Capitolo 10- "JUST FRIEND"

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POV JK:

Appena terminata la chiamata, una sensazione di vuoto e panico presto s'impossessa di me. Sono sempre stato consapevole e certo della forte attrazione che il mio fratellastro prova per il biondino ma dopo questa telefonata un'altra consapevolezza ha preso possesso in me: che tra i due sia successo qualcosa? Che in questi anni si siano incontrati e abbiano sviluppato una relazione che è finita male? In questo preciso istante non comprendo le sensazioni che mi attanagliano, mi lacerano e come sempre, come sono solito fare visto e considerando che sono un fottuto codardo, smetto di pensare. Cancello ogni dubbio, ogni tormento, ogni macchinazione malata che il mio cervello in quel momento stava elaborando.

Intento a rimettere il cappuccio della mia felpa nera per tornare a mimetizzarmi con le centinaia di persone che girovagavano per le strade di Seoul a quell'ora della sera, noto un elemento in contrasto con ciò che mi circonda: nei pressi del portone dell'edificio di Jimin, si aggira un uomo, incappucciato e mascherato (certo so cosa state pensando, anche io sono vestito così ma non ho cattive intenzioni se non quelle di proteggere quel piccoletto ignaro di ciò che gli succede intorno).
Nonostante la lontananza, noto che tra le mani, nascoste nelle tasche, tiene ben saldo qualcosa, cosa cazzo è? E perché un brutto presentimento si fa sempre più spazio in me facendomi dimenticare anche del mio nome e cognome? Senza nemmeno pensarci un secondo, le mie gambe si attivano da sole e mi ritrovo a correre verso l'uomo che ha appena citofonato proprio in direzione di quel fottutissimo nome: "PARK JIMIN".

Adesso so che non è più una sensazione, so che in questo momento Jimin è in pericolo e rischia Dio solo sa cosa e mai come adesso mi sembra che le mie gambe non siano veloci abbastanza da evitare un disastro, la fine.

Sì la mia fine, perché adesso mi rendo conto di quanto quel biondino impertinente abbia perforato, trafitto e logorato la mia pelle per immergercisi dentro.

Ogni cosa porta il suo nome, ogni raggio di sole che attraversa la mia finestra al mattino, sembra volermi rammentare della bellezza del loro colore solo perché somigliano a quelli che sono i soffici e biondi capelli del mio ex-migliore amico.

Sento che la sua stessa essenza sia dentro me, che abbia preso con forza un posto fisso e intangibile del mio cuore ormai in subbuglio, ferito, rotto .

I passi diventano più frenetici, più veloci quando dalle scale vedo scendere il biondino con una t-shirt bianca più grande di almeno due taglie e un pantalone di tuta nero che gli vanno fin troppo aderenti, lasciando intravedere quelli che sono i muscoli delle sue gambe perfette, mascoline e eleganti allo stesso momento.
Nell'attimo in cui Jimin, palesemente preoccupato, apre il portone per vedere chi lo sta cercando a quell'ora della sera, l'uomo incappucciato si fionda su di lui ma non fa in tempo a fare nulla perché io con un forte strattone lo tolgo da sopra il corpo del piccolo biondino per scaraventarlo contro un muro, il più lontano possibile urlandogli:<chiuditi dentro cazzo!> ma lui, da solito cocciuto ostinato mi urla di rimando:<non ti lascio qui da solo, idiota!>.

Giuro che se ne usciamo vivi gli faccio rimpiangere di avermi chiamato "idiota".

Prima di buttarmi a capofitto su quello che era l'uomo che ha tentato di far del male al mio piccolo Jiminie, provo a guardarlo in faccia per cercare di scorgere qualche particolare che potesse richiamare il ricordo di qualcuno conosciuto, ma non faccio in tempo a soffermarmi sui particolari che questo codardo, preso dal panico, scappa. Il mio istinto mi dice di rincorrerlo e cercare di riacciuffarlo ma il mio corpo non segue mai ciò che la mia mente impone e per l'ennesima volta, in quell'infinta giornata, mi ritrovo a gettarmi addosso a Jimin.
Lo accolgo tra le mie braccia, lo cullo e gli accarezzo i capelli sussurrando parole di conforto.

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