Capitolo 28. Welcome Home, Son - Radical Face

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Bloccata.

Su WhatsApp. Su Facebook. E Instagram. Bloccato qualsiasi contenuto visibile su tutti i social. Me ne accorsi subito quando, la sera in cui avevo lasciato Dino, avevo aperto i social per cercare le nostre ultime conversazioni. Per rileggere i nostri dialoghi, per rivivere quei pochi momenti vissuti insieme, attraverso dei portali. Tutto il resto, la parte bella, quella che avevamo condiviso fra quelle quattro mura di casa mia, era impressa solo nella mia mente.

Dino mi aveva cancellato dalla sua vita non appena aveva messo piede fuori da lì. Era davvero sparito, come gli avevo ordinato. Chi poteva biasimarlo. Chi poteva indovinare quello che avesse passato. Ciò a cui aveva rinunciato, per stare con me. Sperai tanto di arrivare al punto in cui, dopo molto tempo, un tempo inquantificabile, avrebbe capito ciò che era successo fra noi. Io non ero in grado di farlo, adesso. Non ero in grado di spiegarglielo. Sperai anche che, come una luce in fondo al tunnel, riuscisse a riprendere la sua strada, quella per cui aveva tanto faticato.

Ci riuscì. Diventò qualcuno. Ma non quel qualcuno che la maggior parte dei suoi coetanei sogna di diventare. Non era la popolarità, le visualizzazioni a tutti i costi, la sua ambizione. Era l'opportunità di vivere per ciò che amava, vivere per la musica, vivere di musica, dare voce a ciò che sentiva dentro, al suo amore, al suo dolore, come faceva Nicla a suo tempo.

Molti anni dopo, ascoltando i suoi pezzi, immaginai che tanto di quel dolore fosse stato causato dalla nostra rottura. Ne scorgevo delle tracce, tra le varie inclinazioni del suo timbro su alcune frasi. Da quei brani, da quella voce che, anno dopo anno, si faceva più scura, più tormentata, più densa di significato, più matura.

E nel frattempo, come una nube che si scarica dopo essere stata troppo a lungo gonfia e nera nel cielo, arrivò il momento per me di toccare tutto il fondo ed esplodere.

Di raschiarlo, quel fondo, fino a sentire le unghie spezzarsi.

Teresa quella sera era corsa sul porticato, trovandomi lì, rannicchiata sul lettino, mentre papà rientrava dopo aver cenato con Alex, Melanie e il piccolo Giò. Lei credeva che mi fossi trascinata in camera, dopo averci sentito litigare. Pensava di lasciarmi stare ma poi aveva bussato, trovando la stanza vuota.

"Lascia che ti aiuti." Mi aveva sussurrato, dolcemente. Lo fece, mi sostenne, come aveva sempre fatto dopo che la vita mi aveva fatto a pezzi.

Questa volta, molti pezzi erano veramente piccoli e difficili da ritrovare, si erano insediati tra le assi di legno del porticato, come alcune schegge laccate di rosso che ne marchiavano una parte, davanti a uno dei lettini.

Mi aveva sollevato, tenendomi per le spalle, scossa ancora da brividi, sotto choc. Papà mi aveva portato un trapuntino di cotone per ripararmi dall'umidità serale, e mi aveva tenuto abbracciata a sé lasciando che mi accomodassi su di lui sul divano, come quando ero piccola e mi faceva male un dente. Mi addormentai tra le sue braccia. Tornai bambina, una bambina di 33 anni.

"Quindi ti ha bloccato eh? Ma nemmeno i tag?" continuava a chiedere Emma, al telefono. Mi portai la sciarpa azzurra sulla faccia, sdraiata sul letto, una di quelle notti insonni successive.

"Niente di niente, Emma. Sembra che Dino non sia mai esistito."

"Aspetta un secondo..." la sentii spippolare sul suo telefono, poi esclamare: "Cazzo, Emi. Ha bloccato anche me! Non lo riesco a trovare su nessun social. Incredibile, che stronzo" la stronza ero io, veramente. La sua era solo una reazione. Ben comprensibile.

"Ma non era per spiarlo."

"Noooo, certo che no."

"Scema." Mi strusciai il grosso cerotto sull'orecchio sinistro, o ciò che restava di esso. Cominciavo a sentire il destro in fiamme, e non poter cambiare lato per ascoltare la telefonata per me era diventato piuttosto scomodo. La misi in vivavoce: "volevo rileggere gli ultimi messaggi."

Emilia Koll - Il velo sul visoWhere stories live. Discover now