Capitolo 12 : Shot

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Arrivata a casa, mi buttai sul divano, chiudendo gli occhi per rilassarmi. Al lavoro era stata una giornata estremamente pesante, perché se il giorno dopo la strage effettuata dal Joker i ci si poteva permettere di piangere le persone morte, il giorno successivo al lutto, veniva richiesto, e preteso, che tutto fosse riportato alla sua normalità. Per questo avevo passato tutta la giornata a setacciare il sito internet in cui lo stato pubblicava i neo laureati in infermieristica e avevo preso in mano tutte le domande che erano arrivate via fax per i lavori da guardia che stavamo offrendo. Mi stupii parecchio che così tanti ragazzi volessero lavorare in quel posto, quando io ero stata l’unica persona a mandare un curriculum negli anni precedenti. Ma si sa, le tragedie fanno da pubblicità.

Probabilmente quello fu l’unico effetto positivo che il Joker avesse apportato a tutti.

Mi sdraiai sul divano e mi tolsi le scarpe, pensando che ancora dovevo chiamare il tappezziere per far modificare la stoffa sopra il mio divano macchiato. Erano passate settimane da quando avevo rovesciato il caffè li, eppure mi era completamente passato per la testa.

Troppo presa a pensare a Jokerino.

Mi toccai le tempie, e assaporai il dolce dolore che ancora mi procuravano i marchi lasciatemi dagli elettrodi. Sorrisi e mi girai di lato, trasalendo. Immediatamente mi tirai su a sedere, fissando negli occhi la persona che era spuntata davanti a me.

Che fosse solo un’allucinazione?

Li davanti  a me c’era il Joker, in tutta la sua bellezza. Era tornato.

Il mio cuore perse un battito.

“Cosa ci fai qui?” sussurrai, tutt’altro che spaventata. Più che altro mi sentivo, ancora, tradita. Mi aveva lasciata sola per due giorni, dopo che avevo accettato di farmi fare un elettroshock. Non potevo fare a meno, però, di sentirmi finalmente sazia.

“Oh, so che volevi vedermi dolcezza. E ora eccomi qua! Ottima recita davanti a quella poliziotta, complimenti. Ma sentiamo, perché mai non hai detto la verità? A quest’ora sarei morto, stecchito, fulminato, proprio come stavo per fare io con te” iniziò, canzonandomi per quello che avevo fatto il giorno prima. Se ne stava li, poggiato contro la mia parete di casa, osservandomi e parlando come se nulla fosse accaduto.

Mi alzai e andai davanti a lui, guardandolo ancora con in testa l’ipotesi che si potesse trattare solo di uno scherzo della mia mente. Gli presi il viso tra le mani e lo scrutai per qualche istante. Senza riuscire a trattenermi, mi avvicinai alla sua bocca e l’assaggiai, proprio come avevo fatto una sola volta, ma che era rimasta impressa per sempre sulla mia pelle.

Nemmeno quella volta ricambiò.

Infatti per tutta risposta si allontanò, sbuffando e facendo un giro su se stesso.

“Oh piccola, ingenua Harl” sussurrò ancora e mi ricordai perfettamente perché fossi arrabbiata con lui. le mie labbra pizzicavano e avrei voluto tanto fare in modo che anche lui provasse tutti quei pizzicori che lui induceva a me. Alle tempie, alle labbra. Così, sempre dalla stessa distanza in cui avevo avuto l’occasione di baciarlo, vidi brillare all’interno della sua giacca una pistola. Un’idea folle mi balenò in mente e decisi di darle ascolto.

Senza dire se e senza dire ma, infilai la mano nella sua giacca ed estrassi quella pistola, rigirandomela tra le mani. Per qualche istante lui rimase a guardarmi tranquillamente, senza il minimo sintomo di paura o di sfiducia nei miei confronti. Sapeva, immaginai, cosa provavo, perciò non lo avrei mai toccato. Volevo solo spaventarlo.

Qualche istante dopo, la pistola fu puntata sul suo petto.

 “Zuccherino, metti giù quella pistola, non avresti mai il coraggio di uccidermi” disse, alzando il tono della voce e scoppiando a ridere.

Harley & Joker Where stories live. Discover now