XXIII. Distanza

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Izar

Izar

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Forse doveva essere sincero prima con se stesso, altrimenti avrebbe rischiato di mandare tutto all'aria con Zalia

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Forse doveva essere sincero prima con se stesso, altrimenti avrebbe rischiato di mandare tutto all'aria con Zalia.
Eppure, mentre andavano in università, non poteva far a meno di pensare al perché non avesse coinvolto lui la sera precedente.
Avrebbero potuto andare insieme a casa sua, ci sarebbe sempre stato per lei, gliel'aveva promesso. Poteva essere stata una casualità, Al si era trovato al momento giusto nel posto giusto, eppure lui era stato cacciato in malo modo, perché voleva restare sola.
Aveva detto esplicitamente così.

In macchina se ne stavano tutti in silenzio, forse ancora un po' turbati dall'ultima sfuriata di Robert. Non l'aveva mai visto così arrabbiato e stressato. Sembrava sull'orlo di una crisi, pronto a perdere l'ultimo briciolo di raziocinio rimastogli.
Non aveva idea se qualcuno l'avesse notato, ma Izar aveva visto una vena del collo annerirsi per un istante. Robert aveva poi allentato la cravatta e aveva dato a tutti loro le spalle. Era stato un piccolo istante. Credeva di aver avuto una specie di allucinazione.

Una volta arrivati all'università, scese dall'auto di Altair insieme a Zalia. Si avviarono verso le scale dell'ingresso principale, mentre l'altro andava a parcheggiare. Si affiancò a lei, sistemandosi la borsa a tracolla sulla spalla e sospirò piano. «Ehm ti dispiace se parliamo un momento?»

Zalia corrugò la fronte confusa e annuì poi, con un gesto deciso del capo. Si inoltrarono tra i corridoi di Harvard. Tanti studenti erano nella caffetteria a chiacchierare tra loro. Il profumo di brioche calde e caffè riempiva l'aria e l'atmosfera. Lo rilassava. Così come trovava piacevole osservare ogni studente, seduto al proprio tavolo. Era affascinante osservare le diverse reazioni. C'era qualche disperato che cercava di studiare tutto il possibile nel poco tempo a disposizione. Chi, invece, chiacchierava coi propri amici e chi si guardava attorno distrattamente, alla ricerca di una via di fuga.
A volte credeva che quel posto fosse un piccolo teatro di umanità.

La seguì comunque attraverso la caffetteria. Attraversarono tutta la sala, fino ad uscire dal lato opposto, verso i giardini. Adorava come ogni minimo dettaglio fosse curato. Durante le giornate primaverili, gli studenti trascorrevano la maggior parte del tempo sull'enorme prato, dove al centro vi era una fontana. Aveva sempre creduto che Harvard sembrasse all'apparenza un piccolo angolo di paradiso, dove gli studenti si sentivano coccolati anche prima delle lezioni o dello svolgimento di qualche esame.
Essendo, ormai, novembre, invece, lì non c'era quasi nessuno.
L'aria era fredda, pizzicava la pelle e si strinse un po' nel proprio cappotto.

𝐅𝐚𝐦𝐢𝐥𝐲 𝐜𝐨𝐦𝐞𝐬 𝐟𝐢𝐫𝐬𝐭Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora