Ventitreesimo Capitolo

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Josh

Ormai è da due settimane che fare il detective è diventato il mio secondo lavoro. In realtà è il primo, perché non ho affatto un lavoro.
Insieme a Robert, abbiamo controllato ogni maledetto movimento di Mitch. Tutto sembrerebbe normale, per il momento. Tranne per lo strano posto dove siamo finiti durante l'inseguimento.
È da più di mezz'ora che siamo dentro la jeep, con un binocolo in mano per poter controllare tutti i suoi spostamenti.
È appoggiato ad un muretto e dalla sua aria si direbbe che non ne può più di aspettare. Quello che ci stiamo domandando è: a chi sta aspettando da tutto questo tempo?
«Quanto ci vuole? Mi sono rotto di stare qui dentro!», dice il mio amico.
Vorrei dirgli di non lamentarsi, ma non posso dargli torto.
Gli passo una bottiglietta d'acqua, magari bere lo distrae per qualche secondo.
«Bevi», gli dico. Mentre appoggia la bottiglia sulle sue labbra. Una macchina grigia, si accosta.
I vetri dell'auto sono oscurati e dal modello si deduce che è una Rover.
Mitch si avvicina all'auto ed io  immediatamente prendo dalla borsa la macchina fotografica, per avere delle prove apportata di mano.
Non riesco a vedere neanche con l'ingrandimento che cosa abbia in mano, sembra che sia il tutto avvolto in un panno.
Astuto da parte loro, eppure non tanto astuto da impedirmi di non curiosare, perché qualsiasi cosa abbia in mente lo saprò.

Dopo che prevale l'oggetto misterioso, alza il cappuccio della felpa e si nasconde, fino ad andare via nell'oscurità.
«Se n'è andato, guarda!», mi riferisce Robert, dopo aversi rinfrescato.
«L'ho visto. Parti!», guardo bene la strada davanti a me.

Egli mette a moto e ci prepariamo ad un inseguimento, uno dei molti attuati da da stamattina.
Stiamo andando pianissimo, per non farci notare, visto che lui è a piedi.
Un frastuono di un clacson interrompe tutto.
Mitch si volta all'improvviso e sembra terrorizzato.
La cosa che mi colpisce non è il suo volto spaventato, ma l'oggetto misterioso che gli è caduto a terra, senza nessun panno a coprirlo.
Non ho parole per dire ciò che vedo.
È una pistola!
«Merda!» Esclama il mio amico, con il volante fra le mani. Dalla sua espressione non sono l'unico ad averla vista.
«Mi sa che ci ho visto bene», affermo  scherzosamente, invece da una parte ho paura. Una persona che ha con sé una pistola non ha nulla di buono in mente, ma qualcosa da nascondere.
Adesso che ha pure un'arma apportata di mano, non fa che confermare le mie teorie.
Il mio migliore amico, senza neanche rifletterci aumenta a tutta forza per sfuggire da lui.
«Cazzo. Quello è armato, spero solo che con agli abbaglianti non ci abbiamo riconosciuti. Per un po' verrò a scuola con l'altra auto!»,  mi dice terrorizzato.
Pensavo che fosse più coraggioso, invece anche lui ha le sue paure. Come può aiutarmi a proteggere Lucy, se anche lui ha paura?
«Stai calmo! Non facciamoci prendere dal panico», lo consolo un po', ma non ho altri piani in testa.
«Andiamo dalla polizia. Non si discute», mi fa sapere la sua decisione, che non ne è tanto diversa dalla mia. La situazione si sistemerebbe senza il bisogno del nostro aiuto e così non avremmo più paura di rimetterci noi.
Solo che non abbiamo pensato alle conseguenze negative.
Come lasciare mia madre senza marito.
Capisco che Peter è uno stronzo, e si meriterebbe di andare dentro, ma non vorrei che mia madre soffrisse.
Perché se la polizia indagasse  scoprirebbe la seconda vita del mio patrigno, la questione non finirebbe per nulla bene.
«Non voglio fare soffrire mia madre! Questo accadrebbe se Peter andasse in prigione», perché tocca a me prendere queste decisioni?
«Chi se ne frega di lui? Perché aiutarlo? É colpa sua se sua figlia è in questa situazione!», lo so, lo so.
«Andiamo a casa, più tardi prenderemo una decisione», metto in chiaro le cose.

Qualche ora dopo siamo a nel rifugio, pronti ad analizzare i documenti, che abbia ricavato.

«Non si vede nulla! I finestrini sono oscurati!», dice Robert, come se non l'avessi notato.
Stiamo analizzando le foto scattate per scoprire chi sia l'uomo dentro la macchina. Fortunatamente a casa mia non ci sta nessuno, quindi non c'è il rischio di essere disturbati.
Mia madre e suo marito sono a lavoro. Si faranno vivi per il weekend, invece Lucy è da Meghan.
Sono felice che passi del tempo con la sua amica, così può distrarsi da tutto il caos che la circonda.
«Lo vedo!», esclamo. Siamo sempre nello stesso identico punto di partenza.
«Se il suo ritorno non fosse collegato a Lucy e fossero solo confidenze», avevo pensato anche a questa ipotesi.
Ma alcune cose non vanno nel verso giusto comunque.
«Non c'è un filo logico e lo sai anche tu», gli faccio sapere.
Mi sembra di avere un peso enorme sulle spalle, come se tutto fosse manovrato dalle mie decisioni.
Non posso vivere una vita tranquilla, perché la felicità delle persone a me care deve ridurmi ad avere esaurimento nervoso?

UN DISASTRO CHIAMATO AMORE Where stories live. Discover now