PRIGIONIERE DI UN'EPOCA

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"Non è mia. E' di Nadine Low. Appartiene a lei. Solo a lei".

Si accigliò. "Non volete prendervene carico?".

"Lo farò", annuii, solenne. "Ma ciò non toglie che non ho alcuna intenzione di farmi chiamare padre da una figlia che non mi appartiene per sangue".

"Lord Renuar", attaccò, confidenziale, "quando lo direte alla nostra Signora non ne sarà affatto contenta. Il vostro rapporto in questi ultimi mesi è divenuto molto forte e stabile e lei si fida di voi".

Sorrisi di sbieco, abbassando lo sguardo. Era difficile sostenere gli occhi di un uomo mentre stavi sbandierando la tua resa. "Il fatto che non abbia tentato di uccidermi non significa che voglia una famiglia con me".

"Voi l'amate", non demorse. "Forse col tempo...".

 Mi schiarii la gola e la sua voce si troncò, in bilico sull'ultima sillaba.

"Sì, la amo. Per quanto poco glielo abbia dimostrato. Ed è proprio per questo che non voglio si senta mai legata a me". 

"Non vi seguo".

"Fare da padre a sua figlia la obbligherebbe ad una vita al mio fianco e non è ciò che lei desidera". Sbirciai verso la sua finestra, chiusa per tenere fuori dalla stanza la luce e il freddo. 

"Vi metterete da parte, dunque?", sembrava dubbioso.

"Ho smesso di lottare per lei da quando mi ha inchiodato in quel letto, diagnosticandomi una malattia di cui non ero affetto".

Abbozzò, trattenendo un sorriso divertito. Per quanto sulle prime mi ero infuriato come mai in tutta la mia vita, nella calma della meditazione avevo trovato il nesso tra le mie esigenze e quelle di Nadine, e persino per me era divenuto impossibile non ridere di me stesso. Mi ero lasciato raggirare da una ragazzina, consentendole di giocare a proprio piacimento con il mio orgoglio. Il mio valore di cavaliere era andato a farsi benedire e non aveva trovato alcun conforto negli occhi privi di rammarico di Nadine. Ma arginata la rabbia, ecco che era comparsa la razionalità. Meritavo ogni cosa che quella donna mi aveva fatto.

"Siete ancora furioso con lei?".

Scossi la testa, ricambiando il suo sorrisetto appena nascosto. "In principio, sì, lo ero. Dio solo sa a che Santo ho dovuto votarmi per non cedere alla tentazione di strozzare quella piccola vipera dal cervello incantevole quanto pericoloso. Tuttavia non posso incolparla di aver macchinato un simile piano per non diventare la mia amante. L'avevo messa spalle al muro e non è donna da accettare un oltraggio simile. Il suo intelletto le è venuto d'aiuto e non posso punirla per essere più intelligente di altre donne".

"Quindi avete smesso di lottare per lei per via della sua intelligenza", tirò le somme, scuotendo la testa con fare comprensivo. 

"Ho smesso di lottare per lei quando ho compreso che pur di non essere mia si era abbassata ad essere una donna meschina. E lei è molto più di questo". Diedi una pacca sul sedere di una capra, sospingendola verso le altre quando si avvicinò a brucarmi accanto. "L'amore malato rende cattivi e falsi. Io, la rendevo così. Comprendete ora?".

La sua mano planò forte contro la mia spalla, dandovi due colpetti confortanti. "Comprendo che l'amate più di quanto volete dimostrare".

Scrollai la spalla per concludere il momento confidenziale. "Andate ora. Trovate la levatrice e sospendetela dal suo incarico. Da questo momento potremo vantare le abilità di una dottoressa di gran lunga più capace".

 POV NADINE

Attesi il dottore del villaggio per tutto il pomeriggio ma quando cominciarono a calare le ombre della sera Clark mi informò che non sarebbe passato. Il motivo era semplice: era fuori questione che un uomo potesse esaminare una donna così intimamente. Si preferiva che morisse, anziché turbare il suo pudore o sollecitare la gelosia del proprio marito. 

Ed io, essendo ancora per legge legata ad Alec, fungevo da ottimo deterrente per ogni uomo. Nessuno si sarebbe mai messo contro il proprio Signore. Soprattutto se il Signore in questione portava il nome di Alexander O'Braam.

"Questi costumi arcaici mi fanno impazzire di collera", sbottai, incurante del sonno leggero di Zoe.

Clark si avvicinò al caminetto, sistemando alcuni ceppi di legna. "E pensate che una volta al villaggio si è verificato un parto molto più complicato del vostro. Le contrazioni si erano fermate e il bambino non riusciva ad uscire. Il nostro dottore avrebbe potuto salvargli la vita  ma la famiglia ha preferito non ricorrere al suo aiuto". Si sollevò, lisciando la gonna. Dietro di lei il fuoco scoppiettò e alcune scintille schizzarono accanto ai suoi fianchi. "Il bambino è morto nel ventre della madre".

Digrignai i denti. "Piuttosto la morte di un bambino che l'onta di mostrare a un uomo un ventre femminile".

"Vi sorprendete di cose banali, mia Signora", mi fissò stranita, passandomi una brocca d'acqua tiepida. "Tenete, versatela in quel catino".

Le strappai la brocca dalle mani. "Banali? Una morte non è mai banale e qui si tratta di omicidio".

"Omicidio?", rise, voltandomi le spalle per andare ad aprire il baule ai piedi del letto. Rovistò all'interno finché trovò una pezza pulita. "Siete troppo dura, mia Signora. Morire di parto è onore".

Feci scattare in alto le sopracciglia. "Un onore?".

"E, dopotutto, nemmeno vostro marito avrebbe tollerato su di voi una visita così intima".

Ripensai alla visita ginecologica a cui aveva assistito nel futuro e a come aveva reagito quando il dottore mi aveva fatto sollevare la maglietta. "E' probabile, in effetti".

Di colpo, per quanto non lo desiderassi, a quel pensiero ne seguirono molti altri legati alla mia vecchia vita. Chiusi gli occhi e ripensai alla Scozia del XXI secolo con i supermercati pieni di prodotti per neonati, ai pacchi di pannolini, al borotalco, alle vaschette per i bagnetti di plastica rosa per tuffare i piccoli nell'acqua tiepida fra giochini galleggianti, alle tutine di spugna, ai bavaglini, ai ciucci...

Zoe non aveva niente di simile. Dormiva in un'amaca legata al mio letto, in un mucchietto di fieno dal quale bisognava scacciare continuamente le mosche, avvolta in un panno morbido che dovevo lavare ogni volta che urinava e rimetterglielo quando era ancora umido.

Non aveva nemmeno un padre.

Mi chinai sopra di lei, osservando il modo in cui le sue palpebre vibravano durante il sonno e una lacrima che non riuscii a trattenere planò sulla sua guancia arrossata e paffutella.

Nascere femmina in quest'epoca era una sventura. Pensarla sposata a dieci o dodici anni, buttata nelle braccia di un uomo molto più vecchio di lei, mi faceva tremare fin dentro le ossa. 

"Io non ho un marito", mormorai, ricacciando in gola il fiume di lacrime ormai in piena. "E Zoe non ha un padre".

Clark ripiegò la pezza e l'adagiò sulle gambe di Zoe. "Come avete detto, mia Signora?".

"L'11 novembre 1612 è nata in cattività una bambina di padre ignoto, figlia di Nadine Low e di nessun altro. Siamo solo due prigioniere in più in quest'epoca".




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