IX capitolo - essere fottuti

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Che cazzo è successo? Perché sono in un lettino di ospedale?
Ah... È vero.
Mi sono spaccato il braccio. Mi guardo in giro, la stanza è bianca, chi l'ha arredata è abbastanza privo di gusto... Ho l'udito annebbiato e la vista ovattata... O forse era il contrario?

"Voglio morire. Questo alla fine è il vero motivo per cui mi trovo qui. Faccio tanto il gradasso, sfoggio sorrisi di facciata mentre le luci del passato continuano a bruciarmi dentro. Ho ballato tra il lusso e l'illusione, Ettore, il nome che gridano le folle, ora ridotto a un'ombra sdraiata in questo letto d'ospedale, con il braccio spezzato e l'anima distrutta.

Chissà quanto ho cercato di cancellare il vuoto, immergendomi nell'alcol e in sostanze che promettevano fughe illusorie dalla realtà. Ma ora, disteso qui con un braccio rotto, vedo chiaramente il fallimento di quel gioco. Le luci della ribalta si sono trasformate in un incubo e il mio corpo è il prezzo da pagare per il lusso falso di cui mi sono circondato.

Ero convinto che il successo potesse riempire quel vuoto, ma invece ha amplificato la solitudine. Ogni festa, ogni scintillante evento, è stato solo un mezzo per distrarmi dalla verità amara: odio me stesso. E questa stanza d'ospedale è il mio purgatorio personale, dove il dolore fisico è solo un riflesso della mia rovina interiore.

Sono solo un fallimento incorniciato da titoli di giornale e flash di paparazzi. L'odio per me stesso è il prezzo dell'illusione di grandezza che ho costruito. Forse è giunto il momento di smetterla con la finzione, di affrontare la mia vulnerabilità. In questo letto, con il braccio spezzato e l'anima tormentata, forse troverò la forza di rinascere, di essere finalmente Ettore senza maschere, senza illusioni, solo me stesso."

Questo é il pensiero che mi gira nella testa, non riesco a smettere di pensarci.
Perché sono così emozionato di andare in un posto come la Russia? Perché mi sto sbattendo così tanto per gente che non conosco? Perché mi sono strafatto? Perché ho deciso di andarmene...?

Il dottore entra con una faccia seria, interrompendo il mio flusso di pensieri. "Signor Ettore giusto? Ho i risultati degli esami. Il suo braccio richiede un periodo di riposo di almeno tre mesi. Nessuna attività intensa, niente viaggi, niente imprese rischiose."

Alzo lo sguardo, gli occhi socchiusi per via del mal di testa. "Tre mesi? Impossibile. Ho un impegno in Russia, una... Cosa importante, e non posso permettermi di rimandarla."

Il dottore solleva un sopracciglio. "Signor Ettore, il suo braccio ha bisogno di tempo per guarire correttamente. Ignorare questa necessità potrebbe portare a complicazioni serie. La sua salute viene prima di ogni impegno lavorativo."

Mi irrigidisco. "Non capisce, dottore, ho dei piani, degli accordi importanti. Questo periodo è cruciale per la mia carriera."

Il dottore rimane impassibile. "La sua carriera non varrà nulla se mette a rischio la sua salute. Rimarrà a letto per almeno tre mesi, seguendo la terapia prescritta. Niente viaggi, niente stress per il braccio."

Sbuffo, cercando di far valere la mia volontà. "Ma io ho un'agenda fitta di impegni. Non posso permettermi di stare qui a non fare un CAZZO!"

Il dottore, senza scomporsi, risponde con fermezza. "Le consiglio di prendere sul serio la sua guarigione. Non sottovaluti l'importanza di seguire le indicazioni mediche. In caso contrario, rischia di compromettere irrimediabilmente la sua salute e la sua carriera."

Costretto a confrontarmi con la dura realtà, abbasso lo sguardo. "SI SI! Farò come CAZZO MI PARE!" La discussione si congela, lasciandomi a riflettere sulla fragilità della mia esistenza, ora limitata da un braccio rotto e tre mesi di immobilizzazione forzata.

Col cazzo che resto qui.

Mi alzo dal letto con rabbia, il braccio rotto immobilizzato dalla benda. La frustrazione cresce in me mentre infilo la giacca e mi avvio verso l'uscita dall'ospedale. Non accetterò di rimanere confinato qui, non quando il mondo esterno attende con i suoi impegni, le luci accecanti e l'illusione di un controllo che ora sembra sfuggirmi di mano.

Pagando il bollo d'uscita con uno sguardo di sfida al personale ospedaliero, attraverso il corridoio con passo deciso, ignorando gli sguardi preoccupati degli infermieri. Mi reco verso l'uscita con un'urgenza crescente, consapevole che ogni minuto in cui sono imprigionato qui è un minuto rubato alla mia carriera.

All'esterno, chiamo un taxi con impazienza, ignorando i consigli del dottore. Non posso permettermi di aspettare tre mesi. Il mondo non aspetta Ettore, ma Ettore non aspetterà il mondo. Salgo nel taxi con un'aura di sfida nel mio sguardo e do l'indirizzo di casa, ignorando le proteste del guidatore che cerca di mettermi in guardia sul rischio che sto correndo.

Durante il tragitto, la realtà della mia situazione inizia a insinuarsi nella mia mente. Il dolore nel braccio è più intenso di quanto avessi previsto, ma la mia testardaggine mi spinge a ignorarlo. Guardo fuori dal finestrino, scrutando il paesaggio che scorre veloce, riflettendo sulla mia decisione di sfidare le raccomandazioni mediche.

Arrivo a casa, salto dal taxi con un gesto brusco, pagando il guidatore con uno sguardo sprezzante. Entro in casa con la determinazione di affrontare il mondo, anche se questo significa ignorare i consigli della scienza e la fragilità del mio corpo.

La porta si chiude alle spalle, lasciandomi solo con i miei pensieri e il rimorso che già inizia a farsi strada. Sprofondo sulla poltrona, il braccio dolente a ricordarmi la mia imprudenza. Ma ancora, non posso permettermi di cedere. La carriera, la fama, l'illusione di grandezza che ho costruito attorno a me sono tutto ciò che mi rimane.

La mia casa, ora silenziosa, diventa l'arena in cui lotterò contro le conseguenze delle mie decisioni. Ettore, il nome che grida la folla, ora deve affrontare una sfida più grande di qualsiasi palcoscenico: la battaglia con se stesso e le scelte che lo hanno portato fino a questo momento.

Squilla il telefono.

La vita di EttoreWhere stories live. Discover now