Capitolo 49: In trappola

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«...ati...»

Un brusio lontano gli accarezzò l'udito.

«...oviti...»

Era una voce acuta, eppure sussurrata, la quale non toccò le solite note assordanti che avrebbero davvero potuto spaccare un bicchiere di cristallo. Nonostante avesse dovuto provare un certo odio per quella voce, irritazione più che altro, si sentì quasi allietato nell'udirla vicina, molto vicina. Cosa c'era di rassicurante in quella voce, rimaneva un mistero. Ma che poteva farci? Il suo corpo era un blocco di marmo, appoggiato a qualcosa di freddo e sporco; non capiva dove fossero le mani, le gambe, le braccia, persino la testa. Ah, sì. La testa. Un blocco di cemento che se ne stava rivolto verso il basso, a rompergli l'osso del collo con la sua pesantezza. Non ricordava l'ultima volta che il suo corpo era stato così sconnesso dalla mente da provare un senso di vuoto allucinante. Per i suoi occhi era tutto nero; non c'era niente che potesse guidarlo se non quella maledetta voce che, se solo fosse stata più controllata e diretta, sarebbe risultata un tantino più dolce.

«...Cazzo...!»

Uno strattone deciso gli colpì la schiena, spingendolo in avanti.
Fu utile a fargli capire, finalmente, che fosse seduto a terra, simile ad una scarica che invogliò i suoi sensi a dirgli di riprendersi. Stava rischiando di sbilanciarsi troppo in avanti, allora un'altra spinta, accompagnata da un ringhio nervoso, lo tirò indietro, raddrizzandogli di poco la schiena. Le sue braccia andarono a contatto con un tessuto, una felpa. Ma era solido, piegato allo stesso modo con la quale lo erano i suoi arti; erano dietro la schiena, comprese. Aveva le braccia dietro la schiena e le sue mani erano vicine, solleticate in continuazione da una pelle fredda e morbida, assurdamente delicata e liscia al tatto dei suoi polpastrelli. Non stava indossando più i guanti.
Strinse le palpebre, avendo più coscienza della sua autonomia.
Una vibrazione gli fece captare un continuo dimenarsi che stava giungendo sino a lui, soprattutto a partire dai polsi.

«Apri gli occhi, fottuto energumeno. Mi stai spezzando la schiena!» aumentò il tono quell'ostinata voce, accompagnata di pari passo con dei movimenti repentini e impulsivi.

Strinse le mani, formicolanti e indolenzite, portando ad una fine quell'agitazione senza senso. Corrugò la fronte, riuscendo a sollevare le palpebre. Le sbatté una volta, poi un'altra, fino a quando non fu in grado di vedere le sue gambe; era seduto su un pavimento cementato. Si umettò le labbra secche e sollevò la testa, guardandosi intorno. Era in una stanza vuota, dalle pareti grigie e uno stupido neon sopra la testa.

«Ma che diavolo...?» mugugnò Dave, ancora confuso.

Provò a muovere le braccia, e fu lì che si accorse del perché fossero dietro la schiena. I suoi polsi erano immobilizzati, eppure – come già accennato – toccava altra pelle, oltre ai filamenti spessi; inclinò il capo da un lato per osservare per mezzo della vista periferica chi avesse alle spalle.
Quel chi fece lo stesso.
Il suo broncio era riconoscibile a chilometri di stanza.

«Noah?» realizzò, ricordando quello cui erano andati incontro non appena la sua immagine priva di sensi, a terra e nel tunnel, balzò alla sua mente come il flash di una macchina fotografica. Sgranò appena gli occhi, non riuscendo a vederlo bene in quella posizione. «Stai bene? Ti hanno fatto qualcosa?»

Noah scrollò le spalle, spazientito. «Era ora, cazzo. Spostati.»

Lo strattonò nuovamente con il busto per avere più spazio; Dave si mise meglio con la postura, facendo in modo che i due fossero schiena contro schiena, seppur le loro braccia fossero in mezzo da permettere solo alle spalle di toccarsi.

«Sto bene.» continuò il giovane, ritornando a fronteggiare il muro asettico di fronte ai suoi occhi. «Mi sono svegliato qualche minuto fa, piegato in due a causa del tuo peso del cazzo.» costrinse la sua colonna vertebrale a raddrizzarsi. Scricchiolò in maniera piacevole, tanto che sospirò dal sollievo.

OPERAZIONE YWhere stories live. Discover now