Cobalto

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Seduta sullo scomodo sedile del treno, dopo essermi calmata, ripensai a come era cominciato tutto.
E' davvero strano come la nostra mente riesca a ricordare con tanta accuratezza istanti apparentemente irrilevanti che hanno invece fatto un'enorme differenza.
Quella mattina di settembre, mentre mi preparavo ad affrontare il primo giorno di scuola, non potevo minimamente immaginare come, da lì a poco, la mia vita sarebbe cambiata radicalmente.
Sapevo che quello non sarebbe stato un anno come gli altri.
Era l'ultimo di anno di Liceo, il che significava che avrei dovuto affrontare i temutissimi esami di maturità, la scelta dell'università, con i relativi test d'ingresso e il peso di responsabilità che non mi sentivo assolutamente pronta ad assumermi.
I miei genitori si aspettavano che facessi il medico, come mio padre e suo padre prima di lui, e suo nonno ancor prima...
Sin da piccola mi immaginavano con il camice bianco ed uno stetoscopio in mano seduta sulla poltrona costosissima e dal forte odore di cuoio dello studio di famiglia, intenta a diagnosticare chissà quale rarissimo morbo.
Non che non mi piacesse la medicina, anzi, mi affascinava molto... ma la mia vocazione era la danza.
Sin da quando avevo 5 anni, indossavo le scarpette e costringevo Greta, la mia migliore amica, a sedersi per ore sulle mie caviglie, mentre giocavamo, perché desideravo un collo del piede da vera ballerina.
Avevo insistito talmente tanto che alla fine mio padre aveva acconsentito a montare una sbarra e uno specchio in camera mia, in modo che potessi esercitarmi anche fuori dalla scuola di danza.
Ovviamente per lui non era nulla di serio, qualsiasi bambina sognava di indossare tutù rosa e abiti principeschi.
Tuttavia, nel corso degli anni, quella che era una semplice passione, si era trasformata in un'ossessione: io non volevo danzare, io dovevo danzare.
La mia era una necessità, un bisogno fisico.
Ma non avrei mai avuto il coraggio di deludere i miei genitori, soprattutto mia madre, la quale, avendo dovuto interrompere precocemente gli studi, riponeva in me tutte le aspettative e le speranze che per lei erano ormai vane e disilluse.
Vedeva in me una sorta di riscatto, di rinascita.
Avrei smesso di ballare, non sarei andata a quella stupida audizione, mi sarei concentrata sul test di ammissione e sarei entrata alla facoltà di medicina dell'università Vita-Salute del San Raffaele.
Totalmente immersa in quel pensiero, persi la concezione del tempo finché la voce di mia madre mi riportò alla realtà.
'Chiara! Sono le 7.45! E' solo il primo giorno e sei già in ritardo! E' inammissibile' blaterava dalla cucina.
La salutai frettolosamente sospirando e uscii di casa di corsa.
L'ascensore era occupato e io non potevo permettermi di perdere altro tempo, così percorsi a piedi i 3 piani di scale che conducevano fuori dal palazzo dove vivevo, proprio di fronte a Porta Venezia.
In un attimo fui sulla metro, ancora accaldata dalla corsa e lievemente agitata per l'imminente inizio delle lezioni.
Quando finalmente arrivai in classe, tutti i banchi erano occupati eccetto quello in ultima fila, alla sinistra di un ragazzo che non avevo mai visto.
Il sole filtrava dalla tapparella semiaperta donando ai suoi capelli biondi e lievemente mossi i riflessi del grano, dell'oro e del bronzo.
Un morbido ciuffo incorniciava il volto dai lineamenti così delicati e fini da sembrare opera di un cesellatore rinascimentale.
Un leggero accenno di barba sottolineava la mascella perfettamente squadrata.
Indossava una semplice maglietta bianca, che conteneva a fatica le ampie spalle.
Il resto della classe non sembrava curarsi granché di lui che, dal canto suo, era immerso nella lettura di libro di cui, da quella distanza, non potevo distinguere il titolo.
La professoressa Contini si apprestava a fare l'appello, ma prima spese poche parole per presentarci il nuovo compagno.
'Ragazzi, lui è Lorenzo Grimaldi. Si è trasferito qui da poco e trascorrerà con voi questo quinto, e mi auguro ultimo, anno di Liceo'.
I miei compagni ridacchiarono alla battutina della Contini, poi si rivolsero verso Lorenzo con un 'Ciao Lorenzo' collettivo e lievemente derisorio.
Lui alzò appena lo sguardo e rispose con un cenno del capo e un sorriso provocatorio e beffardo.
'Ferrari!' - mi richiamò la Contini – 'Cosa fai ancora in piedi? Vai subito a sederti!' Disse indicando l'unico posto vuoto.
Mi sedetti al mio banco e salutai Lorenzo Grimaldi sfoderando uno dei miei sorrisi più smaglianti.
Lui mi squadrò con espressione impenetrabile, per poi soffermarsi sui miei occhi.
Fino ad allora non avevo notato il particolare tono della sua iride; anche io avevo gli occhi azzurri, ma il mio era un pallido e vitreo azzurrino. I suoi erano di un blu sconcertante, vivo, quasi inquietante. Erano pura energia.
Quello sguardo mi turbò, mi sembrò che quella distesa color cobalto mi avesse inghiottita, fino a raggiungere le zone più profonde del mio io interiore.
Fu la sensazione più intima che avessi mai provato.
Più intima del sesso, o di quello che immaginavo fosse il sesso.
Arrossii fino al midollo.
Sul volto di Lorenzo comparve il solito sorriso beffardo e irriverente.
Senza celare in alcun modo il compiacimento per la mia reazione, mi rispose soffocando una risatina e riprese a leggere, ignorandomi totalmente per il resto della giornata.
Lo odiavo.
Lo odiavo terribilmente.

Ho visto mani perdersi per paura di stringersiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora