60. 𝙵𝚊𝚝𝚝𝚒

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«Boo!». Esclamò questo qualcuno con l'intento di spaventarmi.

Mi voltai di scatto, certa che fosse un sogno. Magari avevo raggiunto per davvero il centro della Terra.

«Ollie?».

Quando pronunciai quel nome, il mio cuore tornò a funzionare a pieno regime.

Sbattei le palpebre un paio di volte ma dovetti arrendermi alla realtà dei fatti: lui era veramente in piedi di fronte a me, più bello che mai.

I miei occhi perlustrarono ogni dettaglio: i capelli biondi e leggermente scompigliati, gli occhi scuri, le fossette sulle guance, le labbra sottili ed estremamente eccitanti e l'appena percettibile ricrescita della barba anche più bionda dei suoi capelli.

«Sei bellissima. Anche di più di come ricordavo». Affermò estremamente serio.

«Ch-che ci fai qua?». Balbettai cercando di tornare lucida.

Il mio cervello si era ingolfato. Non poteva essere altrimenti. Era umanamente impossibile percepire nello stesso momento e con la stessa intensità sia il bisogno viscerale di correre via al solo scopo di allentare la morsa che stava stritolando il mio stomaco sia una sorta di energia elettrostatica che mi attirava a lui e che non sarebbe cessata finché il mio corpo non fosse stato a completo contatto con il suo.

Era uno scontro e ci sarebbe stato un solo vincitore.

«È una di quelle sere in cui mi manchi troppo».

Nel tono melodioso ma estremamente sensuale della sua voce, percepii una piccola alterazione.

«Hai bevuto?».

Annuì serrando le labbra per evitare di sorridere. «E fumato, ma non ho strafatto e soprattutto non con Max. Sto mantenendo la promessa. Hai visto quanto sono bravo?».

«Vuoi mangiare qualcosa?». Gli domandai mentre i miei occhi non riuscivano a staccarsi dai suoi.

«No... Voglio te!». L'intensità con cui pronunciò quelle parole dichiarò la fine dello scontro: aveva vinto l'energia elettrostatica, schiacciando senza pietà il suo avversario.

D'altronde non poteva finire diversamente.

«Emma! Emma!».

Il mio nome chiamato a gran voce mi riportò con i piedi a terra. Qualcuno mi stava cercando.

Mi voltai quanto bastò a scorgere mia madre con la Professoressa Velasquez al seguito che mi cercava come un segugio nella stagione dei tartufi.

Le mie mani non persero tempo: si alzarono e iniziarono a spingere Ollie all'indietro.

Dovetti soprassedere la sensazione di calore che percepivo irradiare dal punto di contatto della mia pelle con il suo petto. Per fortuna, avevo lo strato di stoffa della sua maglietta dalla mia parte.

Quando trovai la porta del bagno delle signore, l'aprii alla svelta spingendolo dentro e costringendolo ad entrare. Poi, mi richiusi la porta alle spalle, dando una mandata.

Quando mi voltai, Ollie era in piedi al centro della stanza.

Avevo appena scoperto quale fosse il centro dell'Universo.

«Non è assolutamente il caso di stare in una stanza da soli». Mi avverti squadrandomi dalla testa ai piedi.

«Perché?». Gli domandai con la voce strozzata da quello che stavo percependo in ogni parte del corpo.

«Perché come hai potuto vedere non ho nessun controllo sul mio corpo e sulla mia mente e quel vestito merita di essere tolto. Te lo strapperei di dosso in modo davvero poco delicato».

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now