18. It Hurts So Good

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«Grazie per essere rimasta anche a cena.» Mormorò Travis, una volta giunti davanti la porta di casa mia. Si era offerto di riaccompagnarmi a casa dopo aver passato qualche ora con i suoi genitori, a scherzare e a ridere di loro figlio.
Gli sorrisi, alzando gli occhi al cielo poco stellato di quella sera, che stento ancora a ricordare. Era stata una giornata bella e pacifica, una giornata che aveva migliorato l'intera estate senza la presenza di Travis. Fui basita, successivamente, dal fatto che lo stare bene potesse trasformarsi, con un semplice schiocco di dita, in un immenso abisso il quale crollo tornava a fare visita dopo mesi e mesi di abbandono.
  «È stato un piacere. Sono felice che tu e i tuoi genitori siate finalmente una famiglia unita.» Commentai con tutta la sincerità possibile.
  «Dovrebbero ringraziare te e basta.» Mormorò seccato.
Abbassai lo sguardo e sorrisi. «Lo hanno fatto, credimi.» Ridacchiai.
Travis mi guardò perplesso.
Scossi la testa. «Lascia stare.» Gli intimai, scostandomi i capelli dal viso.
Lui osservò il mio gesto e subito dopo mi baciò, dolcemente. «Buonanotte, Lux.» Sussurrò.
Gli sorrisi e ricambiai la buonanotte. Aspettò che bussassi.
Mia madre venne ad aprirmi.
Spalancai gli occhi e arrossii un po' all'idea che ci fosse anche Travis.
«Oh, salve, signora Harper.» La salutò lui.
Mia madre sembrò abbastanza scombussolata, se non priva di sensi, ma lo salutò con un sorriso tirato e una gran voglia di buttarlo in strada.
Le posai una mano sull'avambraccio e l'espressione serena che Travis mi aveva regalato sul volto scomparve. «Mamma? Stai bene?»
Lei, a sentire quella domanda, annuì immediatamente e mi fece sorgere tanti di quei dubbi che dubitai perfino di averle chiesto se stesse bene o meno.
Travis, però, sembrò non accorgersi di nulla. «Allora... io vado.» Concluse, guardandomi.
Annuii, senza dargli un bacio: non perché non volessi darglielo, ma perché ero intenta a riflettere su cosa avesse mia madre per indurla ad essere così seria e persa nei suoi pensieri. In genere, non stava nella pelle quando gli raccontavo di Travis e del perché mi piaceva tanto, però ora che lo aveva perfino davanti, non sembrò più molto interessata all'argomento.
Il ragazzo si voltò e se ne andò.
Allora, mi voltai verso mia madre e misi le mani sui fianchi. «Ora potresti dirmi cos'hai?» Chiesi con un tono di seccatura.
Mia madre mi fece cenno di entrare e obbedii, sentendo l'ansia farmi da padrona.
La casa era la stessa, illuminata come sempre quando si faceva buio. Fido corse a salutarmi dopo che l'intera giornata non mi aveva permesso di coccolarlo come avrei voluto e fui felice di prenderlo in braccio e lasciare che mi odorasse ovunque. Risi per quanto fosse felice di rivedermi.
La mamma non aveva aperto bocca da quando aveva chiuso la porta alle sue spalle per farmi entrare e stavo per chiedere dove fosse papà quando lo sentii parlare al cellulare, nella sala da tè di mia madre. Guardai quest'ultima, ma sembrava così silenziosa perfino quando mi porse un bicchiere di limonata: l'accettai, ma io non le avevo chiesto che volessi bere qualcosa.
«Okay... non capisco cosa sta succedendo e sarei molto contenta che tu parlassi, mamma.» La sgridai, abbassandomi verso il pavimento per poter mettere giù Fido, per il suo bene: ero sicura che ciò che stava per dirmi non mi avrebbe rallegrata.
La mamma si passò una mano sulla fronte, per poi sospirare. Fece un piccolo sorriso e si grattò una mano. «Papà, finalmente, ha ottenuto un lavoro fisso. Finalmente, non dovremmo più spostarci.» Il suo tono sembrava tradire qualcos'altro. Probabilmente preoccupazione.
Aggrottai la fronte, ignara di ciò che volesse dire realmente.
«Pensavo che fosse già fisso, il suo lavoro.» Iniziò a dire, prima di essere bloccata da mio padre.
«Buone notizie, la casa è ancora in ottime condizioni dopo un anno!» Esclamò, con il suo cellulare in mano.
Scattai a guardarlo e successivamente corsi a guardare mia madre. Mi prese un colpo. «La casa? Quale casa?» Chiesi subito.
Mio padre era perplesso, guardando mia madre.
«Quale casa!» Esclamai.
«Santo cielo...» Sussurrò mia madre.
Iniziai a tremare. Non poteva accadere di nuovo, la mia testa non voleva che accadesse ancora.
«Pensavo che le avessi detto già tutto!» La sgridò mio padre, aggrottando la fronte e testando ancora una volta, senza volerlo, la grande somiglianza che c'era tra me e lui.
«È appena tornata!» Ribatté lei.
Spalancai la testa. Posai la tazza di limonata sul tavolo prima ancora che potesse cadermi dalle mani. Non sapevo cosa mi avesse portata alla soluzione di quell'atteggiamento dei miei genitori, ma fui piuttosto veloce a far accelerare il mio battito cardiaco.
«Io...» Sentii una morsa nel cuore, così forte che strinsi i denti: non riuscii, però, a frenare le lacrime. «Non voglio tornare a St Louis! Non voglio!» Esclamai, scuotendo la testa e scoppiando a piangere.
Fido mugugnò ai miei piedi e si accucciò.
Mia madre mi mise una mano sulla spalla. «Non hai mai avuto difficoltà a trasferirti, Lux.» Osservò lei.
Mi innervosii e mi arrabbiai. Mi arrabbiai con lei che me lo aveva tenuto nascosto per chissà quanto tempo, con mio padre che probabilmente sapeva che saremmo dovuti tornare a St Louis, con entrambi perché pretendevano che ora lasciassi Santa Monica. «Stavolta è diverso!» Mi lamentai, quasi urlando. «Non voglio! Io resto qui!»
Mio padre affiancò mia madre. «Temo che sia impossibile.» Sorrise di poco. «Pensaci, potremmo finalmente tornare a casa e vivere lì per sempre, senza più nessun trasferimento.»
Mi tolsi di dosso le mani di mia madre ed ebbi la tentazione di urlare. Urlare forte e chiaro. Urlare un vaffanculo che entrambi avrebbero ricordato per l'eternità. «Voi non capite. Non capite come sempre!»
Con tutta la velocità che potessi avere, lasciai la cucina e mi sbrigai a salire le scale per potermi rifugiare in camera, dove chiusi la porta a chiave e mi lasciai cadere sul pavimento. Cominciai a singhiozzare, a spuntare l'anima. Più singhiozzavo, più mi faceva male il petto. Più pensavo, più ero sicura di potermi distruggere.
Che cosa avrei detto, ora, a Travis? Ad Ally? All'ultimo anno di liceo che mi stava attendendo? Che cosa avrei fatto con Santa Monica, la vita che mi ero messa in testa di vivere dopo l'ultimo trasferimento, certa che non mi sarei spostata mai più? Era così ingiusto. La vita era ingiusta con me. Ero certa che ci fosse qualcuno a controllare ogni cosa e che questo qualcuno mi odiasse; aveva portato troppi dolori nella mia vita, troppe illusioni e delusioni. Avevo pensato che questa fase fosse finita, invece si era presentata un'ultima volta. Dovevo tornare a St Louis. Ero obbligata a farlo. Singhiozzai più forte, sbattendo con forza un piede contro il pavimento. Avevo tanta voglia di spaccare qualcosa, qualsiasi cosa, anche qualcosa a me cara. Non riuscivo a pensare lucidamente. Non riuscivo proprio a farlo. Aveva ragione, mia madre: ero abituata ai trasferimenti e lo sapevo. Sapevo che ero brava ad affrontare qualsiasi cosa, non mi ero mai lamentata di nulla. Ma stavolta... c'era quel piccolo e intramontabile ostacolo che si presentava minaccioso alle porte del mio cuore: Travis. Era per lui che non mi capacitavo. Non volevo lasciarlo. Non sarei riuscita a lasciarlo. Come avrei mai fatto? Avevo promesso a sua madre di non lasciarlo, avevo promesso a me stessa di stargli sempre accanto, gli avevo promesso che lo avrei fatto.
Non potevo e non volevo buttare tutto a rotoli. Era la prima persona che avevo amato veramente, che avevo reso felice e che mi aveva resa felice: come potevo soltanto pensare di vivere una vita senza di lui?
No. Non potevo e non volevo.
Era per lui... era per lui che piangevo così. Era per il fottuto senso di colpa che mi stava annientando. Mi ero affezionato a lui, mi ero in innamorata, ed ora ero destinata a lasciarlo andare a causa di una vita che non mi rendeva felice e, questo senso di prigionia, lo avevo quasi dimenticato a causa degli occhi blu del ragazzo che mi avevano stregato e, inconsapevolmente, salvato.
Mi faceva così schifo la vita, ad un certo punto. Mi faceva schifo perché era imprevedibile, amava ferire persone, manipolava e uccideva cuori umani. Pensavo a lui e mi veniva in mente solo che lo amavo troppo per potergli andare davanti e dirgli che dovevo andarmene, che non avrei passato l'ultimo anno con lui, che non avremmo potuto più vederci e che, molto probabilmente, non avremmo mai potuto avere un futuro insieme.
Mia madre bussò alla porta. «Tesoro, posso parlarti?»
Mi morsi le labbra per strozzare i singhiozzi, per non farmi sentire. Per credermi invisibile.
Ripeté più volte la frase, ma poi ci rinunciò e se ne andò.
Mi asciugai le lacrime sul viso, ma sembrava quasi inutile: più le asciugavo, più bagnavano le mie guance.
Non mangiai quella sera. Non avevo le forze di farlo. Avevo aperto la porta della mia stanza per sentirli parlare durante la cena, e avevo scoperto che saremmo partiti i primi giorni di settembre, prima che iniziasse la scuola, la mia vecchia scuola, dove mia madre mi avrebbe riscritta.
Dopo ciò, avevo indietreggiato ed ero tornata in camera. Avevo indossato il pigiama ed ora ero sotto le coperte del mio letto, con la porta semichiusa, troppo stanca per poterla andare a chiudere. Intorno a me, ora, era buio e c'erano ancora persone che camminavano per la strada, felici e sereni, assieme al motore delle macchine che faceva loro da sinfonia. Mi sarebbe mancata la vita californiana. Non volevo davvero andarmele; era la prima volta, dopo un trasferimento, che mi sentivo davvero a casa. Mi sentivo il cuore pesante, il petto dolorante e una grande voglia di scappare via dai miei genitori e rifugiarmi in spiaggia, dove non mi avrebbe trovata nessuno. Faceva così male realizzare che fra qualche settimana avrei dovuto sgomberare quella camera, quella casa e quel posto che era diventato tanto familiare. Perché ero stata abituata ai trasferimenti? Una persona non poteva vivere normalmente, stabilizzandosi in un'unica città, senza dover sempre spostarsi da casa a casa? Era questa la domanda che più mi scuoteva la testa.
Non tornai al mondo neanche quando la mamma bussò di nuovo e stavolta entrò senza alcun problema.
Avrei dovuto chiudere la porta a chiave, pensai, nascondendomi sotto le coperte fingendo che non ci fossi.
«Lo so che ci sei, Lux.» La sua voce sembrava così lontana dalla postazione del mio letto che mi chiesi se non stessi sognando. «Voglio soltanto che tu mi ascolta bene.»
Scossi la testa contro il cuscino zuppo di lacrime e tornai a piangere. «Non voglio più ascoltarti! Non voglio ascoltare nessuno!» Esclamai, coprendomi la faccia con le mani.
«Lo so che ti sei affezionata a Santa Monica. Lo so.» Non lo sapeva: come avrebbe potuto saperlo? «Ma ti sto chiedendo di guardare questa cosa con gli occhi di un tempo, con gli occhi di quella Lux che non aveva nessun problema ad accettare la realtà.»
Strinsi i denti, spronando me stessa a non piangere. Volevo che se ne andasse via. Le sue parole, e la sua presenza, non facevano che portare ancor più nervoso di quanto non ci fosse già e ancor più dolore nel mio cuore ormai rotto in mile pezzi. «Non voglio guardare più come un tempo. Quella fase è finita. Pensavo che fossi finalmente a casa! Pensavo di essermi finalmente trovata un posto dove stare. Pensavo che non ce ne saremmo mai andati!» Continuai ad alta voce. «Non voglio vivere da nessun'altra parte, se non qui.» Sussurrai.
Mia madre non mi rispose subito. Si sedette sulle lenzuola e mi accarezzò le gambe coperte. «Mi dispiace che tu ti sia legata alla città, alle persone...» Sospirò, facendo una pausa. «Mi dispiace che tu sia affezionata a lui, Lux, ma devi dirglielo, altrimenti lo farai soffrire.»
Mi tornarono in mente tutte quelle volte in cui lui era stato sincero con me, affermando il fatto che non volesse lasciarmi e che sarebbe stato disposto a fare qualsiasi cosa pur di avermi al suo fianco. Volevo essere anche io sincera come lo era lui... ma se lo fossi stata anch'io, avrei ferito due cuori innocenti. Il mio ed il suo. Il mio, già ferito, sarebbe sopravvissuto. Il suo, per quanto forte, sarebbe morto.
«È questa la parte più difficile. È questa la parte di questa storia che non mi fa pensare lucidamente! Non voglio abbandonarlo! Neanche Ally! Non voglio abbandonare nessuno!» Sussurrai con voce strozzata. «Voglio restare qui per lui! Per stare con loro!»
«Ti prometto che resterai in contatto con loro.» Cercò di dire lei.
Scossi la testa e feci una smorfia. «Ma sarà diverso! Preferisco lasciarli e non averli mai conosciuti piuttosto che continuare un rapporto troppo distante e stupido! Alla fine ci si va a perdersi!»
Mia madre si alzò, ormai sconfitta per potermi tirare su. «Non so davvero cosa dire. Solo... trova un modo, Lux. Trova soltanto un modo.»
Quando uscì dalla mia stanza, sentii letteralmente il cuore cadere e rompersi, infrangersi. Questa situazione mi stava uccidendo. Anno dopo anno stava trovando il modo di farmi male. E cazzo... feriva così bene.

BROKEN | Cercavo di salvarloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora