Capitolo 47. Irene - Nico Pistolesi

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"Andy?" mi ero affrettata a dire con sei toni sopra la media, alzandomi rumorosamente dalla panca, per uscire dal pub, dimenticandomi il cappotto.

"Problemi con la linea, Shahrazad?"

"No, niente." Lo avevo liquidato, ignorando il nomignolo. Mi ero tastata nelle tasche dei jeans alla ricerca del mio astuccio per rollarmi una sigaretta, e avevo sgomitato tra la gente per occupare il tavolo ricavato da una botte e preparare tutto l'occorrente.

Avevi infilato il filtro tra le labbra.

"Carina la tua pubblicità. Cosa vendi? Un profumo?"

"Diddy No." Avevo bofonchiato, mentre univo le due estremità della cartina con il tabacco dentro.

"Che hai detto?" mi aveva urlato.

"Ho detto: ovviamente no." Avevo sputato il filtro a terra, cercandone uno nuovo: "A cosa ti riferisci?"

"Finalmente ti esibisci. In un bellissimo teatro, a quanto ho saputo."

"Già. L'hai vista?" mi ero guardata intorno, accertandomi che non fosse nei paraggi a spiarmi. Avevo sempre la sensazione di avere il suo sguardo tremendo addosso, mentre sentivo quella voce.

"Sì. Devo dire che il video a ripetizione è una genialata. Specialmente per quel velo che ti copre tutta la faccia."

"Andy, non ti facevo così sensibile."

"Voleva solo essere un complimento." Lo avevo sentito sorridere tra i denti, dall'altra parte. Chissà dove si trovava, avevo riflettuto se chiederglielo o no. Mi ero guardata di nuovo intorno, mentre accendevo la mia sigaretta, scrollandomi i brividi di freddo dalla pelle, fuori, con dieci gradi e solo la mia camicetta di seta addosso.

"Quindi..." avevo cominciato, indecisa se proseguire su quel terreno o no: "mi stai dicendo che verrai a goderti finalmente lo spettacolo? Cosa che ti è sempre stata impedita?"

"Sono a Dubai, principessa. Spiacente. Ma io non ho bisogno di vederti suonare dal vivo."

"Ah no?" lo avevo punzecchiato.

"Lo so come suoni. Ti ho già sentita mille volte."

"Che cosa stai dicendo?" mi ero bloccata, cercando invano tra le mura dei palazzi, tra le finestre, un volto oscuro e malizioso, attraversato da dei tratti da spaccone, con un paio di occhi ambrati, che si stavano prendendo gioco di me.

"Avevi le cuffie, gli occhi chiusi. Quando suoni muovi piano le labbra e raramente ti ho visto alzare la mano in alto tra una battuta e l'altra, come fanno i pianisti sbruffoni. Poi parli anche da sola."

"Mi hai spiata!"

"Lasciavi la porta aperta..."

"Quindi... dici che non sono una pianista sbruffona?"

"No, non l'ho detto." E aveva riso. Io avevo sbuffato: "Quel palco lo farai crollare con il tuo ego, principessa blu."

"Mi auguro proprio che tu abbia ragione."

"Te lo dico un po' in anticipo..." aveva cominciato. Io avevo trattenuto il fiato.

"Ok, spara."

"Passa un buon Natale."

"Anche tu, Andy." Avevo chiuso la chiamata. E buttato fuori il fiato.

Era il momento. Il silenzio del teatro rimbombava nel mio cervello. Dentro la mia scatola cranica si era formata come una patina rigida fatta di plastilina e colla. Stavo per scoppiare.

Emilia Koll - Il velo sul visoحيث تعيش القصص. اكتشف الآن