Capitolo 6 : Puddin'

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"Ti è piaciuta la rosa?" sussurrò Joker, appena la guardia si chiuse la porta alle spalle. Imbarazzata, mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio e annuì. Nonostante mi si fosse infilata una spina sotto la pelle, quel fiore era bellissimo e sapere che lui era stato a casa mia..

Bloccai quei pensieri ed alzai la testa per guardarlo. A sua volta lui fissava me, sempre con quello stesso sorriso inquietante e quello sguardo allucinato. Mi chiesi se stesse seguendo la terapia che gli avevo prescritto ieri. Probabilmente non lo stava facendo.

“Tu non hai nulla per me, invece?” chiese lui, guardandosi attorno, con falso fare da bambino. All’improvviso, un nomignolo con cui appellarlo mi venne in mente. Dolce rispetto ad una persona come lui, per questo, secondo me, perfetto.

“Cosa volevi che ti portassi Puddin?”chiesi a mia volta e il suo sguardo fu su di me. Lo sguardo allucinato di sempre fu sostituito da uno omicida. Qualcosa non andava, qualcosa non gli piaceva. Forse il nome, forse io. Mi si strinse il cuore.

“La prossima volta che verrai qui da me, mi porterai un qualsiasi regalo” ordinò e dentro di me scattò qualcosa. Mi sentii obbligata ad eseguire ciò che mi aveva chiesto e  iniziai a pensare ad un regalo che si potesse fare ad un serial Killer. Probabilmente già possedeva tutto, probabilmente le mie idee di ‘regalo’ non corrispondevano con le sue.

Però lui mi ha regalato una rosa.

Qualche istante dopo realizzai che questa fosse una seduta psichiatrica e che lui fosse il mio paziente. Così mi sedetti bene, con la schiena dritta e lo guardai in faccia, pronta a porgli le mie domande.

“Torniamo alla nostra seduta” sussurrai, per poi schiarirmi la voce, sperando che non avesse notato il mio tono incerto. Alzai lo sguardo e, prima di fargli una qualsiasi domanda, guardai la sua camicia di forza, incerta. Ieri, quella stessa, era stata tolta con troppa facilità. Oggi, se volevo che tutto andasse bene e che non mi uccidesse, dovevo essere sicura che quella fosse ben salda e che non potesse liberarsi di sistema di sicurezza. Così mi alzai e andai dietro di lui per stringere bene le cinghie.

“Non ti fidi proprio di me, pasticcino” sussurrò, per poi voltare la testa verso di me. I nostri visi furono ad un centimetro di distanza e le sue labbra scarlatte, mi fecero salire un brivido che salì fino allo stomaco. Il mio sguardo, poi, si posò sui suoi occhi e ancora una volta il suo sguardo divenne omicida. Non mi spaventò, però.  Mi morsi il labbro e mi sentii arrossire, mentre il mio respiro divenne palesemente pesante. Non mi ero mai sentita così con nessun’uomo.

A denti stretti lo sentì dire:”Ti piace ciò che vedi?” ma immediatamente mi allontanai. Voltai le spalle e tornai a sedermi dietro la scrivania, da dove dovevo fare il mio lavoro da psichiatra, per poter guarire quest’uomo pazzo.

“Oggi la dottoressa Smith mi ha procurato la tua cartella clinica” iniziai, ancora in debito d’ossigeno e per una volta, quando per l’ennesima volta mi interruppe, ne fui davvero contenta.

“Oh.. e hai visto qualcosa che ti spaventa?” chiese sussurrando e io mi bloccai. Per qualche istante nella mia mente ci fu il vuoto. Non avevo provato paura leggendo la sua cartella clinica, quell’emozione era stata sostituita da una molto, molto diversa e pericolosa.

La gelosia.

“Su, pasticcino, dimmi, provi terrore ad essere nella stessa stanza con me?”

Per un istante mi chiesi se quest’uomo non si nutrisse della paura stessa. Non solo gli piaceva infliggere dolore, ma godeva nel sapere che la gente provasse paura. Mi leccai le labbra e lo continuai a fissare negli occhi. Beh, questa volta sarebbe stato deluso.

Harley & Joker Where stories live. Discover now