Scappare da una trappola

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La ragazza allora augurò la buonanotte alle novizie sue coetanee, si ritirò nella propria cella e s'inginocchiò davanti alla croce appesa al muro, stringendo un rosario nelle candide mani.
-Signore, proteggi me e le novizie, proteggi anche la Madre Badessa, proteggi mio fratello, i miei genitori e la mia magione, in cui presto tornerò.
Rendo grazie a te, Signore Dio nostro, che sei così misericordioso
Amen.
Così Gabrielle aprì la finestrella e guardò giù: era una grande altezza, quella che la separava dal pavimento di pietra del chiostro.
Non aveva altra scelta, doveva saltare.
Si prese coraggio, quasi tutto quello che aveva, e si spinse fuori dalla finestra, non prima d'essersi spogliata del velo e della tonaca, rimanendo solo con una misera vestaglia addosso, che le copriva il piccolo seno e i fianchi ormai larghi.
I suoi capelli erano cresciuti molto, ma erano sempre nascosti sotto il velo.
Sentiva l'aria fredda sul viso pallido, segno che il buio non sarebbe durato ancora a lungo...
Prese un bel respiro e si buttò giù.
Aspettava l'impatto con il terreno e aspettava di sfracellarsi, ma ciò non accadde. Un alito di vento, fortissimo, la prese con sè e la portò a terra sana e salva, oltre il muro di cinta del convento.
Gabrielle corse più veloce che poteva, svuotandosi i polmoni e urlando di gioia. Non si curava minimamente del fatto che qualcuno potesse sentirla e probabilmente una delle ragazze l'aveva anche vista scappare. Ma non aveva dato l'allarme, doveva solo essersi rallegrata per la fortuna toccata alla compagna.
Gabrielle arrivò alla magione attraverso il bosco, il bosco che lei aveva sempre avuto paura d'attraversare, il bosco dove si celavano i più oscuri peccati dell'uomo.
Era passato tanto tempo da quando le sue candide mani avevano avuto il piacere di stringere il metallo del cancello d'entrata che si stagliava enorme, in tutta la sua altezza, a proteggere la casa e i suoi abitanti.
Sempre che ce ne fossero ancora: la casa sembrava in decadimento già da fuori ed il giardino non era stato curato.
Gabrielle dovette farsi strada tra le erbacce e i rovi per entrare in casa: si chiese se avesse davvero avuto una famiglia o se si fosse immaginata tutto. Ma come? Lei si ricordava tutte le percosse e tutti gli insulti che il fratello le aveva rivolto, tanto che entrambi le facevano ancora male.
Si fece forza e guardò in casa: non vi era anima viva.
Mobili e soprammobili giacevano rovesciati o rotti sul pavimento a scacchi tutto sporco d'intonaco e pezzi di soffitto, oltre a ragnatele e qualcosa che sembrava sangue.
Prima che potesse provare a forzare la porta, sentì uno scampanellìo proveniente da una bicicletta dietro di lei. Si voltò spaventata, ma si accorse che era solo un postino.
Era un uomo strano, simile a lei, con i capelli neri come i suoi, con dei lunghi baffi a manubrio e occhi tutt'altro che innocenti.
-Siete voi Gabrielle Smith?
-Sì, sono io.
-Ho una lettera per voi, miss.
-Una lettera? Per me?
-Sono venuto a recapitargliela di persona, miss.
-Chi vi ha commissionato?
-Me stesso, miss.
Gabrielle non ci credeva, non conosceva quell'uomo e non sapeva cos'avesse a che fare con lei o con la sua famiglia.
Comunque, prese la busta tra le mani pallide e ringraziò l'uomo.

Figlia di un IncuboWhere stories live. Discover now