Epilogo

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Non avrei mai potuto spiegare cosa fosse realmente il dolore. Forse perché ero difettosa, non provavo mai nulla. L'amore aveva cambiato il mio punto di vista, mi aveva aperto una finestra affacciata sugli orizzonti dei sentimenti. Sentimenti che in principio non riuscivo a comprendere, ma che in seguito hanno iniziato a delinearsi fino ad essere nitidi e tangibili.
Non posso essere morta, pensai nel buio. Nemmeno all'inferno tutto questo dolore è ammissibile. Il petto mi bruciava come una ferita aperta su cui era stato versato alcol puro. Qualcosa non andava e ne ero certa. Non riuscivo nemmeno a muovere un dito e le palpebre sembravano sigillate. Nonostante la mia mente fosse ottenebrata dal dolore sfiancante e continuo, cercava comunque di rimanere vigile e cosciente. Oltre il dolore di un cuore strappato e senza battiti, non sentivo nulla. Provai a pensare al dolore che i miei occhi e la mia testa avevano provato il giorno in cui Gabriel mi aveva passato la maledizione, pensavo alla paura di morire che provai quella notte, anche se ancora non avevo idea di cosa mi stesse accadendo. Ripercorsi il dolore provato nell'assimilare l'essenza di Maddalena ed anche quello dell'eventuale perdita di Sara. Niente sembrava paragonabile alla sofferenza che stavo provando in quel momento. Forse Samuele mi aveva aperto lo sterno per qualche suo giochino sadico, forse ero stata drogata al punto di non riuscire a muovermi o urlare. Potevo essere sopravvissuta davvero?
"Ti prego...", sentii singhiozzare da una voce senza genere o intonazione. Sentivo solo il suono spezzato e parole, ma non riuscivo a dare un volto alla persona che stava piangendo.
"Aurora, siamo qui con te", sentii di nuovo. Non avrei saputo distinguere una voce diversa, ma cercai di concentrarmi sulle voci e non sul dolore. Mi apparve una grotta piena di punti luce, sembravano tante stelle. Avvicinandomi alla parete rocciosa, notai che a trapuntarla fossero tante piccole pietre colorate. Il cunicolo era stretto, potevo passarci solo strisciando. Le voci ed i singhiozzi venivano dal fondo della minuscola strettoia. Con il briciolo di forza rimasta, mi accasciai a terra, facendo leva sui gomiti nudi per andare avanti. Ogni spostamento contro la parete ruvida della roccia mi provocava fitte lancinanti.
Forse le voci sanno come guarirmi dal dolore al petto, elucubrai spingendomi sempre più avanti. Il tempo sembrava infinito dentro la grotta, ed ogni metro sembrava un metro verso la morte. L'aria si era rarefatta ed iniziavano a bruciarmi i polmoni, oltre che le braccia ormai insanguinate ed il cuore strappato. Non posso continuare così, pensai nel momento esatto in cui vidi una luce.

"Lo sapevo che si sarebbe svegliata!", urlò una voce femminile. Lo squarcio nel petto non si era rimarginato, ma gli occhi misero a fuoco i contorni di una figura molto scura. Sentii un tocco sul palmo della mano.
"Devon?", gracchiai con la gola secca. Ero sul mio letto, nella casa mia e di Sara. Vidi un bicchiere d'acqua sul comodino e mi allungai per bere, facendo strillare tutti i miei muscoli per lo sforzo.
"Calma, calma. Sono cinque giorni che sei incosciente, devi andarci piano", affermò con dolcezza mia sorella. Ripensai a come l'avevo trattata l'ultima volta che l'avevo vista. Ero stata veramente una stronza. Mi porse il bicchiere con una lentezza esasperante. Tracannai tutta l'acqua senza nemmeno respirare, procurandomi una tosse esagerata. Ne volevo ancora, lo gola continuava ad essere secca. Mi passai la lingua sul labbro per inumidirlo, ma ero arida come una piantina nel deserto.
"Fa male", piagnucolai rauca a Devon. Guardandola meglio, aveva un'espressione devastata, le lacrime ancora non scese rendevano il suo sguardo profondo e le sue occhiaie accentuate. Provai a muovere la testa per guardare lo sterno e capire l'entità del danno, ma sentii le forze venirmi meno e caddi sul cuscino stremata.
"Che cosa mi è successo?", il mio sussurro non era udibile nemmeno alle mie orecchie, ma mia sorella capì subito.
"Ora hai bisogno di riprenderti e riposare...", propose tentando di alzarsi dal bordo del letto. L'improvvisa forza che ritrovai per bloccare il suo braccio e per parlare mi meravigliò.
"Non posso riposare, mi hanno aperto lo sterno", ringhiai. Devon mi guardò aggrottando le sopracciglia. Spostò il suo sguardo dai miei occhi al mio cuore e dopo un attimo che parve infinito, distese l'espressione. La tristezza nei suoi occhi sembrò infinita.
"Non ti hanno aperto lo sterno", mormorò ripetendo le mie parole. Aspettai che continuasse, perché non avevo davvero le forze per formulare un'altra frase di senso compiuto.
"Il dolore che senti...", evitò i miei occhi, nel momento esatto in cui la voce si incrinò. Sentii un caldo improvviso, stavo per perdere i sensi.
"Devon, cosa mi hanno fatto? Sono morta?", chiesi in sussurro. Ma in fondo sapevo che la sua risposta sarebbe stata peggiore di un assenso.
"Herion", singhiozzò facendo traboccare le lacrime, "Herion è morto."
Questo non è possibile. Questo è un incubo.
E la voragine di dolore mi inghiottì con una prepotenza ben accetta, sperando di non risvegliarmi mai più nell'incubo in cui ero finita.

Anatema I - The CircleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora