«Emma». Scandì lentamente il mio nome Ollie.

«Faccio subito. Così, libero il bagno». Dissi sbrigativa.

Ollie non rispose e io capii che per l'orecchino ormai non ci fosse più speranza.

Sospirai, mentre i sensi di colpa iniziarono a tormentarmi. Soprattutto perché Sutton avrebbe potuto pensare a un'intenzionalità vendicativa da parte mia.

Avrei potuto smontare lo scarico per recuperarlo ma non sapevo neanche come fosse fatto uno scarico.

Sospirai un'ultima volta e abbandonai la scena del crimine.

La porta della camera di Ollie era di nuovo chiusa e a me faceva male una regione estesa del petto che aveva come epicentro il mio cuore.

Uscii di casa, con espressione a metà strada tra la colpevolezza e la delusione. Sorpassai la mia macchina e mi incamminai lungo la passerella del disagio, come l'aveva chiamata Noah.

Una delle poche dritte che mi aveva dato Penelope - sicuramente il secondo comandamento del manuale di sopravvivenza alle Palafitte dopo quello di farsi sempre gli affari propri - era di non andare mai in giro da sola, soprattutto di sera.

Ecco, era proprio quello che stavo facendo.

Camminavo per quel degrado che era diventato ormai così familiare da non suscitare in me alcuna paura. Anche perché, quando sei così tanto abituata a vedere le conseguenze del sbucciarsi come una cipolla, il concetto di pericolo viene drasticamente ridimensionato.

Ripetevo nella mia testa questa valida argomentazione, mentre una macchina dietro di me procedeva così a passo d'uomo da farmi credere gli unici passi d'uomo che stesse seguendo fossero proprio i miei.

Buttai un'occhiata nervosa alle mie spalle, ma non riuscii a capire chi fosse. Affrettai di poco il passo, decisa ad attraversare e fare marcia indietro, ma la macchina mi precedette bloccandomi la strada.

«Ehi, farfallina».

No, ti prego, no!

Pregai Buddha, a cui forse andavo più a genio. Ma dovetti, anche questa volta, ricredermi.

Max mi guardava divertito attraverso il finestrino dell'auto abbassato, il braccio a penzoloni e uno spinello imprigionato tra le labbra.

Lo ignorai, proseguendo a camminare, e lui scese dalla macchina.

«Non si salutano i vecchi amici?». Mi domandò piazzandosi di fronte a me.

Anche lui era parecchio alto, così dovetti fare un passo indietro e inclinare la testa per guardarlo in faccia.

«Scusami, ma devo andare a cena dai miei».

«E ci stai andando a piedi?».

«No, certo che no». Risi nervosa. «Sto andando a prendere la macchina. Sono già in ritardo e non vorrei che iniziassero a preoccuparsi. Sai, sono molto apprensivi. Il tipo di apprensione da numero del capo della polizia locale salvato in rubrica».

Forse, mia madre ce lo aveva salvato per davvero in rubrica.

«Certo, come no. Forza, sali in macchina».

«Io, veramente, non posso».

«Come vuoi, farfallina. Se non sali tu, io e miei amici costringeremo Ollie a venire con noi».

La gola si chiuse in una morsa pressante che si aggravò quando mi voltai verso la macchina. Altre due persone erano sedute e avevano un aspetto anche meno rassicurante di colui che mi aveva assestato un pugno faccia.

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now