11. La fiducia

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Spiegami meglio, dissi tentando invano di rimanere calma. Il quel preciso istante la figura di Michele davanti a me tremò, come se la sua anima fosse un ologramma poco definito. Avevo preso la mia decisione: se ci fosse stato davvero un assassino all'università, l'avrei fatto arrestare. Ma avevo bisogno dell'aiuto di quell'errante. Dopo avrei fatto trovare la pace a Michele, inghiottendo amaramente il pensiero atroce del dolore provato con Maddalena. Lui non si scompose, era intento a riordinare i propri pensieri.

Confine, prima ho bisogno di farti vedere una cosa, affermò calmo. La curiosità iniziò a vorticare incessantemente dentro di me, mi conoscevo troppo bene, mi sarei buttata a capofitto in quella storia.

Raccolsi la mia roba in biblioteca, decisa a portala a casa prima andare chissà dove. Uscita dal palazzo, trovai Michele a pochi passi da me, bellissimo come una scultura. I lineamenti marcati erano duri quanto affascinanti e più lo guardavo e meno riuscivo a distogliere lo sguardo. Mi diressi verso il garage per prendere la macchina, ma lui mi bloccò.

Non puoi... fare la stessa cosa che hai fatto in bagno? Ho bisogno che tu sia invisibile, chiese. La cosa mi preoccupò, quindi decisi di avvertire comunque qualcuno. Divenni un vuoto, sentendo il movimento energico di piccole punture sotto pelle. Cercai di chiamare la presenza di Grazia e lei apparve senza farmi aspettare. Le spiegai alla bell'e meglio la situazione, confidando nel fatto che avrebbe potuto tramite Irene contattare il Gotha nel caso mi fosse successo qualcosa. Volevo davvero fidarmi di Michele, ma non lo conoscevo. La cosa più sconsiderata che avessi fatto in tutta la mia vita era stato proprio fidarmi di qualcuno. E adesso, vedevo i morti. Lei annuì un po' preoccupata, ma non disse nulla. Tornai da Michele, sembrava su di giri e molto preoccupato. Le varie energie continuavano a scorrermi nelle vene.

Lui mise una mano con il palmo rivolto verso l'alto davanti a me e mi ci volle un secondo prima di capire che voleva gliela prendessi. La cosa mi imbarazzò più del dovuto e sentii l'energia convergere sul viso. Chissà se si poteva notare il rossore sulle mie guance. Avvolsi la mia mano intorno alla sua, il contrasto sembrava esagerato. Avevo davvero le mani così piccole? Lui strinse le dita intorno alla mia, il contatto era totalmente diverso dagli altri, molto più solido e reale. Alzai lo sguardo sul suo volto dipinto da un sorriso tentatore. Aveva incastrato il piercing sulla lingua in mezzo ai suoi denti perfetti. Avessi avuto il mio corpo, il cuore avrebbe smesso di battere, ne ero certa.

Pronta per il viaggio? Non pensare a niente, ti porto io.

Annuii, in realtà non ero proprio abbastanza lucida in quel momento per fare altro.

Il teletrasporto involontario era una delle sensazioni più belle e rilassanti del mondo. Per andare da una parte all'altra, ogni volta dovevo concentrarmi intensamente e qualche volta – se mi distraevo – finivo da tutt'altra parte. Lasciarsi trasportare era bello, ma totalmente ignoto. E l'ignoto mi paralizzava dalla paura.

Siamo arrivati, Confine, dichiarò dopo pochi secondi Michele, con la sua voce bassa e roca.

Eravamo all'interno di un ospedale. Anche se non sentivo l'odore, riuscivo ad immaginarlo guardando i muri bianchi e verde menta del corridoio. Il linoleum era di un verde bottiglia scuro. Dovevamo essere in un reparto di classe. Michele mi lasciò la mano e mi vergognai di non essere stata la prima a sciogliere quel contatto tra noi. Si materializzò circa cinque metri più avanti, alla fine del corridoio.

Solo dopo notai una famiglia in lacrime: seduta su una delle sedie d'attesa sedeva una bella donna sulla cinquantina. Aveva i capelli raccolti in una piccola coda di cavallo bruna, il trucco ormai sbavato dalle troppe lacrime versate, il volto scavato dal dolore. Di fronte a lei, flesso sulle ginocchia, quello che sembrava il suo compagno, un uomo dai capelli brizzolati e dall'espressione dura di chi sta soffrendo ma sa che non può crollare. Era lui la roccia della famiglia. Vicino a loro una ragazzina di circa sette anni, saltellava e dondolava sui talloni davanti ad una porta, cercando insistentemente di vedere dentro. Aveva una lunga treccia castana che volteggiava ad ogni suo movimento. Crucciai lo sguardo, non riuscendo a capire la situazione. Dopo aver dato una carezza invisibile alla bambina, Michele mi guardò con un'intensità unica. Fissò la porta davanti a sé e sparì.

Anatema I - The CircleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora