Capitolo 37. Gloria - The Lumineers

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Era una mattina invernale e gelida. Mi strinsi nel mio maglione scollato di cachemire, sistemandomelo continuamente sulla spalla, dove scivolava. Osservai il giardino di casa Koll avvolto nella brezza mattutina, una leggera scia di colori a colpirmi le pupille, quella delle luci natalizie sempre accese, per almeno un mese e mezzo, intorno al porticato e a tutta la casa. Io lo dicevo sempre a papà e Teresa, che dovevano andare a proporsi al programma Natale a suon di luci dell'emittente televisiva americana. 

Schiacciai la sigaretta sul posacenere a forma di cocco per scendere le scalette, e vivermi ancora quei pochi minuti di solitudine, nelle chiare luci di quell'alba rischiarente, prima che tutti i nostri parenti invadessero la casa per il nostro pranzo di Natale, ancora avviluppata in una soffice nube di sonnolenza e leggero stordimento. Non tutti sarebbero stati presenti, quell'anno. Non i nonni di Alex. E Nicla stava registrando per un film: prestava la voce a un'attrice americana, e avrebbe curato anche le parti cantate; sarebbe tornata, forse, ad anno nuovo.

Teresa si stava alzando proprio in quel momento, per trascinarsi lentamente in cucina e prepararsi un caffè, prima di partire a razzo con gli ultimi preparativi. Camminai lungo il labirinto di siepi, immaginando di trovarmi in quello che attraversa Alice per sfuggire alla Regina di Cuori. Passai le dita lungo i petali delle rose, sfiorandole appena e bagnandomi la pelle con l'umidità di cui erano intrise. Neanche il mio velo era immune all'umidità: il tessuto mi restava appiccicato al volto come una seconda pelle. Portai il viso in alto, ispirando l'aria pulita e ossigenando i polmoni, pensando ironicamente che per tutta la vita li avevo riempiti talmente tanto di schifezze che a poco sarebbe servito questo momento di purificazione. Sfiorai per caso il manubrio di una bici che era rimasta incastrata tra i rami degli arbusti. Forse apparteneva a Teresa, l'avrà usata per spostarsi più velocemente in quel grande giardino che avevano.

Con un piccolo sforzo in più la tirai fuori dall'incastro tra gli alberelli, liberandola.

"Ok." mi dissi, deglutendo, accarezzando il sellino sporco di terriccio e togliendo i piccoli ragni che avevano fatto le ragnatele tra i freni. Mi misi a cavalcioni sulla bici, spingendomi indietro per cercare l'appoggio del sellino. Restai ferma per un po' così, poggiando il piede sul pedale, pronta per darmi la spinta.

Ma non ero pronta.

Appena provai ad andare in avanti persi subito l'equilibrio, cominciai a far vibrare il manubrio in modo instabile, e rividi l'asfalto rovente, un attimo prima del buio. Scesi dalla bici velocemente, lasciandola a terra, come se non ci avessi nemmeno provato.

Era tempo di andare a casa.

Mi voltai verso il porticato, e il velo mi volò davanti al viso con una folata di vento. Continuai a camminare, roteando i polsi e muovendo le dita, seguendo la melodia dentro di me, quella che mi stava continuando a lusingare il cervello, e da cui facevo fatica a sfuggire. Mi ripromisi di scrivere tutto, non appena fosse finita quella giornata con la mia famiglia.

* * *

"Buon anno, anche a te, principessa." Mi accolse con la sua voce bassa e metallica, mentre gli camminavo davanti, indifferente. Inutile dire che avevo dedicato ad Andy giusto i saluti essenziali. Ciao, le chiavi. Sostanzialmente.

"Senti, fammi un favore." Gli dissi ringhiando. Mi bloccai, poggiando le mani sulla serratura un attimo prima che si avvicinasse con la sua ombra. La sua mano pronta a infilzarmi le dita con la chiave. La sollevò di scatto sopra la sua spalla, in un gesto seccato e con uno sbuffo: "noi non siamo amici."

"No, non lo siamo." Confermò, stringendo le labbra e fissandomi dall'alto con uno sguardo truce e ambrato.

"Tu fai il tuo lavoro, io sto facendo il mio." Mi portai le mani sui fianchi, spingendo indietro le spalle. Lui mi fissò dentro il velo, corrugando le sopracciglia e voltando appena la testa come se stesse per andarsene, ma si bloccò senza distogliere lo sguardo.

"Una cosa che non so ancora ce l'hai da dire?" mi disse infine, sprezzante.

"Non chiamarmi principessa. O Shaharazade. O in qualunque modo ti venga in mente per fare lo spiritoso. Non lo sei. E io non ho dieci anni." Alzò il mento, sovrastandomi ancora di più e facendo un ghigno divertito.

"Posso aprirti la porta?" domandò, ostentando una gentilezza forzata.

"Sì."

"Allora spostati."

Mi voltai di scatto facendo dei passi lontana da lui, dandogli le spalle e fissando i quadri appesi alle pareti del corridoio. Lo sentii far scattare la serratura, e aspettai che si allontanasse per entrare nello studio. Mi strinsi nelle spalle sentendo che il mio vecchio maglione era di nuovo scivolato dalla spalla: "Hai capito cosa ti ho detto prima?" gli chiesi, poco prima di girarmi. Lui era fermo e mi stava fissando la schiena. Non appena mi voltai i suoi occhi si erano lentamente spostati più su, per cercare i miei. Feci per ignorare quello sguardo stupito, ma non mi trattenni:

"Cosa stai guardando?" sibilai, sollevandomi la spalla del maglione. Andy aveva abbassato gli occhi, serissimo, poi li aveva rialzati su di me, dal giallo acceso di prima si erano fatti più scuri, scrutandomi più a fondo.

"Ti ho fatto una domanda." Dissi lentamente, facendo un passo verso di lui. Non sopportavo quel modo che aveva di trattare così le persone, senza ascoltare, ma facendo sempre come gli pareva.

"Che hai fatto alla spalla?" domandò, infine, diretto.

"Un brutto incidente, qualche anno fa." mi strinsi le braccia contro di me, proteggendomi dal brivido gelido che mi aveva attraversato in quel momento.

"È da allora che ti metti la maschera? È questo il motivo per cui non ti vedo mai la faccia?"

"Non è che tu non mi vedi la faccia. Nessuno vede la mia faccia. Cos'è? Pensavi che lo facessi per divertimento? Serio."

"No." Tirò su con il naso velocemente, riordinando i suoi pensieri e guardandosi in giro: "Non ho mai pensato che tu fossi una che si diverte, sinceramente."

Stavo per ribattere, ma lui mi anticipò mentre aprivo la bocca, e fece un passo verso di me, avvicinandosi a pochi centimetri dal mio viso, facendomi sobbalzare: "Non so cosa ti sia successo. Però forse, in questo momento, la tua faccia è l'ultimo dei problemi che hai." Fissò i suoi occhi nei miei, senza distogliere lo sguardo. Sentii le viscere avvolgersi tra loro e un tepore sprigionarsi timido dalla pancia per percorrermi tutta la schiena; trattenni il respiro, e trattenni il suo odore selvaggio nelle narici, mentre appoggiava un braccio alla parete accanto al mio corpo, rinchiudendomi nella sua ombra. Osservai con la coda dell'occhio l'avambraccio scoperto, da cui si intravedevano le mura di una casa con tanto di finestre, tatuate sulla pelle. Con la mano libera sollevò il mazzo di chiavi e lo lanciò in aria, prima di voltarsi di scatto per riprenderlo, e spalancare la porta. La indicò con un cenno del mento verso di me:

"È tutta tua." Disse soltanto: "Io ho da fare.". E mi lasciò sola, lanciandomi il mazzo di chiavi, che presi al volo con un riflesso incondizionato, mentre continuavo a guardarlo; poi si avviò a grandi passi verso la fine del corridoio.

Respirai a fondo con gli occhi chiusi e la bocca spalancata, davanti alla stanza che si apriva, pronta ad accogliermi, rallentando di nuovo i miei battiti, poi entrai, chiudendomi la porta alle spalle.

Emilia Koll - Il velo sul visoTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon