Capitolo 21

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Rio de Janeiro, il sabato seguente


Il ronzio basso del motore sembrava essere quasi una cantilena, una sorta di sigla d'apertura per la destinazione verso cui ci stavamo dirigendo con estrema lentezza.Troppa lentezza.

«Io l'avevo detto che bisognava partire mezz'ora prima!» esclamai all'improvviso, battendo ritmicamente il piede sul tappetino della macchina e incrociando le braccia al petto.
«Non è colpa mia se abbiamo trovato traffico» si giustificò Percy con le mani alzate davanti a sé. Tanto, per la velocità con cui stavamo procedendo, avrebbe potuto benissimo anche guidare a occhi chiusi e le mani legate dietro la schiena: il pericolo di fare un incidente era assai remoto.
Mi lanciò un'occhiata ed ebbe anche il coraggio di sogghignare prima che io mi allungassi per tiragli un pugno sul braccio.
«Che hai tanto da ridere? Arriveremo tardi solo perché tu hai insistito tanto per "prendercela comoda" e "fare con calma"» esclamai cercando di scimmiottare la sua voce con scarsissimi risultati e facendo il segno delle virgolette con le dita.
«Ehi! Io non ho la voce così stridula!» si lamentò Percy mentre aggrottava leggermente la fronte.
Scossi la testa e alzai gli occhi al cielo, pensando che fosse davvero difficile trovare un fidanzato più deficiente del mio, ma evitai di rispondere alla sua ultima affermazione, così riportai lo sguardo sulla strada, mettendo una gamba sotto l'altra.
Da quando avevo ricevuto la telefonata, non avevo perso tempo nel programmare tutto nei minimi particolari, tappa per tappa, assicurandomi di puntare preventivamente la sveglia per il serio rischio che, quel sabato mattina, mi svegliassi in ritardo. Ma poi, probabilmente per le poche – okay, lo ammetto, erano state molte – volte in cui avevo fatto avanti e indietro dalla mia camera a quella di Percy con il foglio del programma che svolazzava al vento, quest'ultimo aveva deciso all'improvviso di prendere in mano la situazione, sostenendo che io fossi un tantino esaltata ed emotivamente coinvolta per prendere decisioni razionali – forse, e dico forse, puntare la sveglia alle 4 di mattina era stato un po' troppo.
Perciò, seguendo il magnifico e studiatissimo programma ideato dal mio ragazzo, eravamo entrati in macchina a un orario umano – o almeno così preferiva definirlo lui – e, inavvertitamente, eravamo caduti nel più banale e stupido contrattempo che, chiaramente, Percy non aveva messo in conto: il traffico di una città nell'orario di punta.
Eravamo bloccati a un incrocio da almeno cinque minuti, davanti a noi c'erano centinaia di altre macchine, e alla nostra destinazione mancavano ancora un paio di miglia. Mentre ricominciavo a battere il piede sul tappetino, Percy si chinò in avanti, posandomi un bacio sulla guancia e io proprio non riuscii a trattenere il broncio più a lungo.
«Ah-ah! Lo sapevo che non eri davvero arrabbiata» commentò lui con un sorriso largo, puntandomi un dito contro.
«Non ho mai detto di essere arrabbiata» feci spallucce. «Ma non mi piace arrivare in ritardo, e lo sai!» dissi, lanciandogli un'occhiata di traverso.
«È vero, ma so anche quanto tu sia in ansia e trepidazione per questa cosa.» Percy allungò una mano, per posarla sulla mia gamba. «O forse mi sto sbagliando?»
Mi costava ammetterlo, ma aveva ragione: non ero così agitata per un bell'evento dalla sera del gala, poco prima di uscire dalla camera e fare la mia apparizione sulle scale. Sentivo il cuore battermi forte e l'adrenalina, causata dall'eccitazione, scorrermi nelle vene.
Feci un cenno di assenso, posando la mia mano su quella di Percy per stringerla. Sebbene in quell'occasione fosse abbastanza evidente, il mio ragazzo riusciva quasi sempre a capire ogni mio stato d'animo, ma non avevo ancora deciso se ciò fosse da considerarsi positivo oppure negativo.
«Okay, Sapientona, eccoci arriv-»
Non ebbe nemmeno il tempo di terminare la frase che io avevo già posato la mano sulla maniglia ed ero uscita, stando però attenta a non ammaccare la macchina di fianco alla nostra a causa dello slancio con cui avevo aperto la portiera.
Respirai a pieni polmoni l'aria calda di fuori, battendo a intermittenza il dito indice sulla gamba mentre aspettavo che Percy mi raggiungesse.
«Sai che mi sembri uno di quei cagnolini super esuberanti, che non smettono mai di muoversi, con la lingua fuori e che saltellano di qua e di là?» domandò, mettendomi una mano sul fianco, con fare protettivo.
Gli lanciai un'occhiata torva. «Ti ringrazio per la descrizione articolata, Testa d'Alghe» dissi. «Ora però andiamo.»



«ANNABEEETH!»
Una volta, su un giornale locale, avevo letto per caso che nessun essere umano era in grado di propagare le onde soniche della propria voce più di un paio di chilometri al massimo di distanza. Non sapevo se quell'informazione fosse vera, ma in tal caso, evidentemente, gli scienziati responsabili di quella ricerca non avevano mai conosciuto Piper McLean perché il suo urlo, con molte probabilità, aveva raggiunto anche i cittadini di San Paolo.
Ovviamente tutto l'aeroporto si era voltato a guardarla, non solo per la sua voce: Piper era così bella che difficilmente sarebbe mai passata inosservata da qualcuno.
Chiariamoci, non faceva poi molto per accentuare il suo charme. Anzi, molto spesso preferiva indossare qualcosa di sobrio come jeans e maglietta, ma anche in quelle occasione difficilmente non la si notava. Non so esattamente cosa fosse, ma aveva qualcosa nel modo di camminare, di atteggiarsi, qualcosa negli sguardi che lanciava, nelle emozioni che esprimeva, qualcosa nella voce. E tutto ciò era sbalorditivo.
La prima volta che l'avevo incontrata non ero riuscita ancora a notarlo, ma non appena Piper era sbocciata, durante le superiori, era stato difficile non accorgersi di lei anche per gli altri. In men che non si dica, era diventata la ragazza che tutti volevano al proprio tavolo durante il pranzo, la prima a essere invitata alle feste più esclusive, la ragazza che conosceva tutti. Eppure, malgrado ciò, non un solo giorno mi aveva trascurata. Anzi, se possibile, eravamo diventate ancora più unite.
E ora, dopo mesi di lontananza, finalmente la potevo rivedere.
Camminava spedita appena fuori dal gate, con un trolley nella mano destra e gli occhiali da sole a mo' di cerchietto. Era impossibile non notare il suo largo sorriso e la mano che sventolava in aria come un'ossessa, per cercare di attirare la mia attenzione. Qualche metro dietro di lei, arrancava un ragazzo biondo e alto che trascinava una valigia per mano, cercando di stare al passo di Piper malgrado la sua velocità e le persone che gli bloccavano la strada. Aveva un'aria un po' imbarazzata, probabilmente dovuta all'attenzione esagerata che Piper aveva attirato su di sé mentre urlava a squarciagola.
Sorrisi, un po' per la scena buffa, un po' per l'emozione che sentivo travolgermi il petto e, istintivamente, cominciai a correrle incontro, spalancando le braccia quando fummo a pochi passi di distanza. Lei fece la stessa cosa, lasciando cadere malamente il trolley con un gran tonfo, e così ci trovammo di nuovo insieme.
Finalmente.
La strinsi a me con forza, sentendo subito il profumo familiare del suo shampoo, e ringraziai il cielo per quell'inaspettata sorpresa che lei e Jason mi avevano fatto.
Il giorno successivo alla visita di Anfitrite, Piper mi aveva telefonato e subito avevo capito che c'erano novità dalla sua voce entusiasta: inutile dire che i giorni seguenti non ero riuscita a pensare ad altro. Sfruttando le vacanze estive, Piper aveva pensato fosse un'ottima idea venirmi a trovare: sentiva il bisogno di prendersi una vacanza dalla solita routine e non aveva smesso un secondo di ripetere che le mancavo.
«Oddio, Annabeth» mormorò al mio orecchio, poco prima di prendermi per le spalle e allontanarmi da sé per farmi la radiografia completa. «Caspita, ragazza, sei uno schianto!» esclamò poi, ammiccando.
Risi. «Mi sei mancata anche tu, Piper.»
Ci guardammo negli occhi per qualche secondo, intensamente, e fu come avere una conversazione completa, senza bisogno di parlare: compresi che, molto presto, avremmo fatto una bella chiacchierata, solo io e lei. E un sacco di domande da parte sua.
In fondo, se devo essere sincera, me lo aspettavo: dopotutto, ero consapevole del fatto che uno dei motivi principali per cui era venuta a trovarmi era proprio l'urgenza di aggiornarsi di persona su come stava procedendo la mia vita. Dopotutto, certi discorsi non di potevano fare solo e soltanto al telefono, con migliaia di chilometri a dividerci.
Piper aveva pure pensato a come tenere occupato Percy mentre io e lei eravamo impegnate: ecco come Jason era stato coinvolto nel viaggio. Beh, in realtà, il vero motivo era che quei due vivevano perennemente in simbiosi e difficilmente sarebbero riusciti a stare una settimana senza vedersi, ma non c'era bisogno di specificarlo: stando insieme da parecchi anni era diventato quasi naturale che, dove andava una, c'era pure l'altro. Non sarebbe stata una sorpresa così grande se, a breve, quei due fossero andati a convivere.
Alla fine io e la mia amica ci separammo, voltandoci in direzione dei nostri ragazzi che erano intenti a squadrarsi.
Percy alzò un sopracciglio. «Quindi tu sei Jason.»
«E tu devi essere Percy...» rispose l'altro di rimando, con la medesima espressione indecifrabile in volto. Poi, all'improvviso, entrambi si aprirono in un sorrisetto e allungarono simultaneamente il braccio per scambiarsi un pungo, proprio come dei veri macho.
Lanciai un'occhiata a Piper, la quale ricambiò proprio come un tempo, e scoppiammo a ridere per quell'assurda scenetta. Avevo come la sensazione che quei due sarebbero andati d'accordo, malgrado l'evidente differenza di personalità.
Da una parte c'era Percy, occhi verdi e capelli scuri, dal carattere chiuso e un po' schivo all'inizio, ma molto socievole nel momento in cui cominciava a prendere confidenza. Con il passato della sua famiglia, era difficile trovare qualcosa in comune con Jason. Eppure il detto non diceva che gli opposti si attraggono? Certo, non volevo che funzionasse proprio alla lettera, ma il discorso si applicava anche per le amicizie, no?
Ero così assorta nel studiare i ragazzi che mi accorsi con qualche attimo di ritardo che Piper si era allontanata, abbandonando bagaglio e borsa sul pavimento, per avvicinarsi senza timore a Percy e fermandoglisi a pochi centimetri di distanza.
Lo squadrò da capo a piedi per parecchi secondi con uno sguardo serio, incurante del fatto che Percy la stesse guardando confuso e un bel po' a disagio, tant'è che si grattava la testa nervosamente. Sapevo benissimo, fin dal primo momento in cui lei mi aveva dato la notizia di quella visita, che Percy non l'avrebbe passata liscia senza prima essere stato sottoposto all'occhio critico della mia migliore amica, essenziale, secondo la medesima, perché la nostra relazione potesse continuare. Ovviamente stava scherzando – o almeno, ne ero quasi certa –, ma con imbarazzo mi resi conto di essermi dimenticata di avvisare Percy dell'esame, giunto completamente inaspettato per lui.
Non mi accorsi nemmeno di star trattenendo il fiato fino a quando Piper non si voltò a guardarmi, annuendo con un sorrisetto soddisfatto stampato in volto.
Malgrado non fosse necessario, Piper mi stava dando la sua approvazione ufficiale, e io non potevo che esserne felice perché ciò significava che Percy, sotto tutti gli aspetti, era il ragazzo giusto per me.

***

«Che meraviglia!» esclamò Piper, con il naso spiaccicato sul finestrino e gli occhi spalancati che si muovevano, cercando di assorbire ogni singolo particolare di ciò che stava vedendo al di fuori.
Sorrisi, pensando alla prima volta che anch'io avevo fatto quella strada: seduta davanti accanto a Grover, ricordavo di essere rimasta spiazzata da tutti quei colori e dalla baraonda di gente riversa nelle strade anche a tarda sera.
«Credimi, di notte la città diventa persino migliore di adesso» dissi.
Piper si voltò, piantandomi quei suoi singolari occhi caleidoscopici in viso, mentre sul volto le compariva un sorrisetto storto. Potevo vedere alla perfezione gli ingranaggi nel suo cervello girare furiosamente e produrre un'idea che, sospettavo, non sarebbe stato di mio gradimento, come succedeva la maggior parte delle volte in cui aveva quell'espressione.
«Che c'è?» domandai a malincuore per poi pentirmene subito dopo, quando Piper allargò il suo sorriso fino a mostrare i denti perfettamente curati dopo anni di apparecchio.
«Niente» rispose e io alzai un sopracciglio, scettica. «Sappi solo che questa sera sei prenotata dalla sottoscritta.» Poi, si voltò fulmineamente verso i sedili anteriori, dove Percy e Jason alternavano momenti di silenzio ad altri di chiacchiere, e sporse la testa nel mezzo.
«Ragazzi stasera usciamo a mangiare» li informò come se fosse stata una cosa già decisa da tempo. Successivamente ritornò a sedersi composta sul suo sedile, prendendo una mia mano tra le sue e guardandomi.
«Su, forza, raccontami tutto!» esclamò con entusiasmo, stringendo la mia mano per incitarmi a parlare.
La guardai negli occhi, beandomi della sensazione di familiarità che esprimevano e, solo in quel momento, capii quanto Piper mi fosse mancata in quei mesi di lontananza. Avevo la nostalgia di tutto: delle chiacchierate al telefono fino a tarda notte, delle serate passate nel mio letto con un barattolo di gelato al cioccolato, due cucchiai e un sacco di lacrime; ma, sopratutto, dei suoi abbracci, dei suoi consigli, delle sue parole di conforto nei momenti più bui. Insomma, mi era mancata Piper e basta.
Incitandomi a raccontarle tutto, sapevo con assoluta certezza che la cosa non includeva quel discorso perché i ragazzi erano davanti ,a portata di orecchio, e quello era solo una faccenda tra me e lei. Ero sicura, però, che saremmo giunte anche a parlarne prima o poi, da sole e in privato, quindi, malgrado non morissi dalla voglia di affrontare l'argomento, potevo tirare un sospiro di sollievo momentaneo e concentrarmi nel raccontarle le cose più futili, come il lavoro, i miei bambini e tutto il resto.
Un paio di volte, mentre parlavo di Nico e di sua madre, incrociai per caso lo sguardo di Percy nello specchietto retrovisore e, automaticamente, risposi al suo sorriso. Piper se ne accorse perché, quando tornai a concentrarmi su di lei, mi guardò in modo strano, oserei dire quasi orgoglioso, ma poi tornò a concentrarsi sulle mie parole e il momento venne superato.
Quando, finalmente, smisi di parlare, eravamo ormai quasi giunti alla fattoria, e Piper rimandò il racconto di come andassero le cose a New York, compresi i pettegolezzi su dei vecchi compagni e quant'altro: ovviamente, tutto ciò non poteva interessarmi in alcun modo, ma dovevo ammettere che un po' mi mancavano anche le sue chiacchiere futili su chi si fosse messo con chi.
«Allora, Percy, raccontami un po' di te. Ho saputo che sei di New York! Perché non ti abbiamo mai visto in giro?» domandò Piper all'improvviso, sporgendosi di nuovo tra i due sedili.
