Capitolo 55: Operazione Y

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Gli occhi di Noah scattarono aperti.
Si alzò immediatamente per mettersi seduto su quello che si rivelò essere un materasso, troppo morbido rispetto al divano dove ricordava di essere seduto fino a qualche istante prima. Una fitta alla testa lo bloccò a metà dell'impresa, costringendolo a stringere le palpebre e a puntellare una mano sotto di lui per reggere il corpo, mentre l'altra arrivò sul viso per toccare il punto in coincidenza del setto nasale. Tuttavia riaprì nuovamente gli occhi non appena i suoi polpastrelli percepirono qualcosa di diverso dalla sua pelle, un tessuto liscio e lievemente spesso. Si guardò intorno, riconoscendo al di là della vista offuscata la sua stanza. Sedendosi più composto, realizzò di avere sopra il suo corpo il plaid che teneva in camera; lo scostò per rivelare la t-shirt bianca, sporca di sangue sul lato sinistro. In effetti non bruciava; quel suo movimento irruento non aveva riaperto la ferita. Sollevò la maglietta e notò una medicazione coprire il punto dove avrebbe dovuto incontrarsi con una lacerazione in fase di guarigione. Incrociò le gambe sopra il materasso, sospirando per abbassare le spalle con un movimento frustrato e stizzito; le mani arrivarono sul volto, proseguendo fino al retro della nuca per portare indietro i capelli adesso asciutti, e si morse l'interno della guancia, maledicendosi.
Per ritrovarsi sul letto di camera sua, perfettamente medicato e con le coperte rimboccate come se fosse uno stupido bambino di due anni, dedusse che era svenuto in soggiorno e Dave si era preso cura di lui, trasportandolo fin lassù. Non osava solo immaginare come lo avesse fatto. Che stupido idiota. Sarebbe dovuto salire in camera quando ne aveva avuto occasione, evitando di fare scenate di quel genere.

A giudicare dal buio esterno, non doveva essere passato tanto tempo da quando aveva perso i sensi. Inclinò il capo per adocchiare il comodino, sporgendosi con il braccio destro per aprire l'ultimo cassetto. Proprio all'interno, spiccò una custodia in mezzo a cianfrusaglie di ogni genere, tra cui due joypad, il caricabatteria del cellulare, il portafoglio, ed alcune pezzuole per pulire i vetri, con tanto di flaconcini. Tirò fuori la custodia in marrone per aprirla e rivelare un paio di occhiali, identico a quello precedente, nuovo di zecca, lucido e pulito. Lo indossò, tornando finalmente a vedere l'ambiente con nitidezza; adesso doveva comprarne un altro da tenere di riserva se avesse rotto anche questo. Scrutò l'orologio digitale sul comodino: erano passate da poco le undici di sera. Circa sei ore di fermo, perfetto. Lo stomaco gli brontolava e non di poco; era praticamente a digiuno da più di ventiquattro ore. Provò a mettersi in piedi per assicurarsi di non avere più le vertigini. Oltre al lieve dolore alla testa per la botta, stava bene. Qualunque cosa gli avesse fatto l'energumeno, poteva finalmente stare in piedi senza alcuna difficoltà. Camminò fuori dalla sua stanza per scendere al piano di sotto e prendere qualcosa da mangiare. Eppure quando aprì la porta per dirigersi alle scale si accorse che la porta della stanza di Dave, di fronte alla rampa, era aperta, la luce spenta. Essendo costretto a passarci davanti, notò che il letto era perfettamente sistemato. Scese lentamente gli scalini, tenendosi sul corrimano; luce soffusa proveniva dal soggiorno, colori che si infrangevano nella parete e che cambiavano di volta in volta, accompagnati da un parlottio sommesso. Non ci volle un genio per capire che quella fosse la televisione accesa. Rallentò i passi, scendendo l'ultimo scalino senza fare il minimo rumore; doveva ringraziare il suo passo scalzo ad essere così silenzioso. Prima di passare tranquillamente in cucina doveva assicurarsi che Dave fosse lì, evitando di ricevere le solite ramanzine e inviti a tornare a letto. Non aveva né tempo né voglia.

Si sporse di poco con il busto per scoccare un'occhiata all'openspace; si incontrò con lo schermo, sul quale era trasmesso un film vecchio, vecchissimo, dai colori e dal fotogramma a pellicola; seguì il tavolinetto con al di sopra almeno un cinque birre vuote.
Ma che cazzo... Pensò, le sopracciglia corrugate in un'espressione stordita. Pareva non ci fossero tracce di cibo. Aveva bevuto a stomaco vuoto? Se così fosse, come diavolo aveva fatto a... Arrivò a guardare il divano. Le spalle sussultarono quando la figura seduta in maniera scomposta di Dave risaltò ai suoi occhi; se il gomito sinistro era appoggiato sul bracciolo del divano, affinché le nocche sorreggessero la testa, l'altro era adagiato sulla coscia, le gambe messe quasi incrociate e le dita che circondavano debolmente una sesta bottiglia mezza vuota. Involontariamente, Noah varcò del tutto l'entrata per osservare meglio le condizioni del soldato con sguardo attonito; Dave aveva gli occhi chiusi, le labbra lievemente schiuse, dalla quale proveniva un respiro pesante e roco. La sua espressione era contratta da un sentimento che il ragazzo faticò a tradurre; c'era qualcosa di strano, una tinta di turbamento che non aveva mai visto attraversare i lineamenti pressoché squadrati del suo strambo coinquilino. Si avvicinò con cautela, non appena notò la birra scivolare lentamente dalla mano di Dave e l'afferrò in tempo prima che si rovesciasse addosso a lui e lo svegliasse.

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