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Alla fine avevo lasciato anche il lavoro. Non volevo più saperne di spettacoli, di ballo, di luci, di musica, di qualsiasi cosa che mi ricordasse lui.

Il che non era semplice perché anche respirare mi ricordava lui.

Avevo preso il primo volo disponibile per tornare in Australia, nella quartiere triste della città dove io e Michael avevamo acquistato una casa qualche mese prima.

Prima di salire sull'aereo, avevo desiderato che l'aereo precipitasse.

Durante il volo, con ogni turbolenza desideravo addormentarmi e non svegliarmi più.

Atterrata, speravo che un taxi potesse investirmi.

Entrata a casa, ero crollata sul pavimento di legno del soggiorno ed ero scoppiata a piangere.

La casa era fredda, sapeva di cose tristi e abbandonate, come me. Non avevo acceso il riscaldamento, non avevo disfatto i bagagli, non avevo niente che avesse senso fare per continuare a vivere.

Avevo gettato a terra tutti i quadri e le foto di me e Michael, senza curarmi dei frammenti di vetro sul mio corpo. Mi distraevano dal pensiero della sua assenza, e non c'era altro che potessi chiedere.

Qualcuno aveva suonato alla porta, immaginavo le buste fuori dalla porta che aumentavano, la segreteria telefonica con messaggi per me, ma non sentivo più niente.

Ero immobile, e in un momento in particolare, quanto sentii del vetro nel palmo della mano, mi risvegliai per poco, e mi resi conto che non stavo impazzendo, perché lo ero già diventata mentre Michael era in coma. Dipendevo così tanto da lui, così troppo, che senza di lui era come se non ci fosse più nessuna gravità che mi tenesse su questa terra.

Dovevo andarmene.



+++


ehi(:

so che mi odiate tutti per come ho deciso di far andare avanti questa storia, ma finirà tra poco e ho scritto una nota finale per spiegarvi il mio punto di vista (: mi scuso anche per non aggiornare spesso ma ora dovremmo esserci ✨

-lu

Cathartis; Michael CliffordWhere stories live. Discover now