25. La torta di mele

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«Ollie».

«Ah».

Ben alzò gli occhi dallo schermo. «Vuoi che non li inviti?».

Scrollai la testa. «No, ci mancherebbe. Ma non penso che Ollie verrà. Soprattutto se sa che ci sono io».

Ben fece spallucce prima di posare il telefono sul tavolo. «Ollie fa quello che vuole. Io voglio venire. Stasera ci si diverte, ragazza farfalla!».

Sorrisi soddisfatta.

Ben si fece serio tutto d'un tratto. «Sai, io ti ammiro».

«Davvero?». Chiesi abbastanza sorpresa. Nessuno mi aveva mai ammirato, né fisicamente tantomeno moralmente.

«Sì. Sei determinata, non ti importa delle conseguenze, ma solo di realizzare i tuoi sogni».

«Ci provo, ma come vedi non mi sta andando alla grande».

Ben si sporse verso di me, facendo leva sugli avambracci. «Questo lo dici tu». Mi fece poi l'occhiolino con fare misterioso.

«E tu, Ben? Che sogno vorresti realizzare?». Gli domandai sostenendo il suo sguardo.

Ben tornò al suo posto, sprofondando con la schiena nel cuscino del divanetto. «Voglio innamorarmi e mettere su famiglia».

«E c'è qualcuno che ha rapito il tuo cuore muscoloso e tatuato?».

Questa volta fu Ben a rimanere sorpreso. «Sei la prima che non ride».

«Perché dovrei ridere? Essere innamorati è bellissimo. Ti fa sentire estremamente viva».

«Ma fa anche soffrire».

«Penso faccia parte del pacchetto. Allora, dimmi: c'è qualcuno?».

«Sì, quella ragazza là». Mi voltai verso il punto che mi stava indicando. «Viene a fare colazione qua ogni mattina. Non sono un pervertito». Tenne a precisare. «Vengo anche io spesso perché lavoro qui vicino. Per questo l'ho notata».

Guardai la ragazza con più attenzione. «È molto carina».

«Ha una bellissima voce e un profumo che ti manda su di giri. Giuro che pagherei per stare seduto vicino a lei».

Ben parlava continuando a guardarla e a me sembrò di osservare il mio riflesso allo specchio. I suoi occhi erano innamorati quasi quanto i miei.

«Ben, ma sei veramente dolce! Perché non ci hai parlato?»

Scrollò le spalle. «L'hai vista? È una di quelle che vive nella parte sbagliata della città!».

«Parte sbagliata?».

«Quella ricca». Mi spiegò tornando a guardare me.

«Anche io vivo là».

«Sì, vero. Ma abbiamo capito che sei un caso a parte. È un complimento... Comunque, non ho nessuna speranza. Quelle come lei non finiscono con quelli come me».

Mi misi a riflettere. Il suo discorso suonava assurdamente sbagliato. «Okay, aspetta qua».

Mi alzai dalla sedia senza dargli modo di rispondere e raggiunsi la ragazza che stava dietro il bancone a trafficare con la macchina del caffè. Aveva svariate ciocche rosa e un'espressione infastidita che peggiorò quando le rivolsi la parola.

«Ciao». Sfoderai un ampio sorriso.

«Per lamentele sul servizio rallentato devi contattare il costume care. Ecco». Mi spiegò annoiata, indicando con l'indice un numero scritto sulla parte posteriore della macchina senza degnarmi di uno sguardo.

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now