Penelope continuò a parlare con lo sguardo perso nel vuoto.

«Ecco: stare con Ashton è... era». Si corresse mentre una lacrima rigava la sua guancia. «...come spingersi su un'altalena impazzita: un attimo prima sono felice perché ho raggiunto il punto massimo di spinta, e un attimo dopo mi ritrovo a sbandare, impaurita e fuori controllo. E, quando non siamo insieme, è anche peggio. Mi sono sempre sentita così... combattuta, perché ho voglia di provare ancora quelle emozioni che provo quando sono con lui, ne sento il bisogno perché mi procurano così tanto piacere, ma fa male perché inevitabilmente finisco per sbandare e sbattere. Non so come spiegarlo. Ti sembrerò pazza».

Le porsi un fazzoletto recuperato dalla borsa, pronta a continuare ad ascoltarla.

«All'inizio non era così. Era tutto perfetto. Lui era il ragazzo perfetto: mi riempiva di attenzioni, di regali, mi faceva sentire unica, insostituibile, indispensabile, come se la sua felicità dipendesse dalla mia. Dopo due mesi di frequentazione, iniziò ad accompagnarmi a lezione. Pensai fosse davvero un gesto galante. E pensai altrettanto quando iniziò a venire a riprendermi. Poi, iniziò a chiedermi di informarlo sui miei spostamenti, diventando irascibile quando non gli scrivevo per troppo tempo. Diventò sempre più geloso, a tal punto che non potevo più parlare con nessuno dei miei amici maschi. Finché, un giorno, mi propose di andare a vivere con lui. Inventai una scusa ridicola dicendo che mio fratello non voleva. Allora, lui mi convinse a tornare a casa, perché "era inutile continuare a stare al campus", così mi diceva. Acconsentii solo perché non volevo che si arrabbiasse con me. Quando lo è, non mi parla per giorni. All'inizio, ero così frustrata per essere stata "costretta" a tornare a casa ma poi cominciai a sentirmi sollevata. Perché avevo sempre una scusa da usare quando non volevo vederlo: "Ollie non vuole e non posso disobbedirgli"».

Penelope abbozzò un sorriso, come a volersi scusare. Entrambe sapevamo che Ollie non era proprio il tipo da porre quei generi di divieti.

«L'anno scorso ero decisa a lasciarlo, ma desistetti quando lui minacciò che avrebbe fatto un gesto folle se lo avessi fatto, giustificandosi che mi amava e non poteva stare senza di me. Non lo lasciai e lui mi ripromise che le cose sarebbero andate meglio, che sarebbe cambiato. E così fu. Iniziò a viaggiare spesso e io trovai un equilibrio, seppur precario: quando non c'era, facevo di nascosto tutto quello che non potevo più fare - come vedere i miei amici, uscire, andare a ballare - e, quando tornava, mi sentivo così in colpa. Soprattutto perché per farsi perdonare mi riempiva di regali e attenzioni. Ed eccola di nuovo, l'altalena impazzita... Ho passato l'ultimo anno a sbandare, sbattere, rialzarmi e risalire su quella maledetta altalena. Ma non ce la faccio più. Così ieri, con l'aiuto di Chase, ho rotto con lui. Con un messaggio». Sbuffò una risatina. «Neanche ho avuto il coraggio di dirglielo in faccia. Avevo paura che non ce l'avrei fatta. E ora lui mi sta tapinando di messaggi e chiamate. Dice che gli devo delle spiegazioni e ha ragione ma io...». Il discorso fu interrotto da un singhiozzo.

Le presi la mano e la strinsi nella mia. «Gli darai tutte le spiegazioni che vuoi, se vuoi, quando sarai pronta».

Gli angoli della bocca di Penelope si piegarono verso l'alto. «Ha detto così anche Chase».

«Perché a Ollie non lo hai detto?».

«Perché mi vergogno».

«Di cosa?».

Penelope distolse lo sguardo e sottrasse la mano liberandola dalla mia presa. «Ho fatto una cosa terribile. Lui mi ha dato tanto e io l'ho trattato in questo modo».

«Ti ha dato tanto?».

«Vestiti, scarpe, borse, viaggi... Mi ha sempre pagato tutto lui. Ollie pensa che mi sia trovata un lavoro part-time per sostenere tutte queste spese. Se sapesse... Non voglio che anche lui pensi che io sia un totale fallimento, una mantenuta».

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now