Effettivamente, con le parole ad accompagnare la musica, tutto aveva più senso.

Where is my mind?

Chiedeva la canzone.

A nove anni non lo sapevo. A ventisei ci avevo rinunciato.

Way out in the water, see it swimmin'...

Preferivo di gran lunga pensarla al largo del mare, a nuotare, insieme a me e alla mia tavola.

Tuttavia, non dimenticai mai quella melodia. Dopo tutto, era l'unico regalo che avessi mai ricevuto... fino ad ora.

E anche perché io non dimenticavo mai niente.

Scacciai dalla mente il regalo appena ricevuto e la proprietaria della mano che me lo aveva consegnato, ed entrai in acqua senza alcuna esitazione, immergendomi in quella distesa buia eppure tremendamente accogliente.

Il colore dell'acqua del mare di notte mi aveva sempre ricordato quello dell'inchiostro che usavo ogni giorno in studio.

L'oceano era il miglior tubetto di inchiostro di cui Madre Natura ci aveva provvisto ed era l'ideale per contenere le tenebre liquide dentro cui mi stavo immergendo.

Nuotai allontanandomi dagli altri, attento a non posare neanche per sbaglio gli occhi sulla spiaggia dove una farfalla avevo deciso di posarsi.

Quella ragazzina era assurda! Tenace, dovevo dargliene atto, ma tremendamente inopportuna...

«Posso farti anche io gli auguri?». La voce di Sutton interruppe il flusso dei pensieri sbagliati che stavano prendendo forma nella mia mente contorta.

Mi ero ripromesso di non pensare più ad Emma ma la sua presenza lo rendeva praticamente impossibile.

Sutton nuotò nella mia direzione. I capelli biondi e bagnati portati all'indietro mettevano in risalto i lineamenti squadrati del suo volto. Quando fu abbastanza vicina da permettere ai nostri respiri di intralciarsi a vicenda, gli angoli della sua bocca si alzarono verso l'alto, mimando le curve di un sorriso furbo e malizioso.

«È adorabile, comunque. È veramente cotta di te».

Le sue parole mi provocarono fastidio, a cui reagii nel solo modo in cui le avrei vietato di parlare ancora di lei: l'attirai a me.

Quando sentii il suo corpo avvinghiato al mio, mi feci spazio sotto la stoffa bagnata dei suoi slip e infine, entrai dentro di lei con due dita.

Sutton gemette e posò le sue mani sulle mie spalle. «Dritto al punto, come il tuo solito». Poi mi baciò.

Ricambiai, perché la sua lingua era un ottimo deterrente per svuotare la mente. Cosa che feci completamente quando anche le sue mani iniziarono a slacciarmi il costume.

Quando uscimmo dall'acqua, di Emma e della sua amica non c'era più alcuna traccia. Se non fosse stato per il regalo che ancora giaceva buttato sul mio zaino, la sua presenza sarebbe potuta essere stata solo un miraggio, un'allucinazione da fumo mal tagliato.

Guardai l'astuccio contenente il dannato pennino maori sopra cui era stato inciso il mio nome con una grafia pastrocchiata. Quella ragazzina non solo mi aveva fatto gli auguri, ma anche un regalo personalizzato.

Era un regalo ed era pensato. Per questo, ero così infastidito.

Estrassi il pennino dall'astuccio e lo rigirai tra le mani, passando il polpastrello del pollice sopra l'incisione. Era strano, inquietante, eppure in un angolino remoto della mia testa me lo figurai posizionato sul bancone dello studio vicino al bong di Nate, un ricordo di uno dei suoi tanti viaggi culturali nelle terre dei coltivatori d'erba più famose al mondo.

«La ragazza farfalla sa il fatto suo!».

«Sta' zitto, Noah». Lo ammonii mentre richiudevo l'astuccio.

Guardai il mio amico. Lo conoscevo da quasi vent'anni, ormai. Per me era stato un fratello, un amico, una famiglia e lo era tuttora.

L'espressione dipinta sul suo volto era la tipica espressione di chi pensa di sapere qualcosa ancor prima del diretto interessato. Inutile dire che non era così, che si sbagliava alla grande, che non c'era niente sotto e mai ci sarebbe stato.

«Aspetto il momento in cui correrete mano nella mano in mezzo a prati verdi e fioriti, tra margherite e farfalline rosa svolazzanti».

Erano settimane che lui e Ben mi sfottevano con la storia della ragazza farfalla. Li avevo sempre lasciati fare anche perché la questione "ragazza ricca e malata, psyco e per giunta stalker" me l'ero lasciata alle spalle. L'avevo richiusa dietro la porta della stanza numero quindici di un ospedale e là era rimasta, fino a questa sera.

«Farete pic nic sulla spiaggia, guarderete il tramonto abbracciati e roba così?».

Chiusi la zip dello zaino, deciso a non prestare attenzione agli sfottò di Noah, anche perché Sutton mi aveva fatto venire due volte in acqua, la serata aveva avuto un senso e io mi ero tolto un altro non-compleanno dalle palle.

Noah stava per tornare alla carica, quando sopraggiunse Ben visibilmente esaltato. Si piazzò davanti a me indicando con il braccio teso una zona della spiaggia poco distante da noi.

«Ollie, la tua ragazza sta per fare a botte... un'altra volta!».

I miei occhi sorpassarono Ben per posarsi sul punto indicato dal suo braccio tatuato, dove Emma stava litigando con una tizia.

Accanto al suo corpo esile e vestito come se stesse andando a un brunch sull'Empire State Buindilg, c'erano la sua amica e un tipo con una chiazza scura all'altezza del cavallo dei pantaloncini.

Mi limitai a guardare la scena da lontano, perché io ero solo uno spettatore casuale e disinteressato, e continuai a esserlo anche quando la tizia diede una spinta alla sua amica e Emma la ripagò della stessa moneta.

Sembrava proprio che le cose si stessero mettendo male, ma quella ragazzina non era un mio problema, come non era un mio problema il fatto che volesse a tutti i costi entrare in un mondo a cui non sarebbe mai potuta appartenere.

Ma, quando una spinta la fece cadere sulla sabbia, le mie gambe iniziarono a muoversi da sole.

Mi ritrovai, così, a camminare a passo svelto verso di lei, con Ben che si era materializzato in un attimo al mio fianco.

Come le ali di una farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora