Capitolo 11.

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ASHTON

Finalmente tutto era tornato alla normalità, solo il pensiero di quei giorni passati senza di lei mi faceva star male. Le notti insonni trascorse a immaginarla tra le mie braccia, i pomeriggi passati a chiedermi il motivo di tutte le chiamate e i messaggi senza risposta. Ora stavo di nuovo bene e stavolta volevo che fosse per sempre. Erano le 23 quando decisi di andare da lei e restare a coccolarla fino all'indomani; bussai alla sua porta e quando venne ad aprire l'abbracciai forte

"Hey piccola"

"Ciao Ash!"

"Wow cosa sta succedendo qui?" Dissi spostando lo sguardo dai suoi occhi alla stanza ricoperta di vestiti

"Beh, vedi... per quanto faccia male tra poco dovrò ripartire e ho pensato di cominciare a sistemare qualcosa nelle valigie"

Come non detto. Sembrava proprio che qualcuno ci godesse nel vedermi cadere a pezzi e che quel qualcuno mi stesse mettendo alla prova; e si stava mettendo proprio d’impegno a quanto pare. Cercai in tutti i modi di far finta di nulla, di non pensarci

“Perché hai deciso di iniziare adesso? È ancora venerdì sera, c’è ancora un giorno, no?”

“Sì, è vero ma preferisco spendere quel po’ di tempo che mi rimane insieme a te piuttosto che spenderlo qui a riempire questa stupida valigia”

“Beh, allora okay. Riempiamo questa valigia!”

Alle 2 eravamo ancora in piedi a piegare vestiti o meglio, lei li piegava e io li sistemavo nel bagaglio però avevamo quasi finito; avremmo sicuramente fatto prima se non avessi cominciato a fare sfilate di moda con i suoi vestiti, ma avevo bisogno di distrarmi, non potevo farle capire che ero distrutto all’idea di doverla lasciare andare. Andammo a letto 15 minuti più tardi, sembrava tutto così normale, eppure nel giro di 24 ore tutto sarebbe finito e sta volta non ci sarebbe stato un modo per sistemare tutto. Nessun messaggio di scuse, nessuna chiamata alle 5 del mattino avrebbe potuto fare in modo che quell’enorme distanza ,che ci avrebbe presto separato, si accorciasse. La sua vita era in Italia con la sua famiglia, le sue amiche, lontano da me; la mia era principalmente in giro per il mondo o qui a Sydney, comunque era lontana da lei. Ben presto cominciai a pensare a ciò che avrei dovuto dirle, a cosa avrei dovuto fare, a come mi sarei dovuto comportare, ma l’unica cosa che riuscii a realizzare fu che mi sarebbe mancata da morire ma non potevo farglielo pesare. Avrei tanto voluto poterle chiedere di restare ma a parte il fatto che sarebbe stato inutile, sarebbe stato un atto di egoismo allo stato puro senza contare che comunque non avrebbe cambiato nulla. La sentii addormentarsi tra le mie braccia, sembrava così serena. Chissà se anche lei stesse cercando di non farmi capire che stava male, che dietro la maschera della ragazza forte e sicura si nascondeva una ragazza in lacrime, triste e insicura. La tenni stretta per tutta la notte, la baciai, la coccolai per confortarla o meglio, per confortare me. Non riuscii a dormire se non per qualche ora a singhiozzo a causa dei continui incubi che finivano tutti senza di lei. Guardai l'ora, tra poco meno di un'ora si sarebbe svegliata, mi avrebbe salutato per poi dirmi che ci saremmo rivisti la sera stessa per chiudere definitivamente quella valigia e passare quell'ultima notte che ci restava insieme. Sciolsi delicatamente l'abbraccio, la guardai mentre mi allontanai silenziosamente facendo attenzione a non svegliarla; stavo scappando, ma non da lei, scappavo da quell'addio, scappavo dal dolore che avrebbe provocato. Messa in moto l'auto spensi il cellulare e iniziai a guidare senza una meta precisa; avevo bisogno di stare da solo e di pensare a qualcosa, a una soluzione magari. Tornai a casa per l'ora di pranzo, Luke era appena arrivato con una pila di pizze che gli altri aspettavano in soggiorno

"Hey amico! Come va? Ti fermi a pranzo?" Chiese

"No, vado su ad allenarmi un po' "

Nessuno rispose, sapevano che qualcosa non andava. Quando qualcosa mi turbava o semplicemente quando ero incazzato mi rintanavo nell'unica stanza in cui sentivo di poter restare solo con me stesso, quella stanza stracolma di attrezzi che nessuno usava mai. Infilai i guantoni e cominciai a sferrare pugni al sacco da boxe; ad ogni pugno la tristezza andava scemando ma la rabbia, quella aumentava a dismisura. Mi ritrovai molto presto a tempestare di calci e pugni quel dannato sacco

'Cause Now I'm Fine At All.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora