30. Tempesta

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"Come mai sei qui?", sentii di nuovo. La voce era bassa e mi sentivo confusa perché non riuscivo a capire chi stesse formulando quella domanda. Aprii gli occhi sentendo i miei capelli arruffati e le palpebre pesanti. Ero circondata da quattro mura color lavanda, adagiata su un letto a due piazze. Mi concentrai sulla lampada a forma di stella, poi notai appoggiate sui comodini le fotografie mie e di Sara che - la cui età variava dai quattro ai dodici anni -aprirono un varco di nostalgia nel mio petto. Ero nella mia stanza, nella casa dei miei genitori adottivi.
"Entrambi sapete meglio di me chi sia vostra figlia", affermò Herion. Mi alzai lentamente per non avere un capogiro e raggiungerli in salotto, dove sicuramente Stefania Matteis aveva invitato il mio famiglio per prendere un caffè. Il profumo arrivava fino al corridoio.
"Sapevamo che dovevamo lasciarla andare. Ares e Ivana Cole ci hanno espressamente detto di non avere più rapporti con Aurora il giorno in cui sua sorella è arrivata qui", affermò calmo quello che credevo fosse mio padre.
"Non hai risposto alla mia domanda, perché non siete a casa di Aurora e Sara? Dov'è finita la sorella di Aurora?", riprese Stefania con voce stridula.
"Come suo famiglio, so che Aurora non avrebbe più voluto avere rapporti con loro, visti i recenti avvenimenti", si limitò a restare sul vago.
Rimasi nel corridoio, troppo in collera per entrare in soggiorno. Avevo i vestiti sgualciti e la testa che pulsava, ma decisi  di fare il primo vero passo in soggiorno alle parole: "Aurora non è mai stata realmente nostra figlia", dette da Stefania.
"Herion, andiamo", mi pronunciai a passo svelto verso la porta. Lui si alzò piegando la testa da un lato per salutare e mi seguì svelto. Sentii i tacchi di mia madre picchiettare sul parquet e il fruscìo dei pantaloni di velluto di mio padre a contatto con la stoffa del copripoltrona. Non volevo stare un minuto di più.
"A mai più rivederci, sconosciuti", mi congedai, prima di sbattere la porta blindata della mia vecchia casa.
"Dove stiamo andando?", chiese Herion aumentato il passo.
Lo guardai di traverso, alzando un sopracciglio e per tutto il tragitto non disse una parola.

~

Mi strinsi nel parka nero che indossavo. Mi sentivo a mio agio nei vestiti scuri, perché d'inverno davo meno nell'occhio. Ma in quel momento ero agitata, quei vestiti erano stati messi appositamente su richiesta di Samuele. Aspettavo su una panchina in piazza Castello ed il cielo tuonava. Herion mi seguiva a debita distanza, ma potevo percepire il suo sguardo vigile su di me. Mi accesi una sigaretta e guardai l'ora. Erano le dieci e mezza di sera ed era tutto così calmo da sembrarmi irreale. I lampioni e le fontane erano ancora rosa, reduci dalla festa della donna, e i pochi turisti che c'erano non smettevano di scattare foto. Inspirarai ed espirai fumo bianco per poi accorgermi di un tocco sulla spalla.
"Ciao, bellezza", un ragazzo scuro e con un vago accento straniero mi fece un sorriso sgradevolmente inquietante. Spostai la sua mano sentendo sul mio stesso volto una smorfia disgustata.
"Voglio solo fare amicizia...", continuò.
"Io sto bene così, grazie", risposi riluttante. Si piegò in avanti sorridendo, come se non avesse udito nemmeno le mie parole.
"Dai, non fare la difficile, non puoi permettertelo", sghignazzò, provando a rimettermi una mano sulla spalla. Non glielo permisi. Gli strinsi la mano e, passando sotto il suo braccio, gliela bloccai dietro la schiena. Imprecò e sputò a terra, lanciandomi una vagonata di insulti.
"Se non te ne vai subito ti spezzo il braccio", minacciai prima di spingerlo, facendolo finire per terra. Vidi Herion in allerta sotto al portico che circondava la grande piazza, ma al mio sguardo rassicurante non si mosse. Quando il ragazzo si allontanò, barcollando e lanciando occhiatacce nella mia direzione, sentii degli applausi dietro di me. Mi voltai troppo curiosa di sapere chi fosse lo spettatore silenzioso. Samuele era di fronte la panchina dove poco prima ero seduta io. Mi vennero subito i brividi, ma cercai di mascherarli attraverso la spavalderia.
"Sei stata...incredibile", mormorò passandosi la lingua sul labbro inferiore. Mi venne istintivo un conato, ma non mi mossi.
"Sei in ritardo", risposi invece, contro tutte le aspettative. Abbassò lo sguardo facendo un sorriso di scuse.
"Vieni, ti porto in un posto davvero carino", propose. E con il cuore in gola, lo seguii.

Anatema I - The CircleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora