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Desideravo con tutta me stessa poterlo abbracciare.

Desideravo con tutta me stessa potermi accertare del fatto che lui fosse vivo e vegeto.

Desideravo con tutta me stessa poter vivere felice insieme a lui.

Ma erano passati tre mesi, e il dolore non si era ancora attenuato. Non ero felice, era come se fossi stata bruciata anche io, come se continuasse a respirare e camminare perché c'era stato qualcosa di sbagliato nell'ingranaggio.

Che senso aveva vivere?

Che senso aveva svegliarsi al mattino, mangiare, sorridere, quando non c'era più nessuno con cui condividere tutto questo?

Avere la consapevolezza di essere rimasta sola e abbandonata in ogni momento, senza pace, perché era quello in fondo che importava.

Avrei voluto strapparmi di dosso la mia stessa pelle, scapparmene di lì e raggiungere Michael, ovunque fosse.

E nonostante non mi strappai letteralmente la pelle di dosso, decisi che, lentamente, avrei intrapreso il mio cammino per abbandonare completamente me stessa. Per andarmene alla deriva e raggiungere lui, in qualunque posto.

E se anche non lo avessi raggiunto, non avrei più provato quel dolore nel petto che mi impediva quasi di respirare, di deglutire, sentivo il cuore che veniva letteralmente spezzato dentro di me, ecco cos'era la definizione di cuore spezzato.

E non volevo vivere con il mio cuore spezzato per trascorrere una vita infelice, sola, e che non avevo più voluto. Avevo rifiutato la vita nello stesso momento in cui quel monitor era rimasto in silenzio.

Ero come Giselle? Ero impazzita anche io? Probabilmente. Sarei finita anche io in un cimitero buio e solitario a consolarmi del mio cuore spezzato con altre persone che avevano provato lo stesso e che avevano deciso che era tutto troppo?

Forse.


Cathartis; Michael CliffordWhere stories live. Discover now