Non hai mai sentito l'odore del legno della sala prove.
Non conosce la disciplina, la severità dell'insegnante, il dolore, le gambe che cedono.
Non ha mai visto i propri piedi sanguinanti, con le unghie livide e le dita piene di vesciche.
Crede che il talento più grande sia eseguire coreografie complesse, spaccate, salti... ma il vero talento è farlo senza che nessuno si accorga di tutto quello che c'è dietro.
Ed è quello che cerco di fare anche nella vita.
Con i miei genitori, principalmente.
Forse hai ragione a darmi della snob so-tutto-io."
Perché mi stavo esponendo così tanto?
Mi avrebbe presa in giro a vita .
"Credo che non sia stata la danza a formare il tuo carattere, ma che tu abbia bisogno della danza per continuare a mantenere questa facciata.
Ma sono certo che se la lasciassi cadere, ti sentiresti meglio.
Magari i tuoi sono troppo severi, ma il palco non è la vita vera.
Sono proprio le loro debolezze a rendere speciali le persone."
Non solo non scoppiò a ridere, ma disse proprio quello che non avevo il coraggio di ammettere.
Mi nascondevo dietro alla facciata della ragazza con la vita perfetta, la famiglia perfetta, celando anche a me stessa quello che sentivo.
"Mi ha molto colpito la cosa del 'dipingere con la musica'.
Una volta suonavo il piano."
Mi confessò.
"Suonavi?"
"Si, ho smesso."
"Posso chiederti il perché?"
Chiesi con timore, intuendo dal suo tono quanto fosse importante e doloroso parlarne per lui.
"Suonavo con mia madre.
Era stata lei a insegnarmi, non sapevo ancora nemmeno leggere quando mi diede in mano il primo spartito.
Da quando è morta, non sono più riuscito a suonare."
"Mi dispiace."
Cambiò discorso.
"Ora però voglio sapere perché piangevi.
C'entra Riccardo, vero?"
Una nuova lacrima mi rigò il viso.
"Non me lo merito.
Mi odio.
Sono una stronza apatica, non ho saputo dargli niente, non sono capace di amare, mentre lui mi ama al punto di rinunciare a me perché io sia felice."
La reazione di Lorenzo mi sorprese.
Prese un fazzoletto pulito e mi asciugò il viso, poi mi accarezzò dolcemente la guancia.
"Non è colpa tua. Non possiamo scegliere chi amare."
Disse più rivolgendosi a se stesso, che a me.
"Ti porto a casa o preferisci aspettare ancora un po'?"
"Meglio andare, si è fatto tardi."
"Ok."
Per tutto il tragitto, rimanemmo in
silenzio.
"Chiara, comunque, mi dispiace per come mi sono comportato con te e per tutto quello che ti ho detto."
Sorrisi.
"Grazie, di tutto."
"Figurati, a domani."

Ho visto mani perdersi per paura di stringersiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora