Capitolo 3 : Harley Quinn

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Erano circa quindici minuti che i miei due colleghi ci avevano lasciati soli e da parte del Joker, ormai, ne avevo sentite di tutte. Usava appellativi di vario genere con me: zuccherino, pasticcino e dolcezza, erano solo una parte di tutti quelli che lui utilizzava.

Non seguiva i miei discorsi, non rispondeva alle mie domande e tutto ciò mi stava facendo irritare parecchio. 

“Signor Joker..” sbottai, ma ancora una volta, fui interrotta da lui e quel suo sorriso inquietante.

“Alt, ti ho già detto di chiamarmi J. Joker è così professionale. Non mi hai ancora detto come ti chiami tu” controbatté lui, piegando la testa di lato e guardandomi dritta negli occhi. Una fitta mi colpì dritta allo stomaco e abbassai la testa, guardandomi le mani.

“Io sono la dottoressa Quin..”

“Oh no no, zuccherino, io voglio un nome”

Alzai lo sguardo e vidi che si era allungato sul tavolo, nonostante fosse legato con una camicia di forza, per essere più vicino a me.

“Harleen” sussurrai, come se non avessi più voce.

Ma cosa mi stava accadendo? Possibile che fosse la paura? In fin dei conti mi trovavo davanti ad uno dei criminali più folli della storia dell’umanità. Ma no, sapevo perfettamente che quella non si trattava di paura. La paura ti faceva gelare il sangue e ti spingeva ad allontanarti da una persona, ma questa volta sentivo che dovevo curare il Joker, dovevo trovare una strategia che mai nessuno era riuscito a inventare e tirarlo fuori da tutto quel casino.

“Harleen Quinzel. Che buffo nome. Se sconvolgiamo le lettere e le modifichiamo un po’, esce il nome Harley Quinn, come arlecchino.. mi piace. A te piace, Harl?” disse Joker e sembrava veramente divertito nel prendermi in giro e farmi sentire piccola davanti a lui. Avrei voluto reagire, dire la mia, ma era come se la mia voce fosse nascosta da qualche parte nella mia laringe e non volesse uscire.

“Signor J” tentai di cominciare e vidi spuntare sul suo viso un enorme sorriso, molto, molto, inquietante e continuai:”vede, qui non siamo ad un colloquio tra amici. Io sono la sua psichiatra e lei è un mio paziente, perciò se non le dispiace, preferirei tornare a parlare di lei e di ciò che l’ha portata qua”

“Non c’è nulla da aggiungere. Ho ucciso circa un migliaio di persone e questa non è nemmeno la prima volta. E sa una cosa? Mi sono anche divertito molto nel farlo”rispose tranquillamente l’uomo e io deglutì a vuoto, guardandolo in faccia, mentre lui faceva la stessa cosa. Come poteva un uomo divertirsi nell’uccidere dei propri simili? In tutti gli anni di studio che avevo effettuato, mai mi era capitato di conoscere un caso del genere.

Alla fine, tolsi il contatto visivo e mi alzai per prendere un bicchiere d’acqua. Dovevo distrarmi per qualche secondo, altrimenti sarei impazzita.

Come lui.

Bevvi più acqua possibile e tornai a sedermi davanti a lui, che mi guardava ancora con quello sguardo allucinato.  

Abbassai la testa sul block notes e mi accorsi che in un lasso di trenta minuti, non ero riuscita a scrivere nulla. Solo allora scrissi una parola, ma molto importante per la diagnosi di una patologia:

schizofrenia.

“Cos’ha scritto?” chiese lui, allungandosi, ancora una volta, sul tavolo. Allontanai il foglio da lui.

“Nulla che la riguardi, signor J” scattai, alzandomi dalla sedia.

A quel punto Joker si sfilò la camicia di forza e venne davanti a me. Prese il foglio e lo lesse:”Schizofrenia? Me ne hanno dette anche di peggio. Impegnati un po’ di più, zuccherino”

Rimasi a guardarlo come impietrita. Come aveva fatto a liberarsi dalla camicia di forza? Nella mia mente affiorarono varie immagini di oggetti contundenti presenti nella stanza e come lui potesse usarli contro di me.

“Come..” sussurrai, ma la sua mano fu sulla mia bocca prima che io potessi articolare altre parole e come avevo immaginato, mi avvicinò alla gola un tagliacarte e sentì il freddo del metallo premere su di essa. “L’odore della tua paura è così dolce pasticcino. Chissà com’è quello del tuo sangue, potrei divertirmi parecchio a torturarti e poi farti trovare senza vita qui, in questo ufficio. Forse imbratterei le mura stesse con il tuo sangue, in modo da dare un po’ più di colore al tutto. Diventerebbero del colore dei tuoi vestiti, non male, vero?”

Deglutì e poi lo guardai negli occhi, verdi come i suoi capelli. Nessuno sapeva come se li fosse procurati, si sapeva solamente che non fossero il risultato di una tintura.

Improvvisamente mi venne in mente un’idea. Se per lui la paura era divertente, un gioco persino, gli avrei rovinato i piani.

“Sicuro, J? Non sono una ragazza che prova molto dolore, anzi, devo dire che non mi lamento mai. Perciò se vuoi uccidermi fallo pure, non ho paura” dissi, fissandolo e scorsi qualcosa nei suoi occhi.

Rassegnazione?

“Mi hai rovinato il gioco, cattiva ragazza” esclamò, scoppiando a ridere. Ancora quella risata isterica ed inquietante, che mi fece venire la pelle d’oca, ma allo stesso tempo una fitta allo stomaco.

“Ora rimettiti la camicia di forza, che ti faccio riportare in cella” e la raccolsi, per poi porgergliela.

“Di già? Non ti va di divertirti ancora un po’?” chiese e il suo sguardo allucinato mi fece pensare a vari modi in cui lui volesse divertirsi, molti dei quali non rientravano nelle mie classifiche.

“No, per oggi basta così” dissi a denti stretti, senza più guardarlo. Sbirciai per controllare se si stesse rimettendo la camicia e poi mi alzai per aiutarlo ad allacciarla. Ogni passo verso di lui era come andare al patibolo. Non mi piaceva averlo così vicino, era come se lui fosse la morte fatta persona.

Quando gli fui davanti, presi i lembi della camicia e strinsi con forza, per poi allacciarla sul di dietro.

“Sei molto forte zuccherino.. potresti essermi utile più avanti” fece lui, scoppiando, ancora una volta, a ridere.

E con questo cosa intendeva? Alzai lo sguardo e lo guardai negli occhi. Lui ricambiò il mio sorriso, montandone uno molto più inquietante.

“Non mi guardare in questo modo Harl, potrei anche sciogliermi” sussurrò e io distolsi lo sguardo, per poi andare alla porta e avvisare la persona che stava di guardia, che poteva riportare il Joker nella sua cella.

L’uomo lo prese e lo iniziò a trascinare, mentre il Joker opponeva resistenza.

“Domani. Voglio essere ancora qua” disse fermamente e sapevo esattamente che non fosse una richiesta, ma un ordine.

Harley & Joker Where stories live. Discover now