|capitolo ventotto.|

4.9K 236 55
                                    

Cho Chang, la ragazza di Harry, era stata così ingenua da accettare sia il tè che i pasticcini della professoressa Umbridge e aveva spifferato tutto.
Tutto.
Ormai l'Esercito di Silente non poteva più riunirsi: la Stanza delle Necessità, al settimo piano, era sorvegliata giorno e notte da qualcuno della Squadra d'Inquisizione.
Harry era nei guai.
In realtà eravamo nei guai tutti noi che avevamo firmato sulla lista dei partecipanti.
Silente, in più, era andato via, piantandoci tutti in asso e permettendo alla megera di aumentare ancor di più la sua influenza sulle faccende di Hogwarts.

Non sto qui ad elencare tutti i possibili insulti verso la professoressa che in quel momento attraversavano la mia testa.
Avrei voluto spiattellarglieli tutti in faccia, ma non potevo aggravare ancor di più la situazione.
Tutti i membri dell'ES tranne Cho erano nella Sala Grande, seduti su dei banchi comparsi dal nulla, a copiare per indeterminate volte la stessa frase su un foglio con penne magiche.
Non avevano bisogno dell'inchiostro. Usavano tranquillamente il sangue della nostra mano sinistra.

Il dolore era lancinante. La pelle veniva incisa piano, pianissimo, con la stessa velocità con la quale scrivevo sul foglio.
Gli occhi stavano per esplodere in un pianto disperato, lo sguardo mi si era annebbiato e il sangue ormai grondava, formando delle piccole macchioline rossastre sul banco.
Erano passate almeno due ore da quando avevamo messo piede nella Sala Grande e la Umbridge non accennava a farci andar via.
Dovevamo aspettare che il messaggio 'penetrasse per bene'. Letteralmente.
Se avessi continuato per un altro po', la mia mano si sarebbe praticamente bucata. Ne ero certa.

Quando la perfida donna ebbe compassione e decise che era abbastanza per quel giorno, fece sparire i banchi e ci permise di andar via.
Appena fuori, nella Sala d'Ingresso, Cho Chang ci stava aspettando, in lacrime, per chiedere scusa.
Invece no. L'unica persona con cui le interessava parlare era Harry, il quale avrebbe preferito non vederla più per il resto dell'anno. Era infuriato.
Infatti, appena lei fece per avvicinarsi a lui, Ron e Hermione, Harry continuò imperterrito a camminare ignorando le chiamate imploranti della sua ormai ex ragazza.

"Ehi." Un paio di mani mi afferrarono per le spalle e mi tirarono.
Mi voltai. Draco era lì, di fronte a me.
"Ciao Draco. Che ci fai qui?" Tentai di sorridergli.
"Ti aspettavo. Dobbiamo concludere un'uscita."
"Oh, hai ragione!"
Iniziammo a camminare verso la panchina, seguendo il sentiero e rivivendo la scena di Goyle che trotterellava.
Draco era fantastico, aveva sempre la battuta pronta e una risata contagiosa.

"Ti stavo descrivendo l'effetto che mi fai." Sorrise lui.
Mi afferrò la mano sinistra e mi sfuggì un gemito di dolore quando, inavvertitamente, strofinò il pollice sulla ferita ancora fresca.
"Come hai fatto a tagliarti così?" Chiese lui, ritirando subito la mano.
"Stavo giocando con Grattastinchi..." Inventai.
Non volevo farlo preoccupare inutilmente. Sarei solo diventata un lamento in più da sopportare.

"E Grattastinchi graffia componendo delle parole?"
"Già, anche io l'avevo notato. Che coincidenza assurda..."
Mi guardò negli occhi ed io, per quanto tentassi, non riuscii a sopportare il suo sguardo e iniziai ad osservare un albero scelto a caso.
"Angel." Scandì Draco. "Dimmi come ti sei procurata quei tagli."

Scoppiai in lacrime, come se fosse utile a sfogare e ad esternare tutta la sofferenza di quelle ore trascorse in Sala Grande.
Oltre ad una tortura fisica, era stata anche una cosa psicologica: non volevo scrivere, ma ero costretta a farlo. Una parte del mio cervello me lo impediva, rendendo il braccio rigido, ma un qualche neurone decideva che dovevo andare avanti, che dovevo farmi male perché quella era la punizione che meritavo.
La testa mi scoppiava, come se qualcuno dall'interno stesse dando dei colpi con un'ariete per sfondarmi il cranio. Esattamente.

Draco aprì le braccia e mi ci fiondai dentro.
Misi la testa nell'incavo del collo, come se fosse il suo posto naturale. E mi accorsi che era vero: quello era il mio posto. Tra le sue braccia.
Magari non con le lacrime agli occhi, ma con un sorriso su entrambi i volti. Magari con il suo mantello asciutto e non bagnato dalle mie lacrime.
Magari con il semplice scopo di star vicini fisicamente e non per consolarci, anche se non mi sarebbe dispiaciuto che fosse sempre lui ad abbracciarmi per farmi star meglio.
E ci riusciva davvero bene a migliorare il mio umore.

Quando non ebbi più lacrime da versare decisi di sciogliere l'abbraccio e di porre fine a quel momento imbarazzante.
"Scusami." Mormorai sfiorando con il pollice la chiazza bagnata che si era allargata sul mantello.
"Non hai ancora risposto alla mia domanda, Angel."
Sbuffai. Avrei preferito non ricordare quella punizione per anni, ma lui mi aveva dato la forza di parlarne. Non potevo stare a piangermi addosso, anche perché mi toccava tornarci il giorno dopo, come se non fosse già abbastanza.

"Questa è la punizione della Umbridge che io e gli altri abbiamo subito."
"Vi ha tagliato sulla mano?" Chiese lui, chiaramente ignaro di cosa avevamo passato.
Ma era chiaro: lui era il cocco della professoressa e faceva parte della Squadra d'Inquisizione. Praticamente era intoccabile.
Risi. Una risata amara, colma di invidia e carica di odio.
Il ragazzo di fronte a me si irrigidì e mi accorsi subito di aver fatto una cosa che non era per niente da me.

"Scusami, Draco." Mi affrettai a dire.
Fu un sollievo vederlo abbandonarsi di nuovo contro lo schienale della panchina, più o meno rilassato.
"I tagli ce li siamo fatti da soli. Scrivendo. Con una penna magica che usa il nostro sangue come inchiostro."
"Ti porto in infermeria."
"E a che cosa servirebbe? Domani devo tornarci, in quell'inferno."

"Mio padre lo verrà a sapere!"
Mi sfuggì una risata, ma non glaciale come la precedente.
Una risata vera, liberatoria. Quella frase era il suo motto. La diceva in continuazione ed era abbastanza ridicolo il fatto che a quindici anni e mezzo lui continuasse a sperare che suo padre facesse qualcosa.
Lavorava al ministero ed era potente, ma non avrebbe mai interferito in ordini che provenivano direttamente dal Ministro della Magia.
Draco si unì alla mia risata, sollevato e, allo stesso tempo, lievemente infastidito dal fatto che lo prendessi in giro.

"Andiamo a cena." Esordì lui, ad un certo punto.
"Non credo di aver fame."
"Ma puoi stare con i tuoi amici. Ti farà bene." Insistette.
"Va bene, va bene."
"Allora ci vediamo." E iniziò ad avviarsi verso il castello.

Lo lasciai avanzare per qualche decina di metri, restando ammaliata da quanto bello fosse vederlo camminare.
Poi, però, i sensi di colpa presero il sopravvento e decisi di corrergli dietro.
"Draco!"
Si voltò con aria interrogativa.
"Grazie." Mi limitai a dire.
Fare inutili giri di parole non avrebbe fatto altro che sminuire l'intensità della parola. Ne sarebbe bastata una sola per ottenere il grado di gratitudine desiderata.

Eppure no, a me in quel momento non bastava nemmeno una parola.
Così mi avvicinai, gli misi le mani sulle guance che, al contatto, iniziarono a tingersi di rosa.
Mi alzai sulle punte per cercare di raggiungere la sua altezza o, almeno, di ridurre i circa 15 centimetri di differenza.
Poi lo baciai sulla guancia. Un bacio leggero, ma che riuscì a farmi raggiungere il mio scopo: fargli capire quanto fosse importante per me.

"Sei un ragazzo fantastico."
"Ti voglio bene, Angel."
"Ti voglio bene anch'io." Sorrisi.
Poi andò via, lasciandomi a metà sentiero ad elaborare cosa avevo fatto, cosa mi aveva detto e, soprattutto, cosa gli avevo detto io.
Gli avevo mentito. Anche lui, in fondo, lo sapeva.
Io non gli volevo bene.
Ne ero innamorata. Perdutamente innamorata.

Hidden words. |Draco Malfoy|Where stories live. Discover now