Gemetti: la mia amica aveva cominciato con il suo interrogatorio a cui nessuno riusciva a sfuggire e, difficilmente, avrebbe terminato in breve tempo. Un po' mi dispiaceva per Percy che, del tutto impreparato alla furia rappresentata da Piper, si ritrovò dopo appena un paio di domande a boccheggiare, non riuscendo a stare dietro a tutto quel brio.
Vedendolo lanciarmi un'occhiata disperata, con una smorfia di panico in volto, scoppiai a ridere senza volerlo e ciò bastò a distrarre Piper, che si voltò a guardarmi con un'espressione seria e sbalordita allo stesso tempo.
«Tu stai ridendo!» esclamò, puntandomi un dito contro come se mi volesse accusare di un qualche reato.
«Ehm... sì?» Ero un po' spiazzata da quell'uscita quindi la mia risposta uscì più come una domanda, ma mi affrettai a scuotere il capo. Che c'era di strano nella mia risata?
Piper rimase in silenzio per qualche secondo, fissandomi intensamente negli occhi, poi, all'improvviso, spalancò la bocca in un largo e lento sorriso, e tornò a voltarsi in direzione del conducente che, dal canto suo, lanciava delle brevi, ma perplesse, occhiate allo specchietto retrovisore.
«Tu! Percy Jackson» disse, battendogli un dito sulla spalla. «Hai tutta la mia stima eterna per essere riuscito a far ridere questa ragazza, sappilo» continuò imperterrita.
Il mio ragazzo attese qualche secondo prima di voltarsi lentamente verso Jason, che stava al suo fianco e seguiva la scena con interesse, e scuotere il capo.
«Amico, la tua ragazza ha dei seri problemi mentali» commentò.
Scoppiai a ridere di nuovo, un po' per il tono con cui Percy aveva parlato, un po' per la situazione, mentre Jason si apriva in un ghigno.
«Credimi bello, tu non l'hai mai vista al centro commerciale durante il periodo dei saldi. Varie volte ho pensato di fissarle un appuntamento da un bravo psichiatra.»
«Jason Grace!» esclamò Piper con le braccia incrociate e un'espressione stupita in volto. «Ti ricordo che dormiremo nello stesso letto stanotte e questo mi permette di evirarti con tutta tranquillità se non stai attento a ciò che dici.»
Dal canto suo, il ragazzo non sembrò affatto intimorito da quella minaccia di castrazione perché guardò Percy e fece un cenno con il mento in direzione di Piper. «Visto?»
In tutta risposta, Percy rise, tornando a prestare attenzione alla strada per parcheggiare nel suo posto auto. Piper mi lanciò un'occhiata esasperata, alzando lo sguardo al cielo, e io allungai una mano per stringere la sua, come per confortarla.
I maschi erano tutti uguali: con una palla ai piedi e un campo di erba verde, erano capaci di perdersi per ore a rincorrere una sfera di cuoio, ma sia mai che dovessero entrare in un negozio. Lo spazio chiuso poteva seriamente compromettere quei due fortunati neuroni ancora in vita e renderli del tutto degli idioti patentati. Da una parte, però, potevano anche essere utili: altrimenti, chi pagava il conto alla cassa e trasportava tutti quei sacchetti pesanti?
Pensandoci, dovevo riconoscere che con Percy non era successo niente del genere. L'unica volta che lui aveva trascinato me al centro commerciale, mi aveva quasi costretta a fare degli acquisti e si era pure divertito nel comportarsi da scemo, indossando un misero top e una stupida gonna attillata. Santo cielo, al solo pensiero rischiavo ancora di arrossire per l'imbarazzo di quel momento e per la figura che avevamo fatto.
Vedendolo, però, insieme a un altro ragazzo della sua età, finalmente scorsi quel lato del suo carattere che, in mia sola compagnia, non era mai riuscito a emergere: per la prima volta, mi resi conto che Percy riusciva ad essere un ragazzo normale se messo vicino a un altro ventenne.
Guardandoli sghignazzare come due deficienti per delle battute idiote, ero pronta a scommettere che quei due sarebbero diventati grandi amici in poco tempo, proprio come aveva sperato Piper. In questo modo, secondo lei, non c'erano pericoli che i due ci interrompessero e, sicuramente, non si sarebbero annoiati.
Slacciai la cintura di sicurezza e uscii dalla macchina, rimanendo piacevolmente stupita quando Percy mi si avvicinò intrecciando la mia mano alla sua. Appoggiai la testa sulla sua spalla, beandomi di quel contatto finché non mi accorsi che Piper ci stava guardando con gli occhi che brillavano, le sopracciglia quasi all'attaccatura dei capelli, e la bocca mezza spalancata. Dietro di lei, Jason era intento a guardarsi attorno, con un'espressione di meraviglia stampata in volto mentre osservava l'incredibile paesaggio che la fattoria offriva.
Fischiò ammirato. «Caspita, amico! Questo posto è una figata. Un po' mi dispiace di dover passare la settimana in un albergo.»
Piper alzò gli occhi al cielo e scosse il capo, poi lo prese a braccetto. «Ti ricordo che è pur sempre un albergo a quattro stelle! Se ti fa davvero così schifo, puoi chiedere a Percy di prestarti una tenda e dormire in questo prato» commentò ironicamente, prendendolo in giro con malcelato affetto.
«Naah! Credo che, alla fine, niente possa reggere il tuo confronto» rispose Jason, attirandola a sé per darle un bacio profondo, l'anticipo dei probabili piani lussuriosi che aveva in programma per quella sera.
