|capitolo due.|

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"Buongiorno streghetta!"
"Ciao mamma."
Mia madre, Elena, era radiosa anche di prima mattina, e questo era semplicemente ammirevole.
La stimavo tantissimo. Era così diversa da me, nonostante fisicamente fossi la sua fotocopia.
Stessi capelli lisci e castani, stessi occhi verdi, labbra sottili e carnagione pallida.
E tutto il resto diverso.
Lei era sempre solare, felice, saggia e terribilmente intelligente. Non a caso era una fierissima Corvonero.

Io ero impulsiva, con l'umore che cambiava da un minuto all'altro, intelligente, sì, ma la maggior parte del tempo il mio cervelletto decideva felicemente di farsi una passeggiata e di abbandonarmi nelle braccia del panico, dell'ansia, con cui ero costretta a combattere sin dal primo giorno della mia vita.
Combattevo.
Siamo tutti chiamati a combattere una qualche battaglia. E, forse, quella era la mia.

"Angel."
"Buongiorno papà!" Lo abbracciai.
Era l'uomo migliore che avessi mai conosciuto. Ma, dopotutto, è una definizione banale.
Tutte le bambine vedono il loro papà come un eroe, un qualcuno di perfetto.
Ma mio padre lo era davvero.
Era la persona più giusta, leale e coraggiosa che avessi mai incontrato. E, per la mia importanza familiare, ne avevo conosciute di persone.
Era il Tassorosso per eccellenza.

"Pronta?"
"Sono nata pronta."
Non era vero.
Non era per niente vero.
Ero sudaticcia, mi scivolava ogni cosa che cercassi di prendere in mano, come la tazza del tè che mi versai sulle cosce.
Le ginocchia mi tremavano.
Tremavo solo all'idea di andare contro una parete, di salire su un treno di sconosciuti e di passare i successivi quattro mesi in una scuola, da sola, senza i miei genitori come punto di riferimento.
Potevo farcela.

Dieci passi.
Poco più di dieci passi separavano la mia vecchia vita dalla nuova.
Uno.
Due.
E puf, senza nemmeno rendermene conto ero sul binario Nove e tre quarti.
Fumo bianco offuscava il mio campo visivo. Cercai di individuare persone che conoscevo, ma fu veramente difficile.
Avanzai, i miei genitori mi affiancarono e papà mi aiutò a trasportare il carrello con il pesantissimo baule.
Aveva le mie iniziali dorate incise.
A.G.F.

"Piccolina?"
"Sì, mamma?"
"Tieni." E mi porse una gabbietta.
Mi chinai per osservare il contenuto.
Un gufo.
Un gufo grigio dormiva con la testa sotto l'ala.
Gli occhi mi si gonfiarono di lacrime.
Abbracciai mia madre, poi mio padre.
"In questo modo saremo sempre con te."
"Vi voglio tanto bene."
"Anche noi, piccolina."
Il fischio del treno mi riportò alla realtà.
"Ci vediamo a Natale."
E mi allontanai.

A fatica riuscii a caricare il baule nel corridoio di un vagone a caso e, con la gabbia in una mano, cercavo di trascinarlo verso uno scompartimento vuoto ma, per mia gioia, non ce n'erano.
"Ma porca miseria." Borbottai, evidentemente un po' troppo forte.
La porta di uno scompartimento si aprì.
"Serve una mano?" Una testa rossa sbucò dalla porta scorrevole.
"Oh, Fred, sei la mia salvezza."
"Fred? Sono sicuro di chiamarmi George!"
"Ma chi vuoi prendere in giro? Tuo fratello è molto più bello."
"Musica per le mie orecchie!" Urlò George dall'interno dello scompartimento.
Fred si avvicinò per prendere il mio baule, ma non spiccicò parola.
Sapevo di aver toccato un tasto dolente, e andava bene così.
"Se vuoi puoi stare con noi e Lee."
"Ma io non voglio disturb..."
"Lo prendo per un sì!"

"C...ciao."
"Ciao!" Mi salutò allegramente il ragazzo che doveva essere un certo Lee.
"Sono Lee, Lee Jordan."
"Piacere, Lee. Io sono Angel Fudge."
"Fudge? Quella famiglia Fudge?"
"Esatto."
"Figo."
Arrossii quasi sicuramente, perché Fred e George soffocarono una risata.
Erano seduti vicino, e per un occhio estraneo sarebbero stati irriconoscibili.
Ma io avevo imparato a riconoscere Fred dal sopracciglio sinistro e dall'attaccatura dei capelli. Era l'unico modo per distinguerli.

"Avete visto il mio rospo?" Un ragazzo paffuto si affacciò al mio scompartimento.
"No, mi spiace."
"Se vuoi ti aiuto a cercarlo, mi annoio." Mi offrii volontaria.
"Stai dicendo che noi ti annoiamo?" Sorrise George.
"Sarebbe come un Corvonero stupido."
Gli altri annuirono ed io raggiunsi il ragazzo paffutello.
"Come ti chiami?"
"Neville Longbottom. Sono del primo anno."
"Anche io! Sono Angel Fudge."
Lui non mostrò sorpresa. Continuò imperterrito a cercare il suo rospo, che doveva chiamarsi Trevor.

Capitammo in uno scompartimento del vagone dopo.
"Avete per caso visto un rospo?"
Risate isteriche.
Insulti verso Neville.
Una voce già sentita.
Neville mi guardò. Aveva le guance rosse dalla vergogna.
Mi affacciai allo scompartimento.
"Mettiti a dieta, ciccione! E che te ne fai di uno stupido rospo? Io ho un gufo reale. Ma no, non puoi permettertelo. Ma guarda i capelli. Tutti sparati in aria! Hai mai pensato di pettinarti?" Diceva un tizio biondino.
Draco Lucius Malfoy.
"E tu hai mai pensato di usare meno gelatina? Ti sta entrando nelle profondità del cervello. Potresti diventare più stupido di quanto tu non sia già."

"E perché tu non impari a stare alla larga da certi tipi di maghi?" Disse un tipo grosso come una Pluffa.
"Tipo?"
"Tipo famiglie più potenti della tua. Tipo i Malfoy. Scommetto che sei una stupida nata babbana."
Malfoy lo fulminò con lo sguardo. Lui sapeva.
"Mi dispiace contraddirti." Sorrisi, beffarda. Avrei fatto di tutto per togliergli quel non so che di superiorità che aveva.
"E allora dimmi il tuo nome e cognome."
"Nessun problema. Piacere, Angel Grace Fudge."
Sguardi impregnati di panico che mi fecero godere un sacco.
Mimai uno 'scusa' al biondino e andai via da quello scompartimento, portandomi dietro Neville.
Tornai da Fred, George e Lee.

Dovevo iniziare ad indossare l'uniforme.
Mancava una decina di minuti all'arrivo ad Hogwarts.

Hidden words. |Draco Malfoy|Kde žijí příběhy. Začni objevovat