capitolo 34

261 11 0
                                    

Evelyn's point of view

Aprii gli occhi a fatica a causa del rumore della sveglia proveniente dal mio telefono, quel giorno sarei tornata a lavorare all'ospedale, il luogo che mi aveva vista crescere dal punto di vista professionale.

Mi sembrava di essere tornata al mio primo giorno di tirocinio, avevo il cuore che batteva a mille. Non che fosse possibile ovviamente.

Quando mi svegliai completamente notai un foglio presente sul tavolo della cucina e non appena lo lessi il sorriso che si creò sul mio viso fu indescrivibile.

Decisi di farmi una doccia fresca, avevo sempre amato passare minuti sotto l'acqua calda ma di prima mattina non avevo bisogno di rilassarmi. Altrimenti mi sarei rimessa a dormire immediatamente.

Le parole di Taylor Swift risuonavano nel bagno e io ero sempre più convinta che la mia vita stesse prendendo una piega positiva dopo molto tempo.

Presi al volo un caffè prima di uscire dall'appartamento di Spencer, non sapevo nemmeno se dopo il lavoro mi sarei dovuta recare nuovamente lì o a casa dei miei genitori, avviandomi verso la macchina.

Il traffico alle 8 del mattino era una cosa che non mi era per niente mancata, anzi lo avevo sempre odiato. Soprattutto considerando che io odiassi fare tardi.

Non appena entrai in ospedale trovai tutti i miei colleghi nella hall, si erano riuniti per darmi il benvenuto. Lo apprezzai veramente tanto.

Parlai una decina di minuti con tutti coloro con cui avevo già lavorato gli anni precedenti ed ebbi il piacere di parlare anche con quelli che sarebbero stati i miei futuri colleghi. In particolare con Melissa che mi portò una brioche per fare colazione.

Presa dall'ansia mi ero dimenticata di mangiare quella mattina perciò gliene fui grata e lei lo capì dal mio stomaco che iniziò a brontolare non appena presi in mano il sacchetto,stava reclamando cibo in un modo assurdo.

Ero specializzata in cardiochirurgia e proprio per questo motivo i miei superiori avevano deciso di non farmi operare immediatamente, era da anni che non entravo in sala operatoria e se avessi commesso un piccolo errore una persona sarebbe morta.

Dopo aver superato vari esami pratici mi avrebbero permesso di intervenire chirurgicamente su un vero cuore, ma per quel giorno mi limitai a fare visite di controllo in neonatologia e in oncologia.

Andai prima in quest'ultimo reparto, in modo che i bambini potessero poi portarmi di buon umore dopo essere stata in un settore così duro da affrontare a livello psicologico. Non immaginai pensare a quanto potesse essere difficile per i pazienti e per i famigliari convivere con la consapevolezza di dover tenere testa ad una malattia così tosta. Ci voleva davvero tanta forza, oltre che fisica, mentale.

La cosa che mi fece più male? ritrovare alcuni pazienti che avevo visitato due anni prima, non che non fossi felice di rivederli ma semplicemente perché vederli nuovamente in quei letti stava a significare che non erano per niente migliorati.Anzi spesso li trovai solo peggiorati.

Dover comunicare parametri negativi era sempre stato, a mio parere, uno dei lavori più duri per un medico, bisognava saper controllare la propria emotività per risultare professionali. Questa particolare abilità non veniva insegnata a medicina e poteva essere appresa solo con l'esperienza e per questo spesso poteva capitare di risultare impassibili difronte ad un tale dolore.

Il reparto di neonatologia era sempre stato il mio preferito. In un mondo talmente pieno di sofferenza loro erano gli esseri più puri e innocenti, in un mondo pieno di dolore e di malattia loro erano simbolo di una nuova vita.

Non a caso ogni volta che un intervento andava male io mi rifugiavo in quel reparto, mi soffermavo ad osservare i bambini che dormivano con tranquillità.

Era un modo per conservare il mio lato ottimista e solare.

Un bambino iniziò a piangere, mi recai verso di lui prendendolo in braccio per calmarlo. Eppure sembrava non avere intenzione di smettere.

Dopo vari tentativi riuscii a calmarlo dandogli affetto. I bambini spesso sentono il bisogno di contatto umano e se non lo ottengono possono davvero rimanere traumatizzati fin da piccoli.

Lo cullai per qualche minuto domandandomi se un giorno sarei riuscita pure io ad avere un bambino. Se sarei riuscita a diventare madre.

Un tocco lieve alla spalla mi fece girare, sobbalzai per lo spavento riprendendomi immediatamente quando notai il ragazzo davanti a me.

Spencer era lì. Era venuto a trovarmi per pranzare insieme, chissà se sarebbe diventata un'abitudine quella di passare del tempo insieme.

<<cosa ci fai qua?non avevano bisogno di te?>> posai il bambino sulla culla e mi fiondai fra le sue braccia accoglienti e calde <<non che mi dispiaccia averti qui eh>> precisai immediatamente in modo che non mi fraintendesse.

<<sopravviveranno per qualche ora senza di me>> lui alzò le spalle ricambiando l'abbraccio in modo insicuro, non era mai stato un ragazzo affettuoso e andava bene così. Con il tempo sarebbe riuscito a sciogliersi, o almeno così mi ripetevo per non stare male difronte al suo essere freddo <<tra trenta secondi sei in pausa, pranziamo insieme?>>

Gli avevo detto di sfuggita il giorno prima i miei orari e lui se li era ricordati. Era davvero un ragazzo speciale. Lui non dimostrava tramite affetto fisico di tenerci, ma lo faceva con i piccoli gesti.

Lo presi per mano conducendolo verso l'uscita dell'ospedale. Sarebbe stato bello passare ogni pausa in quel modo, eppure sapevo che poteva accadere solo quando Spencer non era sul campo. Perciò decisi di godermi il momento.

nightmare |criminal minds|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora