13. Beatris

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È venerdì.
Dimettono questa mattina Stiles dall'ospedale.
Anche se si è risvegliato, ha avuto bisogno di cure e controlli.
Soprattutto perché i medici hanno dovuto dare una spiegazione che tre tagli, profondi alcuni centimetri, si sono rimarginati nell'arco di un giorno.
E poi aveva bisogno di riposare, era ancora molto debole.
Durante la settimana sono andata a trovarlo ogni giorno. Gli raccontavo di ciò che accadeva a scuola e parlavamo di fatti vari.
Nessuno ha ancora capito come io abbia fatto a far rinvenire Stiles.
Forse erano distratti. O forse, semplicemente, non potevano vedere l'aura azzurra sprigionata dalla mia mano.
Comunque, non ne hanno parlato. E Stiles non ci vuole dire cosa sa, riguardo alla notte in cui si trovava nel bosco ed è stato attaccato.
Probabilmente non se lo ricorda e basta.
Posso compatirlo.
E poi, è già un miracolo che sia ancora vivo. Per questo ringrazio il Cielo.
Strano che io l'abbia capito così tardi, senza Stiles non posso vivere.

Suona la campanella dell'ultima ora di lezione.
Esco dall'aula, poso i libri che non mi servono nell'armadietto e poi mi incammino verso casa.
Non ho voglia di farmi dare un passaggio in macchina, quindi vado a piedi.
Mi infilo le cuffie nelle orecchie ed inizio ad ascoltare la musica.
Faccio partire la riproduzione casuale ed esce Life In Technicolor, la canzone che ho ascoltato in macchina con Stiles la prima volta che sono andata a scuola con lui.
Non posso fare a meno di sorridere.
Mi sento un'idiota quando sorrido così, cosa pensa la gente? Ma di gente qui non ce n'è.
Volgo lo sguardo verso il cielo grigiastro autunnale, non manca molto al tramonto.
Non manca molto a Stiles.

Lancio la borsa sul portico davanti casa per poi dirigermi velocemente da lui.
La Jeep è tristemente pacheggiata lì davanti da una settimana, anche a lei è mancato Stiles.
Suono il campanello ed attendo.
Mi aspetto che apra lo sceriffo, dicendomi che suo figlio è in stanza e che si è appena svegliato; di salire ed incontrarlo spettinato, in pigiama e con le borse sotto agli occhi, mentre guarda Guerre Stellari con il computer sulle gambe.
Invece esce lui, vestito di tutto punto. Più bello di quanto io l'abbia mai visto, con un incantevole scintillio negli occhi.
Ci guardiamo per qualche secondo, contemplandoci in silenzio.
Poi lo abbraccio.
«Mi sei mancato così tanto, Stiles.
È la prima vera volta in cui ci abbracciamo da tanto tempo, in cui siamo soli.»
«Anche tu, Beatris» mi dice, «Voglio farti vedere un posto.»

Trascorriamo tutto il tragitto in silenzio, ascoltando solo i rumori della vecchia Jeep.
Lo guardo. Il suo profilo delicato è illuminato dal sole, facendogli scintillare i caldi occhi marroni.
Lui è concentrato sulla strada e non si accorge di me.
Lo trovo più freddo e perso, ultimamente.
Quella notte lo ha cambiato.
Ho paura che si allontani troppo da me.
Ho paura di perderlo.
Appoggio la testa sul finestrino e sospiro.
«Siamo arrivati» annuncia Stiles, alcuni minuti dopo.
Scendiamo dalla macchina, ci troviamo al limitare del bosco.
Viene dietro di me e mi copre gli occhi con le mani.
«Non guardare, è una sorpresa.»
Camminiamo sì e no un quarto d'ora, poi mi dice:
«Ora puoi guardare.»
Apro gli occhi.
Davanti a me si trova il più grande spettacolo della natura che io abbia mai visto.
Ai miei piedi c'è uno strapiombo, sotto il quale si estendono chilometri e chilometri di boschi. Una sottilissima nebbia aleggia lì attorno e il cielo si tinteggia di rosso sopra di essa.
Stiles mi fa segno di sedermi accanto a lui, su una grande roccia dietro di me.
«Stupendo, vero?» chiede.
Gli rispondo con un sorriso.
«Una volta questo era il luogo di incontro preferito di Allison e Scott. Da quando si sono lasciati non ci vengono più e occupo il loro posto» dice, sfiorando alcune incisioni sulla superficie della pietra.
«Un vero peccato.»
«Già, un così bel paesaggio...»
«No,» lo interrompo «intendo dire che peccato per loro due.» Sembrano così affiatati. Non so cosa possa essere successo per farli lasciare; ma, per qualunque cosa sia stato, si mancano.
Guarda il cielo senza parlare per lunghi attimi.
«Anche tu mi sei mancata.»
Lo guardo.
È angosciante, tutto questo è angosciante. Non capisco perché la sera mi renda così malinconica e perché lui stia così.
Mi sembra distante.
«Sai» dice, continuando a osservare l'orizzonte «Quando hai smesso di parlarmi, mi sono preoccupato tanto. Avevo paura di aver fatto qualcosa di sbagliato, avevo paura di averti ferita. Avevo paura di troppe cose. E così venivo qui a qualunque ora, contemplando il cielo, sperando nell'utopia che tu arrivassi e ti sedessi accanto a me. Così, in silenzio, a guardare questo panorama. Ma ero solo. Ed è triste l'alba, quando non hai nessuno con cui condividerla.
Poi, quella sera a casa di Lydia, hai fatto quello che più desideravo. Mi hai baciato e mi hai detto che mi amavi.
Ma eri ubriaca e vorrei sentirtelo dire nel pieno delle tue facoltà. Cosa pensi di me?»
Finalmente distoglie lo sguardo dal tramonte, volge gli occhi su di me.
«Ti amo, Stiles. Ti amo da morire, ma ho paura. L'hai visto, l'hai provato sulla tua pelle: sono pericolosa. Non so cosa sono o non sono, cosa agisce in me. Cosa accade ogni notte quando mi addormento. Sei vulnerabile stando con me, ed ho paura che ti facciano del male. Preferisco nettamente la tua salvezza alla mia felicità. Preferisco te a me. Se ti ferissero di nuovo, non credo di poter reggere...»
Una lacrima mi scende sulla guancia.
Stiles afferra il mio viso fa le sue mani delicatamente e mi bacia.
«Va tutto bene» mi dice.
Poi mi bacia di nuovo.
Lo abbraccio e appoggio la testa sulla sua clavicola.
Restiamo lì a guardare il paesaggio, una nelle braccia dell'altro.
«Finché stiamo insieme siamo al sicuro.»
E, per la prima volta da settimane, mi sento veramente al sicuro.

Beatris Constance Hills »A Teen Wolf fanfictionWhere stories live. Discover now