6.Gli Eschimesi sono persone passionali

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Sto entrando in fase zen.
Quella fase in cui entri solo quando hai 50 anni, sei madre di sette bambini, ognuno del quale fa parte di una setta che spaccia droghe ai bambini dell'asilo, e allora sei costretta a chiudere un occhio, e magari anche l'altro, ed entrare in casa e urlare che è pronto il minestrone.
Quella fase in cui entri solo e solo se sei costretto dalle esperienze terrificanti della vita, come quando esci di giorno e scopri solo quando rientri in casa che hai avuto un calzino blu e uno giallo tutto il tempo.
É una di quelle fasi di cui tutti hanno paura, come i mariti il giorno in cui la moglie partorisce, che rimangono in sala d'attesa ad aspettare e camminare avanti e indietro, scuotendo per le spalle ogni malcapitato che passava di lì per caso.
Prendo dei bei respiri mentre controllo l'ora sull'orologio appeso alla parete della cucina. 3.49 di pomeriggio.
Justin ha detto che sarebbe venuto verso le 4, e sono qui ad aspettarlo dalle 2, sperando in chissà quale miracolo.
Ho cercato su Google la sua nuova macchina: una Ferrari.
La fine che hanno fatto le altre macchine nessuno lo sa. Si sono disperse, sono finite in un universo parallelo e si stanno abbuffando di pollo, altro che benzina.
Mi immagino il rombo del motore della macchina per le strade silenziose di Toluca Lake, come scatenerebbe la curiosità e l'invidia dei miei vicini, soprattutto di quella vecchia stronza che da quando è inciampata sul suo chiuaua, ogni volta che mi vede mi spruzza acqua santa addosso e col gessetto mi disegna un cerchio bianco intorno.
Controllo l'ora di nuovo. 3.51. Eh, minchia, però. Così non vale.
Gli do ancora due minuti prima di alzarmi da questa sedia, prendere una valigia, trasferirmi in Messico, cambiare il nome in Abelardo e darmi allo spaccio di numeri di celebrità per le stradine.
Però lì fa caldo. Dovrei portarmi dietro lo scoiattolo che fa le puzzette che spengono gli incendi delle foreste, ecco.
Il campanello di casa suona e mi fiondo fuori dalla cucina. Mi sistemo bene i capelli e apro la porta, trovandomi davanti Justin Drew Bieber, il ragazzo bianco del Canada, bambino scoperto su YouTube e passato da adorabile creatura innocente a una divinità scopabile in modi che sarebbero illegali in tutti i 51 stati d'America.
Mi passa la mano davanti al viso più volte, mentre io resto immobile ad immagazzinare i lineamenti del suo volto, perfettamente scolpito da chissà quale bastardo che non ha dato la possibilità di essere figa anche a me.
Solo perchè non sono Canadese, scommetto!
"Eve?" Tenta Justin.
Ah, che suono soave sento provenire da quelle labbra.
Sarebbe considerato stupro se lo incatenassi al letto nudo e mi facessi la famosa cartella porno da sola?
"Eve?"
Non avere pensieri perversi. É illegale, è peccato capitale.
Mi arriva uno schiaffo in faccia e mi premo la mano sulla guancia di scatto, guardando Justin in cagnesco. "Ma che problemi hai?!"
"Mi stavi esaminando a raggi x!" Si giustifica, entrando in casa e dirigendosi verso la cucina.
Prego, fai pure come se fossi a casa tua. Chiudo la porta e lo seguo.
Justin si siede sullo sgabello dove ero seduta prima io e io scuoto la testa. "No, quello è mio."
Mi lancia uno sguardo divertito. "Sei una di quelle?"
"Di quali?" Inarco un sopracciglio mentre cerco di farlo scendere.
"Quelle che hanno i posti fissi a tavola." Dice tranquillamente, passando il dito sul bancone di granito.
Faccio spallucce e riprendo il mio bicchiere pieno di succo d'arancia. "No, ma questo sgabello è verde e a me piace il verde."
Annuisce. "Ok, allora."
Sorrido mettendo giù il bicchiere. "Allora, qual buon vento ti porta qui?"
Sorride altrettanto allegramente. "Passavo qui dopo 16 ore di aereo e pensavo di entrare qui a fare un giro."
"Interessante." Vado al frigo. "Hai sete?"
"No, ma ho fame. Andiamo a pranzo?" Chiede, alzandosi dallo sgabello giallo.
"Sono le 4..." Lo guardo confusa.
"Ok, allora andiamo a cena." Mi sorride e si avvia fuori dalla cucina.
Resto immobile a fissare il suo... Come vogliamo chiamarlo? Chiamiamolo Tom.
Qualcosa mi colpisce la spalla e mi rianimo, vedendo Justin ridere. "Andiamo!" Apre la porta e mi fa cenno di uscire.
Eseguo l'ordine e richiudo la porta alle nostre spalle.
"Dov'è la macchina?" Chiedo, immaginandomi come ci si debba sentire importanti a bordo di una Ferrari.
Specialmente se è di Justin Bieber.
"Niente macchina, andiamo in moto." Spiega, incamminandosi verso una Ducati nera e rossa parcheggiata proprio davanti a casa mia.
Non mi muovo di un millimetro mentre fisso la moto. Mia mamma ha avuto un incidente in moto qualche anno fa, e da quel giorno, almeno tre volte a settimana ha delle crisi epilettiche che nemmeno la bambina di L'esorcista ha.
"Vieni?" Justin mi porge il casco da lontano e mi mordo il labbro.
"Ecco, io... Non penso sia una buona idea, sai?" Dico, facendo spallucce.
Ride. "Hai paura?"
"No!" Mi affretto a dire, facendo una risatina nervosa. "Ecco, quella moto è... É... Mi ricorda quella del mio ex! Dove abbiamo, um, consumato il nostro rapporto. E dove mi ha tradita con la mia migliore amica."Butto lì, per poi darmi schiaffi mentali senza sosta.
Sono un caso perso.
Inarca un sopracciglio. "Avete fatto sesso su una moto?" Chiede dubbioso.
Faccio spallucce e dondolo un po' sul posto. "Sì."
"E com'è?" Appoggia i gomiti sul manubrio e mi guarda interessato. "Cioè, è comodo? Non avevate freddo?"
"Sai, in momenti come quello, non penso si possa avere freddo. Ecco perchè gli igloo si sciolgono dopo un po'. Si dice che gli Eschimesi siano persone passionali!" Tento un sorriso e lui mi guarda divertito, trattenendo una risata.
Ci guardiamo per un po' in silenzio, finchè non sbuffo. Stronzo. Lo fa apposta.
"Va bene, mi sono inventata tutto, andiamo." Lo raggiungo e gli prendo il casco dalle mani, mettendomelo in testa e allacciandolo sotto il mento.
Justin sale sulla moto e mi prende la mano, aiutandomi a sedermi dietro di lui.
Mi aggrappo a lui prima ancora che sia riuscito a mettere in moto, come se da lui dipendesse la mia vita.
E in un certo senso è così.
"Eve?" Justin allenta la mia presa intorno alla sua vita.
"Dimmi." Borbotto incerta, infilando le unghie nella sua giacca di pelle. "E non morire!"
Ride. "Ci sono più probabilità che tu mi uccida stringendomi così, che mi uccida un qualsiasi incidente che potremmo fare." Dice, mettendo in moto e partendo, mentre io mi trasformo in uno di quei tibetani con sei braccia e mi aggrappo a lui anche con le costole.

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