Quei due erano incredibili: battibeccavano almeno un paio di volte al giorno, ma si vedeva lontano un miglio che Jason sarebbe stato perso senza Piper e che si amavano alla follia.
Distolsi lo sguardo a disagio, di fronte a cotanta inibizione a cui non ero abituata, e incrociai quello di Percy che mi stava sorridendo: chissà se anche noi, da fuori, sembravamo così affiatati. Molto spesso evitavamo i contatti intimi davanti agli altri per due ragioni principali: lavorando con dei bambini, non era molto consono che ci vedessero scambiare effusioni durante l'orario di lavoro, e poi c'ero io che ancora avevo alcune difficoltà a mostrarmi così vulnerabile in pubblico. Preferivo di gran lunga quand'eravamo solo io e Percy, e nessun altro.
«Su, forza, andiamo. Chintia ci starà aspettando per il pranzo» dissi ai miei amici per riscuoterli dal momento d'intimità, mentre comminavo in direzione della casa, sempre mano nella mano con il mio ragazzo.

***

Raggiunsi il mio telo azzurro ridendo con difficoltà, a causa del fiato corto per la corsa che avevo fatto nel tentativo di uscire dall'acqua prima che Percy mi acchiappasse. Stramazzai al suolo in contemporanea con Piper, alla mia destra, e allargai braccia e gambe mentre guardavo il cielo azzurro sopra di me.
«La prossima volta non mi sfuggirai, Sapientona, ricordatelo» mormorò Percy al mio orecchio con voce roca, dopo avermi raggiunto assieme a Jason ed essersi chinato al mio fianco.
Risi divertita, sicura che la sua fosse solo una minaccia scherzosa, ma poi vidi i suoi occhi verdi che parevano quasi liquidi sotto quella luce, e la mia risata si spense pian piano, ritrovandomi a fissarlo a mia volta intensamente.
«Se lo dici tu...» sussurrai e, senza volerlo, abbassai lo sguardo sulla sua bocca, deglutendo con difficoltà.
Sì, in quel momento desideravo ardentemente baciarlo fintanto che le labbra non avessero cominciato a farmi male, accarezzargli i capelli e immergere gli occhi nel suo verde fino a perdermi in quel mare. Ma, con un sussulto al cuore, ricordai che fossimo in compagnia a che, comunque, eravamo in un luogo pubblico, attorniati da centinaia di bambini in costume e madri molto suscettibili.
Accolsi comunque con immenso piacere il bacio a fior di labbra che mi diede Percy, durato qualche istante più del dovuto, ma rimanendo molto casto in confronto all'eccessiva effusione tra Piper e Jason del giorno prima alla fattoria.
«Non vedo l'ora di essere soli, questa sera, per poterti baciare come si deve» sussurrò Percy direttamente a contatto con il mio orecchio, per evitare che chiunque altro potesse udirlo. A quelle parole il mio cuore andò in fibrillazione e io faticai a spiccicare parola: il cervello era completamente andato, fuso, partito per la tangente dopo quell'ultima frase di Percy.
Per fortuna – o sfortuna in base ai punti di vista – Piper scelse proprio quel momento per intromettersi ed ero quasi sicura che lo avesse fatto apposta, malgrado fece finta di non aver visto niente.
«Percy? È un problema se ti rubo Annabeth per una breve passeggiata? Sai, non abbiamo ancora avuto il tempo di fare i nostri discorsi da donne visto che ieri la serata è saltata a causa del jet leg...» disse con gli occhiali da sole tirati sulla testa, mentre metteva una mano sulla fronte per mascherare lo sguardo dai raggi del sole alle spalle di Percy. Accanto a lei, Jason si era sdraiato supino sul suo telo, ancora gocciolante di acqua dopo il bagno che ci eravamo fatti poco prima.
«Certo, certo, andate. Non vorrei essere d'intralcio alla mia bellissima ragazza e alla sua bella amica» rispose Percy, alzando le mani davanti a sé, ancora leggermente chinato in avanti.
Sentendo quella frase, Jason si rizzò a sedere in un battibaleno, e puntò un dito verso Percy con fare minaccioso. «Ehi, amico! Stai attento a ciò che dici. Piper è la mia, di ragazza, capito? Mia» protestò in modo molto bellico, tant'è che tutti, ad esclusione di Jason, scoppiammo a ridere a crepapelle.
Piper si allungò per lasciargli un bacio affettuoso sulla guancia, poi gli fece una carezza. «Andiamo, gelosone, non vedi come Percy guarda Annabeth? Non riuscirebbe a fare il filo a nessun'altra nemmeno se lo volesse» disse lei mentre si alzava in piedi, porgendomi una mano.
Il mio sorriso scomparve all'istante, colpita da quell'ultima uscita di Piper, ma, per qualche strano motivo a me incomprensibile, non osai voltarmi a guardare Percy. Così, seguendo Piper, mi alzai, lasciando i ragazzi soli, dirette verso la scogliera che distava poco più di duecento metri da dove c'eravamo accampati.
Rimasi in silenzio per un po', concentrata sull'apprendere appieno il significato della frase di Piper e a domandarmi perché lo avesse detto: dopotutto, non le avevo più parlato di Percy da quando ci eravamo messi insieme, a parte qualche messaggino all'inizio. Ero stata così presa da quella novità che avevo preferito tenere tutto segreto per un po'.
Girai il capo, osservando il profilo della mia amica: tra i suoi capelli portava delle piccole piume di colomba che venivano sospinte dal vento leggero di quel pomeriggio, mentre la pelle color caffellatte creava un piacevole contrasto con il suo costume nero, che le calzava a pennello. In quegli ultimi mesi le si erano leggermente induriti i lineamenti della faccia: pian piano Piper stava assumendo i tratti decisi di una donna adulta e questo mi fece capire quanto il tempo stesse trascorrendo in fretta.
Stranamente né io né lei aprimmo bocca per tutta la durata della camminata e, in poco tempo, raggiungemmo il primo scoglio su cui ci arrampicammo, stando attente a non scivolare o a inciampare negli appigli scoscesi. Quando, finalmente, ci sedemmo in una rientranza liscia della roccia, capii che quello sarebbe diventato uno dei miei posti preferiti in Brasile: da quella postazione si riusciva a vedere tutta la baia e anche di più, fino all'orizzonte illimitato dell'oceano blu.
«Wow» mormorò Piper, con il fiato sospeso e gli occhi spalancati.
Annuii, non potendo evitare di darle ragione. «Già...»
Calò uno strano silenzio, frammentato solo dagli spiragli del vento e dal rumore tranquillizzante della risacca delle onde che, giungendo a riva, tornavano indietro poco dopo.
«Come vanno le cose, Annabeth?» Il mio cervello recepì nell'immediato il tono serio con cui Piper aveva posto quella domanda. Capii che era arrivato l'agognato momento della verità, malgrado, in quei due giorni, avessi fatto di tutto pur di evitarlo.
Il problema non era che non fossi pronta: stranamente, per qualche ragione a me inspiegabile, sentivo il bisogno mentale, e quasi fisico, di lasciarmi andare con la mia migliore amica, raccontarle tutto. Forse, in questo modo, speravo che quel sogno idilliaco non avrebbe più avuto fine, e io avrei potuto vivere per sempre felice con Percy, senza che i problemi potessero scalfirci; rendere la realtà attuale eterna.
Eppure, sempre per lo stesso motivo, avevo anche il timore di parlarne: io prima fra tutti sapevo come le situazioni più rosee potessero trasformarsi all'improvviso in un incubo senza fine, un lungo tunnel buio di cui era difficile trovarne l'uscita.
E io avevo bisogno di un lieto fine, proprio come respiravo.
«Lo so che te l'ho già chiesto, e credo anche che tu sia stata più o meno sincera ogni volta, ma... Tesoro, sei davvero felice con lui?» ricominciò a domandare Piper in seguito al mio lungo – e involontario – silenzio.
Come sempre, Piper aveva capito tutto quasi meglio di me: mi ero sempre trovata in difficoltà a rispondere a quella domanda perché, dopotutto, cosa determinava la felicità? Non era una cosa oggettiva, facile da decretare in base a prove effettive, ma qualcosa di astratto, che si sentiva e provava. Ma chi mi dava la certezza che quello spiraglio positivo che io chiamavo felicità non fosse, invece, altro che sollievo?
Sì, riconoscevo di essere complicata e di farmi innumerevoli problemi riguardo a qualsiasi cosa, ma, dopotutto, si trattava pur sempre della mia vita, della mia esistenza, e avevo sofferto abbastanza per riuscire a permettermi di scottarmi un'altra volta con una relazione.
Eppure, quando aprii la bocca, non indugiai un secondo di più nel rispondere positivamente a quella domanda. Perché, con Percy, io ero felice sul serio, e non c'era ragione di dubitarne più.
Piper annuì seria, con lo sguardo puntato all'orizzonte, e prima di porre un'altra domanda lasciò passare qualche secondo di silenzio in cui percepii l'atmosfera farsi più leggera: sapevo perfettamente che dovevamo ancora giungere al fulcro centrale del discorso, ma ero riuscita a superare indenne almeno il primo scoglio.
Piper girò leggermente il capo verso di me e alzò un sopracciglio perfettamente curato, accompagnando il tutto con un sorrisetto furbo. «Allora, cara la mia Annabeth, raccontami un po', com'è Percy? E tu sai cosa intendo...» aggiunse, muovendo la fronte allusivamente.
In tutta risposta scoppiai a ridere, spintonandola amichevolmente per la spalla: discorsi seri o non seri, Piper rimaneva sempre la stessa, e forse era per questo che le volevo così bene.
«Ehi, che ho detto di male? Vi ho visto insieme prima, sai? Ero pronta a scommettere che se non ci fossimo stati io e Jason, e tutto il resto della spiaggia, non vi sareste limitati solo a un casto e banale sfioramento di labbra.»
A quelle parole, arrossii lievemente, scuotendo la testa. Sì, aveva ragione, ma non doveva saperlo per forza.
Lei alzò un angolo della bocca, poi tornò all'attacco, con la vera domanda. «Avete già fatto...» si bloccò, mordendosi un labbro: sapevo fin dall'inizio dove voleva andare a parare, ma le ero grata per il tatto che stava usando, come se avesse avuto paura di rompermi in mille pezzi.
E, in effetti, se solo me lo avesse chiesto qualche mese prima, probabilmente mi sarei chiusa in un mutismo assoluto, rifiutandomi di parlarne categoricamente. Ma io ero cambiata completamente, e, dopotutto, Piper aveva il diritto di domandarmelo, in quanto mia migliore amica.
Tutto ciò, ovviamente, non voleva per forza dire che non potessi arrossire come una scolaretta alle prime esperienze, cosa che, infatti, feci.
«No...» mormorai, abbracciandomi le gambe e appoggiando la guancia sinistra sulle braccia, in modo da poterla vedere in faccia. «Non ne abbiamo ancora parlato seriamente, anche se Percy ha sottolineato varie volte che vuole procedere con calma perché percepisce il mio disagio in certe situazioni... Piper, quel ragazzo è incredibile! Gli basta uno sguardo per capire come mi sento, ciò che provo, quello che penso. Secondo te è reale?» domandai, dando voce a un pensiero assurdo che girava nella mia testa da un po' di tempo.
La mia amica scoppiò a ridere. «Certo che è reale, Annabeth! Si chiama amore e sono felicissima che tu abbia trovato finalmente un ragazzo che ti meriti abbastanza da stare al tuo fianco... E che sappia aspettare i tuoi tempi» aggiunse, tornando seria.
«In realtà... Qualche giorno fa eravamo nel suo letto e ci siamo lasciati andare un po' troppo oltre, ma poi lui si è bloccato all'improvviso perché le cose cominciavano a farsi serie... Sai...» balbettai alludendo al fatto che avevo sentito l'eccitazione di Percy poco prima che tutto finisse, mentre ripensavo a quella mattina della spiaggia, quando io ero entrata nella sua camera per svegliarlo ed eravamo finiti con il baciarci appassionatamente.
Piper annuì. «Capisco...» mormorò. «Quindi, anche tu lo desideri?»
Rimasi leggermente spiazzata da quell'ultima domanda, anche se era assolutamente lecita visto il territorio delicato in cui eravamo cadute. Tentennai qualche secondo, mentre nella mia testa passavano in rapida successione tutti i momenti d'intimità vissuti con Percy, dal quel primo bacio sulla terrazza, fino allo sfioramento di labbra di poco prima.
«Sì... lo desidero» mormorai, la voce quasi un sussurro. «Ma non credo di essere ancora pronta per fare il grande passo, Piper. Io non... posso, non ci riesco.»
Puntai lo sguardo all'orizzonte, appoggiando il mento sulle braccia, mentre qualche ciocca bionda di capelli sfuggita alla coda mi solleticava il volto.
«Annabeth? L'hai già detto a Percy?»
Ed ecco che arrivò.
Sapevo benissimo che prima o poi saremmo giunte a quello, ma avevo preferito ingenuamente ignorare la questione come se non esistesse. In un certo senso, però, quella domanda rivelava quanto Piper mi conoscesse bene.
Sorrisi amaramente, sentendo crescere in me un senso di colpevolezza, mentre scuotevo il capo, sicura che lei mi stesse guardando. E, infatti, Piper lasciò andare un breve sospiro subito dopo, allungando una mano per stringere la mia in un gesto di conforto.
«Lo sai che prima o poi dovrai dirglielo, vero?»
Chiusi gli occhi, isolandomi visivamente dal resto del mondo, anche se potevo ancora percepire il contatto con la mano di Piper: lei aveva solo evidenziato l'inevitabile, ma io preferivo ignorare la questione ancora e ancora, finché, ne ero certa, non mi avrebbe distrutto.
Rimasi ostentatamente in silenzio, finché Piper non aggiunse ciò che entrambe pensavamo. «Glielo devi, Annabeth.»
Annuii. «Lo so, Pip, lo so...» Spostai gli occhi a sinistra, in direzione della spiaggia, e vidi le figure dei ragazzi intenti a schizzarsi con l'acqua del mare, come due bambini dell'asilo. E proprio in quel momento, come se avesse percepito il mio sguardo su di sé, Percy si fermò, e guardò verso gli scogli.
«... E gli parlerò, presto.»

***

«Saluta mio padre, okay? E digli che mi manca tanto e che non vedo l'ora che sia Dicembre» mormorai all'orecchio di Piper mentre la stringevo in un forte abbraccio.
«Lo farò sicuramente, tranquilla» rispose lei, con lo stesso tono. «E grazie per questa meravigliosa settimana! Sai, in un certo senso ti invidio. Non ti aspetta mica un nuovo semestre appena messo piede a New York.»
Sorrisi divertita dalla sua espressione burbera: Piper non era mai riuscita a instaurare un "legame" con le lezioni del college, ma, sotto sotto, sapevo che le piaceva molto ciò che studiava.
«Credimi, non sai quanto mi manca stare dall'altra parte della cattedra...» dissi sinceramente per smorzare un po' la situazione. «E comunque, sono io che ti devo ringraziare per la visita... Non potevi farmi regalo più bello, davvero.»
Pip mi buttò nuovamente le braccia al collo, stringendomi forte. «Ti voglio bene, Annabeth.»
La strinsi a mia volta, seppellendo il naso nelle sue treccine. «Anch'io, Pip, tanto.»
Al nostro fianco, Percy e Jason stavano sghignazzando per qualche ragione idiota, esattamente come avevano fatto innumerevoli volte nel corso di quell'ultima settimana. Era incredibile vedere quanto avessero legato nel giro di pochissimi giorni, riuscendo a creare uno strano rapporto di amicizia fatto di battutine rivolte a stuzzicare l'altro e occhiate complici, che terminavano poi in una grossa e grassa risata.
Scossi il capo, sconsolata, mentre scambiavo una breve occhiata con Piper che, evidentemente, stava avendo il mio stesso pensiero.
«Forza, Superman, è ora di andare, altrimenti perdiamo il volo» disse la mia amica per redarguire Jason, dopo che gli si fu affiancata, prendendolo per mano con quella non occupata dal trolley.
«Ehi! Lo sai che non mi piace affatto quando mi chiami in quel modo!» protestò lui. Ma il suo broncio durò poco, perché Piper si alzò sulle punte dei piedi per posargli un bacio sulla guancia, che lo addolcì.
Osservai quella scena con un sorriso che si spense un po' quando i miei amici si voltarono, dopo un ultimo saluto, sparendo oltre i cancelli del gate.
Dentro di me, sentivo molte emozioni contrastanti fare a gara per prendere il sopravvento: da una parte ero triste: la visita di Piper e Jason aveva risvegliato la malinconia di casa, mentre dall'altra ero felice perché avevo potuto rivedere Piper prima del previsto. Inoltre, era giunta proprio in un momento di estremo bisogno: mi era stata incredibilmente d'aiuto nel mettere in ordine qualche pensiero che affollava la mia testa, ponendolo al posto giusto, come aveva sempre fatto.
Non ero ancora pronta a raccontare tutto a Percy, ma stavo cominciando pian piano a prepararmi in vista di quel momento, sicura che dovessi parlargli al più presto.
Ero così immersa nei miei logorroici ragionamenti che sussultai lievemente quando qualcuno mi circondò la vita con una mano e, quando compresi ch'era solo Percy, mi rilassai automaticamente, appoggiando la testa sulla sua spalla mentre lui mi accarezzava il fianco pian piano con fare comprensivo.
«Su, forza, ora dobbiamo andare» mormorò, dandomi un bacio leggero sulla fronte. In seguito mi prese per mano, dirigendosi verso l'uscita dell'aeroporto.
«Dove ci porti oggi?» domandai, una volta entrati in macchina, mentre Percy metteva in moto.
Si strinse nelle spalle. «Pensavo di andare al Luna Park. Credi che a Nico possa andare bene?»
Rimandavamo quell'uscita con Nico da giorni a causa del soggiorno di Piper e Jason, ai quali avevamo dedicato tutti i pomeriggi liberi della settimana, in modo da poter passare più tempo possibile in loro compagnia. Avevamo però promesso a Nico di portarlo da qualche parte per farci perdonare l'assenza di quei giorni, ma eravamo ormai stati praticamente ovunque in città, quindi le opzioni non erano poi molte.
«Certo! La scorsa volta si è divertito un mondo e sono sicura che non gli dispiacerà ripetere l'avventura» dissi, trovando l'idea davvero ottima. «E poi, sono solo le 10. Abbiamo tutta la giornata a nostra disposizione» aggiunsi consultando l'orologio del cellulare, mentre controllavo le notifiche.
Essendo l'ora di punta, incappammo nel traffico giornaliero e impiegammo un bel po' per arrivare a casa di Nico, ma non me ne preoccupai: al massimo, avremmo rincasato leggermente dopo il tramonto, ed ero sicura che Katia non avrebbe avuto molte obiezioni in merito, visto che, di recente, con l'avanzare della gravidanza, cominciava ad essere sempre più stanca e, con due bambini a cui badare, per me era un piacere aiutarla a rilassarsi.
L'ultima volta che le avevo fatto visita, poco più di due settimane prima, ero stata un po' spiazzata nel trovarla visibilmente stanca, così mi era venuto naturale offrirmi di ospitare Nico e Bianca alla fattoria per una notte, durante il weekend. Ero sicura che Chintia ne sarebbe stata entusiasta e Percy non avrebbe avuto assolutamente nulla in contrario. Ma lei aveva rifiutato con tenacia la mia proposta, e solo in quel momento avevo capito quanto forte – e testarda – fosse quella donna. Avrei davvero voluto avere un po' del suo enorme coraggio.
Lasciammo la macchina qualche centinaio di metro prima, in una zona non troppo malfamata, in modo da evitare il maggior rischio di furto, e ci dirigemmo mano nella mano verso la baracca di Katia, chiacchierando del più e del meno.
Arrivati davanti alla porta, bussai come sempre due volte, in attesa di sentire la voce entusiasta di Nico e quella di Katia che lo rimproverava di urlare troppo forte, ma non accade nulla di tutto ciò.
Negli istanti seguenti, nessuno comparve alla porta e io cominciai a capire che qualcosa non andava quando udii un pianto provenire dall'interno, molto simile a quello di Bianca, e la voce di Nico che gridava parole sconnesse. Nell'immediato, il mio sguardo incrociò quello di Percy al mio fianco, mentre una strana sensazione andava a depositarsi sul mio stomaco, stringendolo in una morsa familiare.
Terrore.
Paura.
Bastò un'occhiata per comprendere i pensieri dell'altro. Percy non perse tempo e spalancò la porta, fortunatamente aperta. L'immagine che ci trovammo davanti, probabilmente, sarebbe rimasta impressa nella nostra memoria per molto, molto tempo, ne ero sicura.
Impiegai qualche attimo per comprendere appieno la situazione prima di scattare, ricacciando indietro la paura forzatamente. Perché, riversa a terra accanto al tavolo della cucina, in apparenza priva di sensi, con Nico al fianco che la scuoteva istericamente per le spalle e Bianca in lacrime nel suo seggiolone, c'era Katia.
E un'inconfondibile pozza di sangue sotto di sé.

Love the way you live     [PERCABETH]Where stories live. Discover now