Capitolo 13 : La Fabbrica

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Il Joker non guidava una macchina, cercava di battere il record della velocità della luce.

Mi aggrappai al cruscotto davanti a me e alla maniglia sopra di me con le mani, tutto contornato dalla cintura che mi teneva ben stretta al sedile. Mi sentivo in pericolo, molto di più di quanto mi fossi sentita quando ero stata legata al tavolo di ferro, completamente alla mercé del mio Puddin che stava per farmi l’elettroshock.

Poi lui scoppiò a ridere, piegando la testa prima all’indietro, emettendo un ringhio e voltandosi a guardare me.

“Dolcezza, ti porterò in un posto meraviglioso” esclamò e, se possibile, la macchina accelerò ancora di più. con essa anche il mio cuore, che si riempiva di gioia ogni qual volta mi sentivo sotto le sue attenzioni speciali. Come al solito, la sua risata contagiò anche me e un sorriso mi si stampò in faccia, mentre mi rilassavo e aprivo il finestrino, in modo tale che il vento nella macchina mi facesse ondeggiare i capelli. Dimenticai tutta la paura e i fremiti che sentivo per l’altra velocità e mi lasciai andare, pensando che mi trovavo con la persona con cui volevo essere.

Più di una volta vidi il Joker guardare nella mia direzione e il mio cuore si riempiva di felicità. Nonostante ciò, non gli chiesi nulla e nemmeno gli diedi da parlare. Volevo che quel momento così speciale non fosse spezzato da una possibile mia battuta non desiderata e da una sua sfuriata, anche se sarebbe stato adorabile vederlo arrabbiarsi. Chiusi un attimo gli occhi e mi permisi di immaginare le sue labbra sulle mie. Due volte lo avevo baciato, nel giro di qualche settimana, e lui non aveva mai ricambiato. Sospirai e mi passai una mano tra i capelli. Non capivo se non fossi abbastanza per lui o se semplicemente non gli piacessi. Riaprendo gli occhi, continua a pensare se tutto quello che sentivo non stesse nascendo solo nella mia mente. Mi ricordai chi fosse il Joker, mi ricordai come lo avevo conosciuto e arrivai a concludere che non sapevo se anche lui si fosse potuto innamorare di me.

Magari ama ancora la moglie morta.

La mia mano sbatté forte sul cruscotto e mi deliziai del dolore che provai. Era desiderato in quel momento, voluto per dimenticare tutto il dolore psicologico che stavo provando.

Come avevo letto in un libro per ragazzi, poco tempo fa, ‘il dolore merita di essere vissuto’.

Patetica.

Come immaginavo, l’uomo accanto a me non mi chiese per quale motivo avessi sbattuto la mano. E io sbuffai, molto infastidita. Mi sentivo sola in quell’abitacolo, nonostante la sua presenza fosse così viva. Lo sentivo battere ovunque e stare li dentro era una prova molto difficile.

Pensavi forse che sarebbe cambiato per te, zuccherino?

Scoppiai a ridere. Anche le mie vocine mi prendevano in giro e per giunta usavano il tono di voce del mio Puddin.

Mi voltai a guardarlo, concentrato, ma non troppo sulla strada, mentre sul volto gli si formava un cipiglio. Finalmente una reazione, anche se non capii per cosa si stesse creando.

“Che succede?” gli chiesi, voltandomi in tutte le direzioni, per vedere se ci fosse qualcosa che non andava.  E dietro di noi, notai una macchina nera come la notte, che ci inseguiva. I miei sensi scattarono all’erta immediatamente. Chiunque fosse, non avrebbe mai avuto il mio dolce Puddin.

“Abbiamo visite” sussurrò e poi aprì il cassetto davanti alle mie gambe, per estrarne una pistola, che mi consegnò. Mi guardò in faccia e prendendomi il mento tra le dita, ordinò:”Spara”, mentre sopra di noi un boato, determinava che qualcuno o qualcosa, fosse saltato sulla macchina.

Senza farmelo ripetere due volte, come da suo comando, iniziai a sparare al tettuccio della macchina, in modo tale che chi fosse sopra venisse colpito dai proiettili. Uno, due, tre spari e i rumori sopra di noi cessarono. Sapevo di aver ferito o ucciso qualcuno, ma non mi sentivo in colpa. Joker era salvo e quello era l’importante.

Harley & Joker Where stories live. Discover now