05. Stay

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Avevo sbattuto la porta di casa così forte che Fido, seduto sul pavimento della stanza del tea di mia madre, saltò e poi mi guardò con quel viso da cucciolo che si chiedeva che cosa avessi mai fatto per averlo fatto spaventare in quel modo. Buttai sul pavimento lo zaino, noncurante del fatto che avessi colpito i miei piedi, e strisciai nel salotto con le guance bagnate di lacrime che avevo già asciugato in precedenza. Fido mi abbaiò dietro mentre mi buttavo sul divano. Mi seguì.
«Non è giornata, bello. Vattene.» Spinsi la sua piccola corporatura giù dal divano e continuai a tirar fuori tutte le lacrime che avevo bisogno di far uscire. Fido si mise tra le mie gambe e posò le sue piccole zampette contro il mio ginocchio. Non osai mandarlo via - sia perché era piccolo, ed avevo paura di fargli male, sia perché la casa era completamente vuota, dato che i miei genitori erano fuori per lavoro e sarebbero rientrati a notte fonda, e Fido era l'unico su cui avrei potuto contare. «Fido?» Il mio cane indietreggiò a sentire il suo nome e mi guardò dal basso. Sorrisi davanti a quella dolcezza e accettai la sua compagnia. Lo presi in braccio e lo posai sulle mie gambe, abbracciandolo con tutta la forza che potevo avere. Fido non si lamentò neanche una volta. Era sempre presente quando avevo bisogno di qualcuno con cui condividere qualcosa o quando ero semplicemente da sola a casa e mi sentivo altrettanto sola. Era un cane, lo so, ma io mi fidavo come se fosse una persona. Fido era stato il regalo più grande che potessi ricevere e benedissi quel giorno in cui era entrato a far parte della nostra famiglia. «Voi cani non provate dolore quando vi attaccate.» Mormorai con una voce a dir poco soffocata. «Mi spieghi perché fa così male?»
Fido emise un verso triste e si strinse a me.
Sorrisi contro il suo pelo dorato e gli baciai la testolina. «Grazie per esserci sempre, piccolino.» Mi leccò la guancia e lo allontanai dal mio viso, ridendo, perché ero sicura che sapesse che non mi piaceva quando mi leccava la faccia. Stavo grattando il suo pancino dopo due ore di coccole assicurate quando sentii vibrare il cellulare in tasca. Mi irrigidii sul divano, portando Fido sul pavimento e lasciandolo correre via dal salotto. Presi il cellulare in mano e fu inutile dire che appena lessi il suo nome sullo schermo non mi venne un colpo ed ero più che calma... perché sarebbe una bugia. Una delle tante. Iniziarono a tremarmi le mani come mai prima di quella volta ma tenni duro e accettai la sua chiamata. Ero pronta a sentire ciò che aveva da dirmi e poi avrei riattaccato, qualunque cosa gli fosse uscito dalla bocca. «Che cosa vuoi?» Risposi con fare acido.
Dall'altro campo del cellulare nessuno parlò, si sentiva soltanto una respirazione al quanto profonda e pesante.
Il mio corpo si riempì immediatamente di brividi e il mio cuore cominciò a battere così forte che dovetti scattare in piedi. Mi portai una mano sul petto.
«T-Travis?» Mormorai io in un sussurro strozzato.
Travis continuò a respirare. Sentii qualcosa cadere. «Lux? Lux, ti prego, mi dispiace.» Farfugliò in un secondo, piangendo come un bambino.
Mi resi conto che la sua voce era incrinata, smarrita, spaventata. Mi precipitai a prendere il mio giubbotto sull'appendiabiti, sulla parete accanto la porta d'entrata. «Travis, dove sei?» Vedendo che non mi rispondeva, mi grattai energicamente la nuca. «Cazzo, Travis! Vuoi rispondermi!?» Urlai contro lo schermo, per sembrare più minacciosa di quanto non fossi in realtà.
«Sono a casa! Sono a casa!» Strillò di rimando.
Tolsi dalla toppa della porta le chiavi di casa e dovetti fermare Fido che mi stava venendo incontro. «No, bello, tu resti qui.» Misi in chiaro. «Tornerò più tardi. Fai la guardia alla casa.» Aprii velocemente la porta e la richiusi con la stessa velocità, a chiave. Mi sbrigai a mettere le chiavi di casa nella zip della mia tasca del giubbotto. Corsi letteralmente per tutto il viale della mia abitazione per poi accedere lungo Pico Blvd. Mentre il vento mi sferzava i capelli e la mia mente era già arrivata da Travis senza aspettare le mie gambe a volte veloci e a volte lente, osservavo le abitazioni per ricordare quella di Travis (erano tutte uguali, per l'amore del cielo). Ricordai che prima di tornare piangente a casa, mi ero fermata davanti quel negozio di noleggio film, che si trovava quasi di fronte la sua casa, così corsi verso VIdiots e mi ritrovai nello stesso punto in cui avevamo litigato ore prima io e Travis. Feci qualche altro passo, correndo, verso nord e fu lì che mi ritrovai la porta di casa sua proprio di fronte a me. Non aveva nulla di particolare rispetto alle altre, ma molto probabilmente, per me, era diversa perché li ci abitava il ragazzo che molto probabilmente mi stava fottendo il cervello. Salii gli scalini con energia e bussai velocemente alla porta. Mentre aspettavo un miracolo da parte di qualcuno, cercai di calmare il mio cuore che stava per esplodere nel mio petto. Avevo corso così velocemente e senza fare nessuna sosta che stavo per vomitare sul portico di Travis. Mi ressi, allora, i fianchi con le mani per prendere fiato. La porta però si aprì e - se desideravo avere Travis di fronte a me - mi sbagliai perché mi aveva appena aperto quella cameriera del bar che portava addosso solo dell'intimo. Istintivamente feci una smorfia e la spinsi dentro, chiudendo alle mie spalle la porta. «Sarebbe questo il modo di venire ad aprire alla porta!» Strillai disgustata.
La cameriera, che di suo non aveva niente, mi fece un segno strano con la mano, come se dovessi calmarmi. Con noia, si sedette sul divano pieno di pieghe (cercai di non pensare a cosa l'avesse ridotto in quelle condizioni) e aspettò che dissi qualcosa, continuando a guardarmi.
«Beh? Dov'è Travis?» Chiesi subito.
La ragazza indicò la cucina, che molto probabilmente era quella stanza che avevo evitato di guardare all'inizio perché troppo presa dal modo di vestire di quell'individuo che avevo davanti. Diedi un'occhiata alla cucina e ne rimasi senza parole: le vetrine che racchiudevano piatti, bicchieri, posate, risparmi di cibo erano tutte frantumate. I cocci del vetro erano sul pavimento, sul bancone da cucina e il lavabo lasciava uscire un getto d'acqua violento. C'erano diversi bicchieri di vetro sul tavolo da pranzo situato sempre nella stessa stanza e andai a verificare cosa fosse. Odorai l'interno e feci una smorfia.
«Immagino che tu non abbia mai bevuto il whisky.» Ironizzò la cameriera.
Tornò a farmi innervosire. «Lui non dovrebbe neanche berlo, il whisky.» Risposi infastidita, fissando la superficie del tavolo.
«Oh, quei bicchieri li ho bevuti io. Lui si è portato l'intera bottiglia di sopra e poi non è più sceso.»
Scattai a guardarla tramite l'enorme porta, che divideva la cucina al corridoio principale, e sospirai malinconia. Poteva andare peggio di così? Avevo così tanta voglia di tirare quei capelli biondo tinti di quella ragazza e di farla uscire da quella casa perché era soltanto un impiccio. Ma respirai a fondo e mi dissi che non avrei fatto una scenata del genere. «Che ci fai tu, qui?» Chiesi soltanto, socchiudendo gli occhi per non starla a guardare.
«Travis mi ha chiamata. Voleva fare sesso con me. Ho accettato, sono venuta, ci siamo spogliati ma lui ha cominciato a dare di matto. Ha rotto i vetri della cucina, qualche bottiglia per il corridoio del piano di sopra finché non è ricorso al whisky che stavo bevendo dalla collezione di alcolici della casa ed è andato di sopra.»
Mi passai una mano tra i capelli. «Voi due...», gesticolai poi, «n-non avete fatto niente?»
Scosse la testa. «Mi ha solo sbattuta al muro e mi ha...»
La frenai con uno scatto di voce. «Non mi importa, frena!» Esclamai. Guardai le scale fuori dalla porta della cucina. «Devo andare di sopra.» Pensai ad alta voce.
La cameriera si alzò dal divano, credendo che volesse seguirmi, invece si stiracchiò e indicò la porta. «Io, invece, mi sto annoiando, perciò vado via.» Sotto i miei occhi, raccolse quelli che dovevano essere i suoi vestiti - che erano situati sul pavimento e che non avevo neanche visto per quanto fossi nervosa di sapere cosa fosse successo a Travis - e cominciò ad indossarli. «Dì a Travis che se vuole cercarmi, sono sempre disponibile.»
Alzai le sopracciglia. «Cosa? Io non gli dirò un bel niente.»
La ragazza andò verso la porta. «Sei solo gelosa del fatto che lui vuole me e non te.»
Strinsi i pugni, sentendo le unghie penetrarmi immediatamente nella carne. «Non so cosa vuoi insinuare. Conosco Travis da due giorni e l'unica cosa che mi dà più fastidio sei tu che ti spogli come se non fosse niente davanti a chiunque voglia fare sesso!» Le sputai addosso.
La cameriera aprì la bocca per rispondermi, ma si limitò ad oscillare quei capelli arrotolati in boccoli e a scomparire dalla porta d'entrata. Rabbrividii per quanto ribrezzo mi facesse quella bionda, ma mi voltai a quelle imponenti scale americane oscurate dalla penombra del corridoio superiore. Sperai davvero che Travis fosse lì su, altrimenti non avrei saputo dove cercare. «Travis?» Sussurrai in un filo di voce. Ovviamente non mi ascoltò, oppure non mi sentì. Respirai a fondo, prendendo tutto il mio coraggio e senza pensare a ciò che il ragazzo aveva combinato in cucina per non sapevo quale motivo. Avevo paura che fosse stata colpa mia, che Travis fosse furioso con me. Come biasimarlo? Lin mi aveva detto di stargli lontana ed io ci avevo anche fatto un pensiero. Ma mi resi conto, proprio mentre camminavo al buio con la speranza di sentire un movimento da parte di Travis, che, se mi fossi allontanata dal ragazzo in nero, l'avrei  fatto di mia spontanea volontà senza ricorrere all'aiuto e al consiglio di nessuno; sapevo decidere da sola. Mi trovavo più che bene con Travis e, il solo pensiero di non averlo mai più nella mia vita a partire da quel momento, mi fece pensare a come avessi fatto tutto quel tempo a vivere senza di lui. In soli due giorni mi stava già sconvolgendo tutti i piani che mi ero fatta per Santa Monica e li aveva resi ancor più memorabili, nonostante stessi girovagando in una casa dove, molto probabilmente, ero da sola e dove avrei fatto una grandissima figuraccia se fosse entrato il proprietario. Comunque sia, iniziai a spaventarmi con tutto quel buio che non lasciava entrare neanche un raggio di luce. L'unico rumore che sentivo, erano i miei passi su quello che, molto probabilmente, doveva sembrare un tappeto abbastanza lungo. «Travis?» Stavolta lo richiamai con voce abbastanza alta in modo che potesse sentirmi dovunque fosse.
«Lux? Lux, sei tu?» Era la sua voce. Era proprio la sua fottuta voce. Aizzai collo e orecchie e mi guardai intorno per cercare di analizzare bene la direzione in cui si trovava.
«Travis? Dove sei?»
Una porta si aprì dopo le mie parole e mi venne un colpo che mi fece gridare per due secondi soli. C'era della luce, lì. Travis si trovava in quella stanza. L'ultima stanza da destra. Mi sbrigai ad accedere all'interno e chiusi la porta. Sospirai contro la porta di legno e aprii gli occhi di scatto solo quando mi ricordai dove mi trovavo. C'era la figura oscura di Travis contro il muro, proprio ai miei piedi. Aveva la bottiglia di whisky al suo fianco, gettata in malo modo sul pavimento ed era vuota. Mi abbassai per stargli accanto e gli misi una mano sulla spalla. Lui stava guardando un punto fisso davanti a sé. «S-stai bene?» Gli chiesi con timidezza, incapace di guardarlo direttamente negli occhi.
Aveva i riccioli appiccicati sulla fronte, una canotta nera addosso e dei pantaloni strappati al ginocchio. Le nocche avevano uno uno strato di lividi neri e violacei e la sua espressione sembrava appartenere a qualcuno che aveva visto un fantasma. «Devi promettermi che resti.» Mormorò su due piedi.
Sentii letteralmente il mio cuore tremare davanti a quelle parole. Avevamo litigato, mi aveva dato della stronza, mi aveva fatto piangere... e poi mi aveva chiamata, piangendo, solo per dirmi che dovevo promettergli che sarei restata. Non potei non farmi uscire un piccolo sorriso colpevole.
Travis spostò quegli occhi azzurri su di me. Mi guardò la fronte, gli occhi, le guance, la bocca. Poi posò ancora una volta quegli occhi chiari sui miei. «Promettimelo, ed io giuro che ti crederò sempre, Lux.» Aveva la voce incrinata, era ubriaco marcio. Però quando si è ubriachi si dice la verità, giusto?
«Te lo prometto.» Sperai che non si dimenticasse di quel momento tutto per noi. «Mi dispiace se ti ho deluso.»
Lui alzò le spalle, ridacchiando un po'. «Sono abituato.»
Scossi la testa, ridendo anche io... solo un po' più amaramente. «Non voglio deludere nessuno, Travis.»
La sua mano volò sulla mia guancia e l'accarezzò con lentezza e affettuosità. «Non mi deluderai mai completamente, Lux. Lo so per certo.»
Arrossii davanti quel gesto e quel suo attimo di bontà. «Che vuoi dire?» Ribadii con fare curioso.
Travis mi sorrise. Fu uno dei sorrisi più belli che gli vidi fare in tutti quei momenti passati insieme. «Ti sto affidando lentamente il mio cuore, Lux Harper. Non te ne sei accorta?» Bofonchiò, inclinando la testa verso sinistra. «Non è mai capitato sulla faccia della terra che uno stronzo come me affidasse il suo cuore ad una... una sconosciuta. Da quant'è che ci conosciamo, Lux?»
Scoppiai a ridere davanti quel bambino che era Travis. «Due giorni.»
«Beh, hai reso questi due giorni i più belli della mia vita. E non sto dicendo questo perché ti reputo carina.», arrossii ancor di più. Maledetto Travis..., «Ma perché hai qualcosa di incredibilmente somigliante alla pace, per me.» Smise  accarezzarmi la guancia e socchiuse gli occhi. «Perché sei venuta qui a Santa Monica? Che cosa ho fatto per aver bisogno di un angelo custode come te?» Ero consapevole che fosse l'alcool a parlare, che il Travis che conoscevo io mi avrebbe soltanto detto di non andare via, però mi piaceva la sensazione di sentirlo parlare in quel modo: avrebbe potuto svelarti tutti i segreti dell'Universo se solo gliel'avessi chiesto. «Lux?» Chiese poi.
Lo ascoltai.
«Penso che tu cerchi sempre di aiutare le persone.»
Annuii lentamente.
«Per quanto tu abbia promesso di starmi vicino... non aiutarmi mai, chiaro?»
Annuii lentamente. Ciò che mi aveva appena chiesto non aveva senso, ma avrei fatto di tutto pur di renderlo felice. «D'accordo. D'accordo.»
Travis si mosse e agganciò le sue mani intorno al mio busto, crollando sul mio corpo. Mi ritrovai schiacciata contro la superficie della porta, con lui che mi stringeva in un modo abbastanza bizzarro ma dolce. Mi chiesi in quel momento perché avesse dato di matto, dov'erano i suoi genitori, perché sembrava sempre arrabbiato con il mondo anche se quando ero con lui sembrava una persona diversa da solito. Però non gli chiesi nulla. Non volevo rovinare quell'abbraccio. Non volevo rovinare la pace che stava sentendo. Non volevo rovinare niente di niente nella vita di Travis, perché a me piaceva così com'era e mai avrei immaginato di pentirmene.
«Va tutto bene, ora?», lo scostai un po' da me, felice che avesse i capelli tutti spettinati in modo che potessi accarezzarli e sistemarli, «Travis hai gli occhi rossi.» Continuai a toccargli i capelli cercando di dare loro una forma graziosa, ma più li toccavo più sembravano ancor più morbidi e non volevo smettere di toccarli.
Il ragazzo mi guardò per qualche secondo negli occhi e si passò una mano sulla faccia. «Ti chiedo scusa. E non parlo del perché ho gli occhi rossi.», parlò con voce rauca e profonda, «Mi dispiace che hai visto Harley in quelle maniere.» Deglutii.
«Harley? Chi è?»
Travis abbozzò un piccolo sorriso di scuse. «La cameriera sexy.»
Alzai le sopracciglia e aprii la bocca per fargli capire di aver capito. Quindi quella lì si chiamava Harley. Mi spostai un po' verso destra, allontanandomi da lui. Unii denti per non sembrare stupida. «Beh... l'ho buttata fuori.»
Travis spalancò gli occhi. In quel momento non capii se si stesse arrabbiando o qualcos'altro, ma quando scoppiò a ridere capì che era un sincero divertimento, quello. «Tu? Il piccolo piedino danzante ha cacciato Harley?»
Incrociai le braccia al petto, scoccandogli un'occhiataccia. «Puoi smetterla di chiamarmi in quel modo?» Mi finsi irritata.
Travis alzò le mani, barcollando lievemente verso sinistra. «Mi piace chiamarti in quel modo.»
Fui onorata di quello che aveva appena detto, ma mi alzai e feci alzare anche lui che, come previsto, non fu molto stabile per tenere entrambe le gambe salde a terra. «Travis, puzzi di alcool.»
Avvicinò pericolosamente la sua bocca al mio orecchio. «Ti ricordo che ho bevuto un'intera bottiglia di whisky.»
Le mie guance si colorarono ancora una volta di rosso e cercai di sembrare esausta. «Dov'è il bagno?» Chiesi guardandomi intorno nel buio.
Travis alzò un braccio verso sinistra e indicò probabilmente una porta.
«Non si può accendere la luce?» Mi lamentai, mentre lo trasportavo verso la direzione da lui indicata, ovvero verso la fine del corridoio superiore.
Travis non mi rispose, ma restò ancorato a me che lo tenevo per la vita. «Ora cosa vorresti fare nel bagno?» Chiese ridacchiando, mentre io aprivo porta per farlo entrare.
Il mio cuore aumentò di velocità, come se quel battito cardiaco arrivato alle stelle non fosse abbastanza. «Tu ti farai una doccia ed io ti aspetterò in salotto.»
Travis entrò prima di me ed io a seguire. Si andò a sedere sulla tavoletta del WC e chiuse lievemente gli occhi. «Non sono in vena di farmi una doccia, Lux.» Ridacchiò. «Lux... mi piace il nome Lux... Lux, Lux, Lux. Mi piace.»
Ridacchiai anche io con lui, ma mi feci forza a respirare e a tenere duro davanti a quello splendore che era anche da ubriaco. «Dove posso trovare i tuoi vestiti puliti?»
Travis aprì di nuovo gli occhi e inclinò la testa. «Secondo te dove potresti trovarli, genia?»
Okay, Questa me l'ero cercata, Girai sui tacchi e lo lasciai da solo in bagno mentre mi chiedeva dove stessi andando. Tornai nella sua camera e mi fiondai sul suo armadio pieno e colorato interamente di nero ad eccezione di una maglietta appesa assieme alle sue felpe. Era bianca e spiccava da morire in quel nero di indumenti. Ero un tipo curioso, lo sapevo per certo, ma nonostante fosse solo una maglietta bianca, c'era una vocina nella mia testa che mi incitava a toccarla e a verificare cosa avesse di diverso per essere unicamente bianca in mezzo a quel nero. La presi senza indugi e una cosa mi saltò subito davanti agli occhi: era troppo piccola per poter appartenere ad un ragazzo dalle spalle alte come le sue.
«Che stai facendo?»
La sua voce mi fece sobbalzare. «Stavo...»
Venne verso di me e mi tolse la maglietta bianca dalle mani. «Non devi frugare nelle mie cose, Lux. Non voglio arrabbiarmi ancora.» Ripiegò la maglietta in un modo abbastanza rude e la buttò nell'armadio. Non sembrò però scosso o furioso. In qualche modo, ringraziai l'alcool. Si prese indifferente una maglietta nera e tornò nel bagno. Restai qualche altro minuto nella sua stanza, a contemplare ciò che era appena successo. Guardai la porta, credendo che fosse ancora lì a guardarmi, ma non c'era. L'illusione che potesse nascondere qualcosa in una semplice maglietta mi ingabbiò subito. Mi morsi il labbro tornando a guardarla, un indumento buttato al vento in quel modo. Se c'era o non c'era qualcosa che Travis nascondeva o teneva al riparo da occhi indiscreti, volevo saperlo. E non perché volessi farmi i suoi affari (non ero il tipo), ma perché volevo aiutarlo come facevo sempre con persone come lui. Lo avevo fatto a New Orleans, a Los Angeles e l'avrei fatto ancora, a Santa Monica.
Non mi resi conto, però, che quello che stavo per fare sarebbe stato uno sbaglio. Uno dei tanti sbagli che mi porto tutt'ora dietro.

BROKEN | Cercavo di salvarloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora