Il chiacchierone del Bovaro

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È sorprendente quanto la gente metta becco su tutto. Tutti si impicciano degli affari altrui. Forse lo fanno per curiosità, forse per noia, forse addirittura per proteggere se stessi. Invischiarsi nei drammi degli altri è sempre stato uno dei miei sport preferiti. Sapevo già, prima di prendere quell'aereo, che appena sceso la mia curiosità avrebbe fatto di me il leone nascosto tra le gazzelle.
Anche se non sapevo che cosa avrei trovato una volta arrivato a Yann. Le mie informazioni a riguardo erano molto limitate. Di sicuro ero a conoscenza del fatto che Yann non fosse la solita meta turistica; così iniziai ad immaginarmelo come un paesino monotono, silenzioso e colmo di piccole abitudini quotidiane, i cui estremi cambiamenti potevano essere la nuova gestione della bottega di scarpe o la nuova specialità della locanda. Ma da lì a breve capì che questa ideologia non vale per tutti, e viene considerata una sciocchezza da chi vive isolato e dimenticato. Descrizione che attribuirei ai villaggi di montagna; parlo di quelli che nessuno conosce, di cui nessuno ha mai sentito il nome, quelli che hanno segreti nascosti, celati sotto la loro routine. Segreti che, in realtà, sono rapidi eventi bloccati nel tempo di un momento, e che subito vengono buttati in un'oscura stanza all'interno delle menti delle persone; proprio per dimenticare, per superare il passato e il tempo che ha portato disgrazie. E per alcuni il silenzio è l'antidoto.
A mio parere anche stando in silenzio, è impossibile dimenticare.
Da ciò che vidi compresi che Yann era uno di quei paeselli che hanno come radice la serenità, che non vuole essere disturbata da alcun tipo di evento improvviso. Lì, infatti, il mutismo è più solido di qualsiasi metallo, se si tratta di episodi, per così dire, inaspettati e tragici.
Tuttavia si può considerare un paesino modesto, composto da non più di una ventina di casette in legno e qualche edificio in pietra. Da quanto mi è stato detto, il paese in sé doveva essere una meta sciistica, il villaggio turistico più vicino al monte Bianco mai costruito; ma fu abbandonato e lasciato a decomporsi non appena finirono i soldi per costruire le strutture che avrebbero dovuto portare in cima alla montagna. E come lo stesso progetto di costruzione fu buttato via, così fecero anche con Yann, che, trascurato insieme alla sua gente, iniziò a rammaricarsi nella propria solitudine.
Nonostante l'apparenza, di ordinario villaggio di montagna, a Yann si può notare come le persone, in realtà, facciano finta di vivere ed essere amiche tra di loro; come le chiacchiere serali siano prive di attenzione o cortesia verso il prossimo, e come gli sguardi siano pieni di inimicizia e rancore: tutto ciò a partire dalla panettiera di mezz'età, che la mattina presto si alza scontrosa e svogliata, ai taglialegna stanchi di spaccarsi la schiena per quattro gatti, fino a un giovane barista, il ragazzo amante delle chiacchiere, che è passato dall'inferno ed è riuscito a fare ritorno e tutt'ora non ne parla.
Tutti, anche ora, si limitano a fare il loro dovere, senza fiatare. Eppure si trova una pulce all'interno di questo sciame di silenzio. Una pulce a cui piacciono scandali e pettegolezzi, fagocitante di informazioni. Quando lo incontrai e iniziammo a parlare sentì un sussurro nella testa che mi diceva : "questo è un bel chiacchierone". E io adoro i chiacchieroni.
C'è, infatti, in tutto il paese, un solo luogo dove poter stare in compagnia la sera, prima di tornare ognuno nella propria abitazione. Oppure per ripararsi da un'eventuale tempesta come quella che aveva inglobato me e Fred.
Era un ostello, "L'Ospizio del Bovaro", riconoscibile a vista d'occhio dato che è l'unico edificio a tre piano di tutto il paese. L'ostello apparteneva a Giorgio, vecchio quasi quanto quella baracca di legno. La quale era composta da un bar con sala, fornita di caminetto, un paio di stanze (provviste dello stretto necessario per poterci dormire) al secondo piano, e all'ultimo piano l'appartamento del vecchio e di suo nipote, gestore e barista del posto.

Quando arrivammo erano all'incirca le otto di sera, e il mio stomaco soffriva, non avevo mangiato nulla da quando avevo lasciato l'aeroporto. Entrammo nella locanda, che quella sera era spoglia. Non c'era nessuno se non Marco che stava al bancone, e Giorgio, che gongolava sulla poltrona davanti al caminetto della sala. C'era un vecchio disco in sottofondo ma non riconobbi le note della canzone. Ricordo come l'ambiente fosse caldo e accogliente, tutto l'opposto del contesto all'esterno: freddo e ostile.
Fred non appena entrato si guardò un po' in torno, sbuffò e appese il suo enorme giaccone sull'attaccapanni. Poi fece un cenno con la testa brontolando qualcosa di incomprensibile al barista.

<Ben arrivato Moreau! Di sopra é tutto pronto!> disse il giovane barista. Poi si rivolse a me, che intanto seguivo i passi di Fred con lo stesso imbarazzo di una ragazzina che deve conoscere per la prima volta i genitori del suo fidanzato. <Lei deve essere il signor William Miller, dico bene? Direttamente dalla grande America. USA! Ho sentito tanto parlare di lei. Non vedevo l'ora di poterle servire una bella pinta. Sieda, sieda.> mi fece segno di sedermi al bancone, proprio davanti a lui. <In realtà no sono un tipo da birra.> tolsi la sciarpa e mi sedetti. <Allora un bel whisky! Ho un vero sesto senso per queste cose sa? Riconosco il drink solito di un una persona non appena la vedo bene in faccia.>
<E whisky sia.> Fred nel frattempo era sparito. Mi girai spaesato per un po' finché il giovane non mi disse che al piano di sopra aveva sistemato le stanze per la notte e che Fred aveva già preso le scale per andare a dormire.
<Mi chiamo Marco. E quello laggiù è mio zio Giorgio.>
<Invece il mio nome già lo conoscete da quanto ho capito. Mi chiedo chi vi abbia parlato di me. È la mia fama o la mia disgrazia che mi precede?> la buttai sul ridere anche se effettivamente mi incuriosiva molto la cosa.
<Qui tutti sanno tutto di tutti. È normale. Arriva la novità e tutti allungano le orecchie. Come quando in libreria arriva il nuovo libro dell'anno, o quando al centro commerciale è periodo di saldi. Tutti si fiondano ad accaparrarsi la versione migliore.>
<Capisco. Come mai non c'è nessuno ?> secondo la sua logica, io ero il nuovo pezzo di Gucci messo in saldo e il centro commerciale era la locanda, ma non tornava il fatto che nessuna donna con la rabbia e la schiuma alla bocca stava facendo a botte per me. Se ero davvero il pezzo forte dove stavano tutti?
< La tempesta. È difficile anche fare due passi fuori casa con questo tempaccio. > Marco mi ricordava uno di quei folletti irlandesi fuori misura. I suoi capelli erano di un biondo tendente al rossiccio e gli occhi erano castani. Non avrà avuto più di venticinque anni. Non so cosa centrassero i folletti irlandesi ma a me dava quell'impressione.
< Sa, signor Miller, qui vengono sempre. I soggetti intendo. >
< Ti riferisci ai pazienti del Venenata Mens? >
< Sì. Sono costretti a fermarsi per la notte a causa del viaggio. Diamine, mi ricordo ancora quando venni a sapere del ritorno del dottore. Ci sconvolse tutti quando arrivò la notizia. L-a-c-r-o-i-x è tornato. Ero solo un ragazzo, sarà successo tutto poco meno di cinque anni fa.>
< Che intendi dire? Non siete orgogliosi di avere uno dei più formidabili tra mentalisti, alienisti, psichiatri e psicologi ? >
< Non mi fraintenda, ha ragione, è vero, è proprio un orgoglio per Yann. Pensi che quando lo abbiamo scoperto rimanemmo tutti un pò sospesi. >
< Sospesi? >
< S-s-sorpresi? > quel piccolo errore di lessico mi fece ridere. Il suo inglese era perfetto, quasi che mi chiedevo se non fosse delle mie stesse parti.
< Parli molto bene inglese. Hai studiato all'estero ? >
< In realtà no, la mia ragazza è per metà americana. Appena la vidi ebbi un colpo di fulmine ma non avevo il coraggio di parlarle, fortuna che avevamo un'amica in comune che mi disse questa cosa. Quindi per fare colpo su di lei iniziai a studiare come un forsennato. In più grazie a questo Lacroix mi assunse per accogliere i suoi pazienti. Un pò come Moreau. Anche lui sa molto bene inglese, e non solo, conosce un'altra decina di lingue. Che invidia.>
< Bella storia. Anche mio marito era mezzo e mezzo. Da una parte era italiano, dall'altra americano. Provò ad insegnarmi qualche parola ma faccio schifo con le lingue. >

Marco prese il mio bicchiere ormai vuoto e si mise a pulirlo. In quel momento sarei potuto andare in camera a dormire, salutarlo e augurargli buona vita, ma quel posto mi riempiva di domande, non avrei chiuso occhio per la curiosità quella sera. Quindi decisi di restare. Eppure, nonostante la fagocitante curiosità che mi prese lo stomaco, non sapevo quale domanda porgli. Che cosa volevo sapere?
< Signor Miller, se non le crea disturbo, vorrei farle una domanda, posso? > non mi aspettavo un aggancio così facile.
< Certo. >
< ...qual è... il suo disturbo mentale, signore? >

ESPERIMENTO MORTALEWhere stories live. Discover now