Prologo

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Mi chinai vicino una vetrina ben illuminata di Via Garibaldi. Era bellissima, colorata, piena di lucine ad intermittenza. Il Natale era nell'aria. Si sentiva ovunque, lo sentivo nelle ossa, nella nuvoletta di condensa che si formava ad ogni respiro, nella musica. Amavo il periodo natalizio, mi ricordava momenti spensierati, quelli della beata ignoranza.

Mi concentrai su una ciocca di capelli castani che ondeggiava sul mio cappotto, i capelli mi erano cresciuti così tanto senza accorgermene. Scontrando il mio riflesso sul vetro ebbi un sussulto. I miei occhi, un tempo solo azzurri, non riuscivano ad abituarsi all'eterocromia comparsa da qualche mese, come non riuscivano ad abituarsi a tante nuove cose. All'improvviso un altro volto comparve sul vetro, cercai di non spaventarmi o di urlare.

Aiutami, risuonò la flebile voce di donna nella mia testa. Tremai, ma non per il freddo. Era pallida e ricoperta di sangue. Il cranio aperto rendeva mezzo volto sfigurato. I vestiti erano sobri e totalmente incrostati di sangue rappreso e fango, il suo volto era cristallizzato in un ghigno aberrante.

"Non posso...", sussurrai più a me stessa che a lei, girandomi nella sua direzione. "Non so come fare", gemetti. I suoi occhi erano chiusi, la bocca distorta, ma la vidi annuire senza protestare. Ma non sapevo davvero cosa fare.

Era vero. Non sapevo come aiutare le anime in pena che si presentavano copiose alla mia porta.

Ripensai alla prima volta che vidi un fantasma, proprio il giorno dopo che i miei occhi divennero di due colori diversi – blu e nero. Ero fuori dall'ospedale, durante la notte due spilli infuocati continuavano a torturarmi i bulbi oculari, temetti di diventare cieca. Così, la mattina dopo – scossa dall'eterocromia – mi fiondai al pronto soccorso. Mi liquidarono non ritenendo il fatto importante.

La prima errante – così iniziai a chiamarle, poi – era quella un bambino biondo di circa sette anni, sembrava un comune essere umano. Era appoggiato sul marciapiede fuori dall'entrata, senza cappotto e senza genitori, con due occhioni nocciola smarriti.

Mi chiese dove fossero i suoi genitori, telepaticamente. Urlai in mezzo alla strada, credendo di impazzire. Ricordo rivoli di sangue che uscivano dalle orecchie e dalla bocca.

Avevo imparato a riconoscere le erranti, sia dal loro aspetto che dalla comunicazione silenziosa.

Sapevo di non essere pazza. Sapevo che dietro quella storia c'era qualcuno. Dovevo solo trovarlo, costringerlo a darmi una spiegazione, volevo che mi togliesse questa maledizione. Non avevo idea di quanto tempo ci avrei messo, ma di una cosa ero sicura: l'avrei trovato.

Anatema I - The CircleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora