Capitolo 26: La spia

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«Affermativo. Ci prepariamo allo scontro.» pronunciò determinato alla radio. «Tienimi aggiornato sul numero di nemici.»

«Copy. Sono a meno di quindici metri. Chiudo.»

A collegamento disattivato, Dave rientrò in soggiorno, mentre il Team Bravo irrigidì le posture da soldato e cominciò a muoversi per il piano di sotto. Dopotutto avevano ascoltato l'intera conversazione e avevano intuito dalle risposte del loro superiore che l'alternativa era una ed una sola.

«Spegniamo tutte le luci. Il sole sta tramontando, non devono vedere neanche una sagoma muoversi al di là delle veneziane. Cerchiamo di rimanere quanto più nell'ombra. Bravo Sei, porta la donna e il ragazzo al doppio servizio in fondo al corridoio. – ordinò; Liam annuì e si apprestò a trascinare con cautela Cloe verso il bagno, aiutandola a reggersi in piedi, poiché ancora sotto effetto del calmante; mugugnava frasi prive di senso, non rendendosi conto di quanto frenetica fosse diventata l'atmosfera. – Bravo Cinque e Bravo Due appostatevi rispettivamente in cucina e in soggiorno. – Gavin e Gregory si accovacciarono accanto alle finestre chiuse, usando i piccoli spioncini delle serrande per orientarsi con l'esterno. – Bravo Tre.» lo chiamò.

Sully, fucile in mano e sguardo serioso, si avvicinò. «Sì, boss?»

«Ricordi la casa sull'albero che avevamo visto dal sentiero principale?»

«Sì, me la ricordo. Cosa dovrei-Oh.» si interruppe da solo, non trattenendo un ghigno. «Senza un fucile di precisione?» inarcò un sopracciglio.

Dave gli diede una spallata. «Come se non ci riuscissi. Vai!»

«Roger, Capitano. È tempo di perforare qualche bel cranio!»

Imboccò il corridoio nello stesso momento in cui Liam stava trasportando il corpo privo di sensi di Charles in bagno, la quale tempia era decorata da un piccolo ematoma non troppo evidente, quanto bastava per mettere al tappeto un ostaggio insubordinato e chiacchierone. Di essere piombato in mezzo ad una confusione immane, Sully non poteva negarlo. Povero il bambino che con la sua ingenuità non aveva capito niente e se ne stava beato al piano di sopra con Noè a farsi gli affari suoi. Era la famiglia più assurda e malsana che avesse mai potuto incontrare; credeva che la sua rasentasse i limiti dell'insensato, ma l'idea che esistessero individui combinati peggio lo rincuorava.

«Piccoli socialisti crescono e conoscono il mondo del mercato nero. Che bello.» disse, dando una pacca sulla guancia del ragazzo, la quale testa penzolò senza dare alcun segno di ripresa. Poi lo sorpassò. «Ehi, buona fortuna.» si riferì a Liam.

«Anche a te, Occhio di lince.» ribatté.

Sully si voltò, camminando all'indietro verso la porta sul retro, e con il fucile d'assalto simulò un colpo, chiudendo l'occhio sinistro per tenere aperto il famoso occhio preciso, il quale non mancava mai un bersaglio; con la bocca soffiò per far intendere che avesse sparato, ma poi si voltò per uscire nel giardino. Non gli era mai capitato di usare un fucile d'assalto come sostituto del fucile di precisione; quando aveva fatto le selezioni al poligono di tiro durante l'addestramento, il suo istruttore aveva notato sin da subito che fosse predisposto a diventare un cecchino; starsene in disparte ad osservare la zona per dare supporto dall'alto era ciò che gli riusciva meglio. Non era inesperto nello scontro ravvicinato, ma come erano in grado di analizzare ed individuare i suoi occhi, nessuno l'aveva contestato; il suo fucile d'assalto l'aveva sempre usato per sparare pochi colpi, finché il suo istruttore, all'epoca un soldato scelto in congedo per via di un brutto infortunio che lo aveva messo fuori gioco dalle operazioni per qualche mese, gli aveva consigliato di provare un fucile da cecchino, per la prima volta, davanti a lui al poligono di tiro. Sully aveva definito quella scelta un po' avventata; se avesse fatto cilecca sarebbe stato un duro colpo per lui, ed una brutta figura di merda che avrebbe fatto ricredere al suo superiore, Alan Mitchell, di avergli dato tanta di quella importanza da subire delle occhiatacce da parte dei suoi compagni. Aveva impugnato bene il fucile, poiché insegnare come giostrarsi con tutti i tipi di arma, dalla pistola ai mitragliatori più pesanti, era l'obiettivo principale di ogni corso militare. Sully non aveva mai ipotizzato di essere portato per essere un cecchino; il suo atteggiamento in missione non aveva dato l'impressione di essere un ragazzo da mischia, ma sentirselo dire anche dal soldato Mitchell era stata una sorpresa. Al di là dell'ironia e del gioco, era come se le sue energie si incanalassero nell'occhio destro e nell'indice, annullandogli la parola per focalizzare il cervello sul mirino e su ciò che si trovasse all'interno di esso.
Era stato così, il suo centro al poligono.
Postura perfetta, fiato regolare e trattenuto nell'intervallo preciso, colpo a segno senza subire il contraccolpo del rinculo sulla spalla.
Al primo tentativo aveva fatto fischiare gli istruttori e Mitchell.
Da quel momento in poi lo avevano trasferito nella squadra di aspiranti cecchini e si era rivelato il più abile, il più reattivo e il più freddo. Non si sbilanciava davanti a nulla, né sotto la pioggia né in mezzo ad una bufera di neve, ad una tempesta di sabbia o al panico prorompente di una missione; si puntellava, seduto o disteso, sul punto che gli veniva affidato, e non si muoveva per nessuna ragione. Ogni bersaglio veniva colpito ancora prima che gli altri cecchini potessero individuarlo ed eliminarlo. Quella palpebra non veniva sbattuta; tutti si erano chiesti come ne fosse capace, soprattutto come uno scanzonato, beffardo e scapestrato ragazzo, dalla serietà piuttosto discutibile, potesse cambiare radicalmente da un momento all'altro. Il lavoro di un cecchino non aveva nulla a che vedere con la vita sociale e privata, Sully lo ripeteva spesso; in quel frangente il resto contava poco, quando lo scopo era coprire la squadra, eliminare il bersaglio e tornare a casa.
Giunse in giardino e si diresse alla casa sull'albero.
Si appostò in cima ad essa in tempo; i furgoni parcheggiarono nel momento stesso in cui si puntellò all'interno della dimora in legno, appoggiando il fucile nella finestrella che dava al cortile di fronte all'entrata, utile per vedere quanti uomini nemici fossero scesi dalle vetture.
Guardami, papà; tuo figlio sta facendo da vedetta su una casa sull'albero. – pensò ironicamente, mentre smontava il mirino olografico per sostituirlo a quello telescopico che portava sempre con sé. Regolò lo zoom, cosicché avesse una vista migliore e cambiò la levetta di fuoco da raffica a colpo singolo. – Sempre meglio che stare dietro ad una scrivania a firmare scartoffie per delle moto.

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