La bloccai prima che potesse anche solo muovere un passo in direzione del punto di raccolta degli alcolici. «Eccoli lì». Esclamai con un filo di voce.

A pochi passi dalla riva, disposti in cerchio, c'erano tutti: Ollie, Ben, Noah, Penelope e... Sutton. Lo sguardo di Shinhai li intercettò subito. Così, ci ritrovammo entrambe a strizzare gli occhi nella loro direzione.

«Certo che Sutton è una strafica svestita di quel bikini striminzito. Vorrei anche io essere nata bianca e bionda per quanto le sta bene!».

«Anche io mi sono vestita bene». Protestai dopo essere stata attraversa da un fremito di fastidiosa invidia, perché aveva ragione. Niente avremmo potuto davanti a quella perfezione di bellezza a portata di bikini.

Shinnai mi squadrò da capo a piedi con la fronte aggrottata. «Indossi un pantalone a palazzo di seta turchese e un top bianco: sembri appena scesa dal tappeto volante insieme ad Aladdin».

Incrociai le braccia. «E allora? Non ho il reggiseno! E, comunque, Jasmine è una figa».

«Non indossi il reggiseno perché non ti serve». Puntualizzò.

Altra verità assoluta. Perché Shinhai finiva sempre con l'essere dalla parte della ragione, mentre io inciampavo costantemente in quella del torto?

«Senti, Shinhai, ma da che parte stai?».

«Dalla tua! Per questo ti voglio rendere consapevole che niente può battere quel costume che indossa. Ma la vedi? Potrebbe sfilare tra Kendall Jenner e Emily Ratajkowski!».

«Basta». Sbottai esasperata, cercando di allontanare dalla mente l'immagine di Sutton che sfilava in intimo provocante sulla passerella durante la Fashion Week. «Ora andiamo da loro».

«A fare cosa?»

«Devo dargli il mio regalo!».

«A te piace proprio fare figuracce, eh!».

«Almeno non ho più la benda sull'occhio».

«Sì, ma vedi comunque sfocato e hai mezza faccia bruciacchiata».

Era vero anche quello. La pelle intorno al mio occhio sinistro stava cicatrizzando ma in tempi biblici e in un modo tutto suo. Quindi, di fatto, sembrava che qualcuno avesse cercato di accendere un fuoco sfregando una pietra focaia sul mio viso.

Ma a me importava qualcosa? Ovviamente no...

«O vieni con me o vado da sola!». La minacciai, infine.

Shinhai sospirò rassegnata. «Questo giorno verrà ricordato come la disfatta di Emma sulla spiaggia delle Palafitte, altro che battaglia di Waterloo. Forza, andiamo».

Sprigionai un potente sorriso e iniziai a camminare sulla sabbia. Era fredda, umida, innocua, al contrario di quella rovente del giorno su cui non mi era mai stato accordato il permesso di camminare.

Più ci avvicinavamo a loro, più il mio cuore batteva all'impazzata e meno era sicura del mio abbigliamento da tappeto volante. Ma ormai era troppo tardi. Perché niente avrebbe potuto battere l'imbarazzo di un abbigliamento poco adatto rispetto all'imbarazzo di avvicinarsi a un gruppo di amici intenti a chiacchierare per i fatti loro e salutarli come se fossero tutti sordi.

«Ciao a tutti». Urlai senza ritegno, declamando la presenza mia e di Shinhai che subito iniziò a fissare il vuoto davanti a sé con occhi sbarrati.

«Emma! Alla fine, sei venuta». Penelope mi abbracciò, interrompendo quel momento di imbarazzo in cui tutti mi stavano fissando con l'espressione di chi ha appena visto un morto che cammina.

Come le ali di una farfallaWhere stories live. Discover now