14. Dichiarazione

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Dopo l'episodio imbarazzante del bacio mancato con Michele, decisi di invitarlo a cena per raccontargli tutto quanto. Iniziai con la festa di Gian ed Ale, proseguii con il bacio di Gabriel e il passaggio dell'Anatema, dell'organizzazione interna al limbo –  Gotha, vuoti ed erranti – del fatto che fossi l'unica ad avere determinati poteri, sui miei dubbi, la storia di Maddalena e quella di Bietto e Martina, per poi collegarmi al discorso fatto con Samuele. Lui mi ascoltò senza fiatare, assorto, e mi sentii sollevata e libera da un enorme peso. Non era ancora scappato a gambe levate.

"Forse i tuoi poteri sono così forti per via dei triangoli", elucubrò Michele ad alta voce, riferendosi ai posti di cui Samuele mi aveva parlato. Ero stata e in tutte e cinque le città del triangoli. Magia bianca e magia nera. Forse era vero, ma non potevo saperlo con certezza. Alzai le spalle, girando la pasta.

"Tutto può essere, ma dovrei fare qualche ricerca in più", mormorai.

"Se fossimo in un film fantasy, tu saresti una principessa dei morti, rimasta ibernata per millenni in attesa di riportare la pace tra le dimensioni", rise, "dopo averti scongelata come una fettina di filetto, saresti stata adottata da una semplice e modesta famiglia che ti avrebbe cresciuta con valori solidi e soprattutto lontanissimi dall'esistenza del sovrannaturale, e ti saresti ritrovata in piena adolescenza ad affrontare le sorti della maledizione", io mi pietrificai sul posto, assaporando il suono della sua risata e analizzando le sue parole scherzose. Si accorse prontamente dei miei muscoli tesi e con la coda nell'occhio lo vidi alzarsi e allungare una mano verso di me, per poi ritornare al suo posto, abbandonando l'idea di avvicinarsi.

"Ho detto qualcosa di male? Dai, Auri, stavo solo scherzando...", si lamentò. Poi rimase in attesa con gli occhi fissi su di me, desideroso di una spiegazione.

"Quello che hai detto sulla famiglia... ecco, insomma...", deglutii forte, "Ecco, io sono stata adottata."

I miei occhi erano fissi sulla padella in cui avevo messo delle fettine impanate, ma sentivo il suo imbarazzo come se fosse il mio. Volevo tranquillizzarlo, dirgli di non preoccuparsi, ma un rumore familiare mi fece perdere la concentrazione.

"Che buon odorino, stronzetta, che si mangia?", sentii la voce di Sara nel corridoio. Mi irrigidii, me ne ero dimenticata. Si tolse i tacchi alti e li buttò da qualche parte nella sua stanza – a giudicare dal rumore, Michele tratteneva un sorriso. Lei entrò in cucina poco dopo, con una salvietta struccante in mano e totalmente scalza.

"Oddio! Abbiamo visite!", strillò entusiasta saltellando sul posto. Mi vergognai come una ladra. Michele questa volta sorrise apertamente – un sorriso bello da togliere il fiato – e lo guardai allarmata mentre si alzava dalla sedia per presentarsi a Sara.

"Piacere, io sono Michele", dichiarò con voce profonda e sensuale. La sua voce era così accattivante che decisi di voltarmi verso la carne sul fuoco per non far vedere il mio rossore. Sara esitò prima di presentarsi a sua volta, non aveva notato a primo impatto quanto fosse affascinante il mio ospite. Balbettò qualcosa imbarazzata e poi si rivolse a me: "Posso farvi compagnia o volete stare soli?"

L'unica cosa a cui pensai fu che Sara non aveva la minima idea di quello che stavo passando, la storia del confine e tutto il resto inquietante della mia vita. Però poi rimuginai su quanto se la sarebbe presa ad una mia risposta negativa, quindi replicai: "Devi restare; se no chi mi farà i complimenti per la mia pessima cucina?", lei fece un sorrisetto compiaciuto e tornò in camera a cambiarsi.

Mi girai verso Michele e gli mimai un 'non sa niente' con le labbra.

Lui mi capì al volo ed annuì piano con la testa. Servii la cena alla bell'e meglio, con i piatti di plastica ed i bicchieri intramontabili ricavati dai barattoli di Nutella. Michele non sembrò nemmeno accorgersene, se ne stava seduto ad assaggiare e gustarsi ogni singolo boccone. Sara, dal canto suo, continuava a fissarlo senza tregua e notai che la cosa mi diede parecchio fastidio. Ma come potevo esserne infastidita? Michele era stupendo, affascinante, avvenente...sembrava un cattivo ragazzo, e questo giocava molto a suo favore. Ma questo non giustificava il mio fastidio. Michele non mi interessava, non in quel senso. Che mi stava prendendo?

"Insomma, come vi siete conosciuti?", chiese poi Sara, sbocconcellando la pasta. Ci guardammo intensamente. Io non avevo idea di cosa rispondere, non avevamo niente in comune. Niente a parte la morte.

"Aurora mi ha aiutato...con la fotocopiatrice della biblioteca", rispose lui, ed io sospirai di sollievo. Dal luccichio negli occhi di Sara capii che non le interessava minimamente la storia di come ci fossimo conosciuti, voleva sapere se Michele mi aveva chiesto di uscire, se ci stessimo frequentando. Ma non disse nulla a proposito, anzi; partì con il terzo grado alla C.S.I., tanto che notai il disagio di Michele.

"Preparo il caffè, tu lo vuoi?", domandai alzandomi. Sapevo che Sara l'avrebbe preso con me, era un nostro piccolo rituale abitudinario. Lui annuì: "Posso chiedertelo in tazza grande macchiato freddo?", ed io mi bloccai sul posto. Anche Sara si sorprese. La sua fronte aggrottata esprimeva un quesito tacito alla nostra reazione insolita.

"Non ho mai conosciuto nessuno che prendesse il caffè come Aurora...", mormorò Sara come se non fossi nella stanza. Lui si aprì in un enorme sorriso tentatore.

"Eh, siamo proprio anime gemelle...", disse lui enfatizzando la parola 'anime' con un tono super sarcastico. Simpatico come pochi, eh. Sara sembrò infastidirsi. Iniziai a spadellare nella zona fornelli per preparare il caffè, quando sentii la presenza di Michele accanto a me davanti al lavello. Si rimboccò le maniche, aprì l'acqua ed iniziò a strofinare le stoviglie sporche.

"Che stai facendo?", domandai sorpresa.

"Anticipo i tempi. Ora usciamo insieme e finiamo il discorso di prima", sentenziò calmo. "Se lavo adesso i piatti, dopo non avrai scuse per venire con me", dichiarò. Lo guardai imbambolata e subito dopo scoppiai in una risata così fragorosa da metterlo a disagio. Non chiese niente, continuò a guardarmi confuso. "Abbiamo la lavastoviglie", aggiunsi, sempre con gli spasmi incontrollati della risata. Lui divenne tutto rosso in volto e chiuse il rubinetto. "Potevi dirmelo prima...", mugugnò mentre portavo il caffè al tavolo.

Mi sentivo stranamente in colpa. Sara aveva proposto di andare tutti insieme in un bar. Avrebbe chiamato anche Nica, Gian e Ale. Ma non avevo nessuna intenzione di uscire, se non per finire il discorso con Michele, e non avevo voglia di vedere Gian. Sapevo benissimo che lei voleva stare più tempo con il bad boy, infatti notai la tristezza nei suoi occhi quando Michele le disse che avevamo un appuntamento. Non potevo nemmeno ribattere. Era più facile far pensare che ci frequentassimo, piuttosto che spiegare la vera storia.

"La tua amica, Sara...", iniziò lui uscendo dal portone. Il freddo mi investì e mi strinsi nel giubbotto, "è molto carina", concluse e fu come ricevere una pugnalata in mezzo alle scapole. Perché?

"Sì, ed è bella dentro come lo è fuori", confermai sincera. Perché ogni parola mi brucia in gola?

"E tu come sei?", ribatté lui. Io rimasi un po' spiazzata da quella domanda.

"Io...", presi un profondo respiro, "io ho il buio dentro", lapidai. Lui non rispose, soppesò le mie parole e poi domandò: "Ed io come sono, secondo te?"

"Ci sono quattro tipi di persone diverse. C'è chi appare buono fuori e lo è anche dentro, come Sara. C'è chi sembra marcio e lo è anche dentro...ed il mondo è pieno di questi soggetti. Poi ci siamo noi due. Io cerco di apparire migliore per nascondere il marcio; e secondo me, tu cerchi di apparire peggiore per nascondere il meglio: si vede da tutto; da come ti vesti, dai tuoi tatuaggi, dai piercing, dalla tua voce, dal tuo atteggiamento...vuoi essere considerato un cattivo ragazzo, ma non lo sei davvero", una piccola nube di condensa mi uscì dalle labbra, "Non so perché cerchi di nascondere il meglio, forse autodifesa. Ma comunque non sono affari miei", gli sorrisi. Camminammo a lungo, fino ad arrivare in centro. Era tutto molto illuminato, le strade erano semi-deserte, forse perché era lunedì e probabilmente anche perché il freddo era quasi insostenibile. Ci sedemmo su una panchina di pietra, un alone umidiccio la ricopriva, ma poco mi importava. Ispirai forte e mi venne voglia di urlare, ma non lo feci. Al contrario, rimasi muta, sentendo il respiro di Michele soffocato dai rumori cullanti della città di notte.

"Sara è carina...", soffiò lui, quelle parole mi infastidirono di nuovo e mi infastidì il fatto di provare fastidio per una cosa del genere, "ma tu...", continuò, ed il cuore mi balzò in gola per l'intensità della sua voce, "tu sei la cosa più bella che abbia mai visto in tutta la mia vita".

Anatema I - The CircleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora