20. La pulizia

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Li asciugai e li riposi nei pensili, facendo congetture su quale fosse il ripiano giusto.

Una volta tolti di mezzo tutti, guardai con rammarico il lavandino e mi convinsi che non avrei fatto niente di male se lo avessi pulito. Recuperai quindi i guanti dal mio zaino, accesi il telefono ignorando l'apocalisse che stava accadendo nella parte nord della città, infilai le cuffiette, misi un po' di musica, cercai qualcosa che somigliasse a un detersivo e iniziai a pulire il lavandino. Feci altrettanto con il bancone che era abbastanza sudicio e appiccicoso, per poi passare al tavolo che finalmente era sgombro. Infine, mi spostai ai pensili della cucina, che liberai per pulire e riempire nuovamente.

Avrei dovuto fermarmi, ne ero consapevole. Ma ero anche estremamente nervosa perché ero scappata da casa mia ed ero finita in quella di Ollie.

Quando ero nervosa, di solito erano due le cose che riuscivano a tranquillizzarmi: straparlare senza ritegno né pudore - ma in quel momento ero completamente sola e ancora non ero così folle da straparlare con me stessa - e pulire.

Pulire mi permetteva di non pensare a niente e in quel momento non desideravo altro che evitare di pensare che prima o poi Ollie avrebbe fatto ritorno a casa.

Così, continuai a pulire... TUTTO!

Svuotai i mobili per spolverare, lavai i pavimenti e i vetri, sgrassai ogni superficie che avevo a disposizione.

Alle cinque del pomeriggio, un odore di pulito e candeggina, che avevo miracolosamente trovato nel mobile del bagno, aveva scacciato di prepotenza lo sporco e il sudiciume e io mi sentivo in colpa.

Avevo pulito una casa da cima a fondo, tranne la stanza dei due proprietari, senza aver avuto il loro permesso.

Mi avevano ospitato da meno di ventiquattro ore e io mi ero comportata come se fossi la padrona di casa.

Così, mi venne in mente un'idea davvero stupida per chiedere il loro perdono e il grande favore di non cacciarmi di casa: fare la spesa.

Avevo un po' di cash con me e li usai tutti per riempire il frigo e la dispensa - temevo che, se avessi usato la carta, mia madre avrebbe rintracciato i miei movimenti. E, solo dopo che sistemai anche l'ultima confezione di cibo nella dispensa che era sanificata meglio di un reparto ospedaliero, fui sopraffatta dalla paura che anche quello potesse essere un gesto di offesa nei loro confronti.

Fui presa dal panico. Il panico che ti pervade quando cerchi di spegnere un incendio buttando sopra le fiamme della benzina.

Cercai di chiamare Penelope ma non mi rispose. Poco dopo, mi arrivò un messaggio con cui si scusava e mi comunicava che era in giro con il fidanzato e che non sarebbe tornata a casa. Mi avvisò che anche Ollie non sarebbe tornato molto presto e io piombai nello sconforto più totale.

Mi sedetti su una sedia sotto la veranda con lo scopo di aspettare Ollie per porgergli le mie scuse. Per ingannare l'attesa, mi feci fuori una scatola di biscotti, una torta confezionata e una scatola di caramelle gommose. Per il nervosismo, guardai dal telefono due volte di seguito l'Esorcista.

Quando il pick up di Ollie si parcheggiò davanti il vialetto di casa, scattai in piedi.

Erano le undici di sera io stavo rischiando di andare in coma iperglicemico e non solo a causa dell'indigestione di dolci che avevo fatto.

Ollie

Avevo tatuato il volto di Al Pacino nei panni de Il Padrino sul bicipite di un tizio decisamente fuori di testa per tutto il pomeriggio, godendo dei lamenti di dolore che emetteva ogni volta che sfumavo con il bianco.

Come le ali di una farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora