Capitolo 10: Forgive and forget

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Capitolo 10

Aiden

Restai a fissare la porta dalla quale Hayley era uscita poco prima per un tempo che mi parve infinito, senza riuscirmi a togliere dalla testa lo sguardo ferito che le avevo visto riflesso negli occhi quando le avevo gridato addosso, lasciando che la collera mi controllasse e prendesse il sopravvento su di me. Ancora una volta non ero riuscito a domare il mare in tempesta che imperversava dentro di me, lasciando che portasse nient'altro che distruzione al suo passaggio, consumando tra le sue acque le imbarcazioni dei marinai che sarebbero naufragate in quel mare di segreti, dolore e rabbia.

L'hai ferita.
Lo so.
Te lo avevo detto che lo avresti fatto.
Lo so, sono un idiota.
Su questo, mi trovi pienamente d'accordo.

Mi portai una mano alla guancia, ricordando il tepore che quella di Hayley mi aveva diffuso in corpo nel momento in cui l'aveva sfiorata. Era stato come essere accarezzato da una rosa dai petali delicati e fragili.
Il rubinetto accanto a me continuava a gocciolare e notai che, sul lavabo, era poggiato l'asciugamano bianco che lei aveva usato per ripulirmi le ferite che Matt mi aveva inferto e che erano state il frutto di quell'odio reciproco che provavamo l'uno nei confronti dell'altro. L'asciugamano assunto una colorazione a metà tra il rosso e il rosa a causa delle macchie di sangue che si erano mischiate all'acqua di cui era completamente inzuppato. Il profumo di mango persisteva a riempirmi le narici ad ogni respiro e io non riuscii a fare a meno di desiderare che si mescolasse a quello di cannella che caratterizzava Hayley, che mi avessi potuto riavvolgere l'orologio di qualche minuto onde evitare che le sputassi addosso una serie di parole velenose che non si meritava di ascoltare.
Dovevo scusarmi con lei, non si meritava di essere trattata a quel modo.

Grazie, capitan ovvio.
Lo sai, che quando si parla di Bella impazzisco.
Non è una giustificazione.

Mi incamminai a grandi falcate fuori dal bagno, attraversai il corridoio e, quando raggiunsi la pista da ballo, la vidi. Hayley era lì, al centro del soggiorno di Stacy, intenta a ballare per conto suo con gli occhi chiusi, in mezzo ad un mucchio di persone che non conosceva. Era come se il suo corpo si stesse muovendo, seguendo il ritmo della musica, ma la sua mente si trovasse da tutt'altra parte e in quel momento alla mia mente riaffiorò il ricordo del giorno in cui l'avevo vista per la prima volta. A guardarla, mi risultava difficile credere che poco prima fosse stata tanto ferita dalle mie parole e ciò mi diede a pensare che, forse, quello era il modo di reagire di Hayley: ignorare il dolore fino a quando non diveniva troppo forte e pesante per poterne reggere il peso, per poi prendere il sopravvento su di lei.
Iniziai a fare lo slalom tra i corpi di diversi adolescenti che si strusciavano gli uni sugli altri al ritmo della musica martellante che riempiva il soggiorno di Stacy, illuminato solo dalla lampada posta poco distante dal piano bar gestito da Sam che emetteva una fioca luce violacea. La stanza era disseminata di bicchieri di plastica vuoti e di cannucce abbandonate sul pavimento, il tavolo da biliardo era accerchiato da alcuni studenti che erano intenti ad assistere ad una partita tra due ragazze che, anche da quella distanza, mi sembravano tutto fuorché sobrie. Notai Kyla vicino al piano bar, era intenta a parlare con Maya, la sua migliore amica, il volto quasi completamente oscurato e i capelli biondi che riflettevano il bagliore argenteo della luna che filtrava dalla finestra posta alle sue spalle. Da quella distanza, per un attimo, mi ricordo Bella, ma tentai di affogare quel pensiero nelle profonde acque della mia mente, sperando che non avrebbe trovato il modo di riemergerne.
Quando raggiunsi Hayley, costrinsi un ragazzo che era in procinto di ballare assieme a lei ad allontanarsi e non trascorse molto tempo prima che riaprisse gli occhi, quasi si fosse appena svegliata da quel suo stato di pace per tornare alla realtà e fissò le sue iridi ambrate nelle mie.
Afferrai la mano di Hayley e la condussi verso il giardino, ignorando le imprecazioni da lei avanzate che, probabilmente, erano la conseguenza di quel mio gesto e del fatto che non volesse affatto parlare con me.
La grande porta a vetro che conduceva al giardino era semi aperta e riuscivo a percepire la fresca brezza serale figurare attraverso l'apertura, varcai la soglia e mi sforzai di ignorare coloro che erano intenti a pomiciare o a rimettere l'intero contenuto del loro stomaco sul prato accuratamente falciato e condussi Hayley verso uno dei grandi alberi che costellavano il giardino.
Il vento mi scompigliava i capelli e spingeva alcune delle ciocche di Hayley ad accarezzarle il viso che era illuminato dai raggi lunari che parevano baciarle la pelle del volto ed accentuarne la sua bellezza mozzafiato.

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