Papaveri Rossi

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< Cosa c'era scritto nella tua lettera? > gli chiesi.
< Non lo so, era per mio zio, non la lessi. Mi disse solo che da quel momento avremmo ospitato i pazienti che affrontavano un lungo viaggio, proprio come lei. Solo per una notte a soggetto. Era un buon affare! Ci avrebbe dato il doppio di quello che guadagniamo durante la stagione invernale. >

Dopo qualche altra chiacchiera e risata, e un discreto numero di bicchierini, ci addormentammo davanti al fuoco; lui sulla poltrona, vicino a Giorgio, che ronfava già da un pezzo, e io sul divanetto nell'angolo.
Quella mattina aprì gli occhi, era tutto annebbiato. Mi ritrovai con un mal di schiena spacca ossa. I vari bicchieri della sera prima erano ancora lì, sopra il tavolino. Marco era collassato sulla poltrona davanti a me. Mi sedetti, stropicciando gli occhi. In fondo alla sala sentì un fastidioso rumore di scarponi pesanti. Battevano il pavimento come sacchi di patate lasciati cadere per terra. Era Fred. Stava prendendo dall'attaccapanni il suo giubbotto.

< Monsieur, è ora di andare. >

Da quanto aspettavo quelle parole. Mi alzai senza fare troppo rumore, seppure l'eccitazione mi svegliò meglio di una tazza di caffè. Presi la giacca, ravanai nella tasca destra e presi l'ultima banconota da cento dollari che mi rimaneva. La misi sotto uno dei bicchieri vuoti, vicino al ragazzo. Non ho avuto tempo di cambiare valuta durante il viaggio, spero non sia stato un disturbo per il giovane.
Uscimmo dalla porta d'ingresso. Aveva smesso di nevicare. Era tutto bianco intorno a noi, la neve caduta rifletteva la luce. Non sembrava di essere su un paesaggio terrestre. Il cielo aveva un colore grigiastro e l'aria pizzicava il naso. Ci avviammo verso la macchina senza fiatare, non era mio solito. Una volta arrivati ricominciammo a discutere per il posto davanti. Vinsi io, o forse Fred era troppo stanco di darmi contro.

Una strada fantasma. Alberi. Neve. Ancora alberi. Le mie mani erano fredde. Il mio respiro, gelido. I miei occhi erano fissi sulla strada. Il bosco iniziò a farsi meno fitto. Poi uno spazio vuoto. E lo vidi. Un semplice angolo in lontananza, in alto, sulla sinistra. Era l'angolo di un tetto. Del tetto. Non avevo la forza di staccare gli occhi da quella meraviglia. Più andavamo avanti, più cresceva quell'immagine maestosa. Passammo sopra un ponte, sotto di noi scorreva un torrente, non molto largo. E poi un fascio di luce, la visuale ampia. Lo vidi per intero. Un maestoso edificio, pallido. Ogni suo mattone volgeva alla più candida sfumatura di bianco. Era come se si innalzasse imponente fino a toccare il cielo. Ricordava una villa gotica. Il tetto era un'armatura di mille toni di verde; era scuro e frastagliato, che in contrasto con i colori chiari dei muri esterni della struttura la rendeva sfavillante al tocco dei raggi solari. Era circondata da un grande viale sterrato, delimitato da un prato che pareva finto da quanto era verde e luminoso. Le finestre erano enormi, si poteva intravedere qualche dettaglio dell'interno dal finestrino dell'auto. Quell'edificio risplendeva di luce propria. Il mondo aveva appena smesso di girare, e il mio cuore di battere. Non aspettai che Fred parcheggiasse, che già avevo un piede fuori dall'auto. Volevo tastare quel suolo. Sentire i miei polmoni pieni della sua aria.

< Monsieur! >

Sentì la macchina dietro di me che frenava di colpo. Allungai il braccio sinistro e chiusi la portiera. Rimasi lì, immobile, paralizzato. Restai a memorizzare ogni suo singolo dettaglio perché potesse imprimersi nei miei ricordi. Ma ero così impegnato a guardare in alto, che non appena abbassai lo sguardo mi resi conto della mia cecità. Sotto i miei piedi la neve era nera. 'Che strano' pensai. 'Che cos'è?'. Iniziai a guardarmi attorno, non so cosa stessi cercando. O chi. Non appena feci il primo passo sentì la BMW di Fred che si rimise in moto, sterzando un paio di volte. Le ruote avevano lasciato il segno sulla neve sporca. Facendoci più caso, notai che la 'neve nera' circondava la struttura, come se la proteggesse. 'Che strano' pensai. Non c'era nessuno ad aspettarmi. Forse sarei dovuto entrare. Ma volevo godermi ogni istante di quel posto. Quindi decisi di procrastinare ancora per qualche attimo l'entrata in scena. Feci una passeggiata intorno all'edificio, che ad ogni mio respiro sembrava erigersi sempre di più. Alcune finestre davano su un ampio terrazzo, sorretto da colonne rigide e stabili.

ESPERIMENTO MORTALEWhere stories live. Discover now