11. Oh, Darling... Happy Birthday

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Mi ero addormentata su Travis tanto profondamente che balzai in piedi, intontita, quando sentii bussare alla porta.
Anche Travis si era addormentato, ma in confronto a me, non si era svegliato.
Allora, presa dal panico, lo scossi con tutta la forza che avevo. «Travis? Travis! Hanno bussato alla porta!» Esclamai in un sussurro al quanto agitato.
Lui incrociò le braccia nel sonno e fece una smorfia. «Mmm.»
Bussarono di nuovo.
Scattai a guardare il corridoio principale e scossi un'altra volta Travis che stavolta aprì gli occhi e corse a guardarmi.
«C'è un problema grosso per il quale continui a disturbarmi?» Chiese con voce impastata dal sonno.
Spalancai gli occhi, indecisa se schiaffeggiarlo o, fregandomene del suo atteggiamento, correre per andare ad aprire. «Hanno bussato alla porta. Aspettavi qualcuno?» Chiesi, un po' infastidita dall'idea che qualcuno, una qualunque ragazza magari, potesse disturbarci. Travis, però, si fece serio e si sedette sul divano, scuotendo la testa. Si mise a posto i capelli e, con fare traballante, si alzò in piedi e si avviò verso la porta d'entrata. Fu quando lui aprì la porta che non riuscii a percepire più nessun suono.
Feci per richiamarlo quando sentii un'esclamazione di una donna: «Trav! Buon compleanno!»
«Mio figlio compie diciotto anni, oggi! Si deve festeggiare!»
Feci una smorfia degna di far provare divertimento a chiunque mi stesse guardando. Ero al quanto confusa. Compleanno? Diciotto anni? Festeggiare?
Sentii dei movimenti nel corridoio e una porta che si richiudeva. Senza dire un'altra parola, le persone entrate in casa si diressero, ovviamente, nel salotto e si fermarono sui loro passi quando videro me, in piedi, a fissarli.
Arrossii bruscamente alle occhiate confuse di quelle persone che le analizzai come la mamma e il papà di Travis; erano uguali ai soggetti della foto dell'album di famiglia.
Scattai a grattarmi la nuca e a guardare Travis che se ne stava alle spalle dei genitori, guardandomi con aria di scuse.
«Tu chi sei?» Fu sua madre a chiedermi, socchiudendo gli occhi come per scannerizzarmi.
Odiavo quando le persone mi osservavano in quelle maniere, perciò abbassai immediatamente la testa. «Sono...»
«Non sono affari tuoi.» Tagliò corto Travis, superando i suoi genitori per posizionarsi al mio fianco. Mi prese una mano e la strinse forte.
Non mi lamentai per la sua presa così esagerata. Da quello che avevo capito, il suo punto debole erano i suoi genitori e, dovunque fossero loro, Travis provava dolore e rabbia. Aveva bisogno di concentrarsi su qualcosa per non rischiare di scoppiare e si stava concentrando su di me, in quel momento. Il mio cuore – accelerato a quel modo – lo capì prima di me.
«Perché siete qui?» Continuò Travis, con fare accusatorio.
«E' la tua ragazza?» Continuò su quell'argomento sua madre, invece.
Guardai Travis che irrigidiva la mascella. Gli strinsi la mano. «No. E' una mia amica. Cosa siete venuti a fare a casa mia
Non seppi mai cosa provarono i suoi genitori davanti quella domanda, ma io stessa venni ferita dal suo tono duro, tagliente e freddo. Non era una cosa sul personale, ovviamente, ma non avrei mai voluto che per colpa mia Travis reagisse così davanti ai suoi genitori. Potevo capire che non erano mai stati presenti per il loro unico figlio, ma rimanevano genitori e come tali dovevano essere rispettati. Però, dall'altro campo della situazione, capivo Travis, capivo il suo carattere e non potevo chiedergli di non essere così cattivo con i suoi.
Suo padre mise giù la valigia che portava in mano. «Travis, è il tuo compleanno. Non potevamo...»
Travis gonfiò il petto. «Non vi siete mai presentati al mio compleanno negli ultimi sette anni. Perché dovrebbe importare proprio ora?» Lo ammonì lui.
«Compi pur sempre diciotto anni. Avevamo pensato...»
«Avevate pensato, avevate pensato! Voi avevate pensato a vostro figlio? Voi? O avevate pensato un modo per evitare tutta la situazione del cazzo che c'è intorno a vostro figlio per il semplice gusto di non discutere su ciò proprio il giorno del suo fottuto compleanno?» Sbraitò, mordendosi poi le labbra per l'esasperazione. «Merda! Stava andando tutto bene e poi piombate voi e distruggete tutto come sempre!» Gridò.
«Travis, ti vuoi dare una calmata? Modera il linguaggio!» Lo sgridò sua madre.
Suo padre, invece, le fece segno di non aprire bocca per non peggiorare la situazione.
Travis se ne stette muto e, respirando pesantemente, lasciò la mia mano, si voltò, andò verso quel dimenticato album delle foto che era caduto ore prima sul tappeto e lo lanciò ai piedi dei genitori. «Questa è la merda che mi avete fatto credere per tutta la vita. Adesso è ora di darci un taglio.» La sua voce profonda, piena di rabbia e rancore, sputò quelle parole senza paura. Mi prese un'altra volta per mano e, senza dire nulla, mi portò verso le scale, lasciando da soli i suoi genitori a contemplare le parole del loro unico figlio.

BROKEN | Cercavo di salvarloWhere stories live. Discover now