CAPITOLO 8

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"Ancora oggi, a distanza di anni, sento l'anima alcune volte chiedermi il permesso di esistere"

TAYLOR

Avevo dodici anni quando la mamma se n'era andata via di casa e adesso, a distanza di ben quattordici anni, mi sono resa conto quanto poco contasse quella donna nella mia vita.

Non era una di quelle mamme pronte a tenere una videocamera tra le mani in attesa che la propria figlia dicesse la battuta che le spettava durante una recita scolastica, non aveva mai presenziato ad una mia partita di basket e di certo non si accorgeva mai quando portavo un premio o una medaglia a casa. Quegli oggetti, all'apparenza insignificanti, avrebbero avuto più valore per me se lei li avessi notati.

Nonostante questo però, prima che se ne andasse, non avevo mai sofferto di tutte queste mancanze, quasi non me ne ero accorta in quanto mio padre riusciva a compensare in qualche modo. Mi allenava prima di ogni partita, mi rifilava sempre qualche discorso di incoraggiamento che mi induceva a non mollare mai e mi aveva sempre insegnato a difendermi da sola. Mi aveva detto varie volte di non rinchiudere il mio cuore in una gabbia, ma allo stesso tempo di non darlo nemmeno in pasto ai leoni affamati di cui era pieno il mondo. Mi ripeteva di amare con tutta me stessa e di farmi amare perchè mi meritavo questo e altro.

In pratica, indirettamente, mi diceva di non essere mia madre.

E io non lo sarei mai stata. Perchè amare è la cosa più naturale che mi riesce e non potrei mai fare a meno dell'amore che i miei amici e la mia famiglia mi dimostrano ogni giorno.

Proprio per tutte queste ragioni oggi sono qui a chiedermi per l'ennesima volta se tutte le parole che Devon mi ripete da ormai un mese a questa parte siano vere. Perchè sì, diamine, è già passato un mese ed io non potrei sentirmi più vuota di così. Perchè l'amore che provo nei confronti di quell'uomo mi rende così vulnerabile e volubile che se decidessi di assecondare i miei istinti in questo momento, questa donna, non sarebbe qui ora. Davanti a me.

"Ci siamo incontrati la sera in cui lui stava festeggiando il compleanno del suo collega Maximilian"

Non conoscevo quell'uomo di presenza, ma lo avevo sentito nominare parecchio da Devon perciò non avevo motivo di ribattere poichè ricordavo perfettamente la sera in cui Max aveva deciso di organizzare un compleanno con i fiocchi. Parole che ho sentito personalmente dalla sua bocca in una chiamata con il mio... con Devon.

"Il tutto era stato organizzato al Metropolitan's Pub, non è così?" mi ha chiesto retoricamente con un sorrisetto come se volesse darmi conferma che quella sera anche lei era là e che era accaduto il peggio.

Non ho risposto. Il mio silenzio, in questo momento, vale più delle parole... o meglio parolacce che vorrei tanto dire.

"Era ubriaco e lo ero anche io così ci siamo divertiti insieme"

Dopo nove anni di relazione con Devon e aver conosciuto la sua famiglia posso affermare con convinzione che Jonathan Wellson, suo padre, è tante cose ma non un bugiardo. Forse un bastardo, un arrogante, un uomo che vuole sempre vincere e che ottiene tutto ciò che vuole, ma non un bugiardo. E lui, quella sera, era presente a quel compleanno e mi aveva confermato tante volte che Devon non aveva toccato nemmeno un goccio di birra perchè avrebbe dovuto guidare. Ed io ne avevo avuto la conferma quando, una volta rincasato, il suo alito era fresco come una rosa e il suo sguardo dannatamente lucido.

Un'ulteriore prova l'ho avuta quando non ha vacillato nemmeno una volta quando mi ha preso tra le sue braccia e mi ha scopata sul pavimento del salotto dove stavo guardando la televisione in attesa del suo arrivo. Potrei associare quel suo accanimento sul mio corpo ad un senso di colpa in seguito ad un suo tradimento, ma conosco Devon come le mie tasche e posso dire che quella sera lui non aveva fatto niente di niente.

Ma questa donna si sta fottendo con le sue stesse mani ed io non posso permettermi di farglielo capire così le faccio cenno di proseguire il racconto.

"Siamo andati al Madison Hotel e abbiamo prenotato una camera. E' stato lì che abbiamo fatto sesso"

I miei studi di psicologia mi hanno permesso di conoscere diversi modi fisici ed emotivi che impediscano ad un potenziale avversario di sopraffarmi o ferirmi (trucchi che ahimè con Devon non sono mai riuscita a mettere in atto, ma sono piuttosto sicura che il tutto sia comprensibile dal momento che sono follemente innamorata di lui). Quindi non siate sopresi se vi confesso che non ho sentito la benchè minima fitta di dolore o gelosia dentro di me. Il tutto seguito dalla consapevolezza che la stronza sta mentendo così spudoratamente che trattenere un sorriso o addirittura uno scoppio di risa esilarante è così difficile che mi sono imposta di ficcarmi le unghia contro la coscia. Gesto che lei ha notato, ma che sicuramente ha associato ad un mio possibile nervosismo che le ha fatto aumentare la soddisfazione che non tenta nemmeno di nascondere, palesandola con un sorrisetto che presto scomparirà.

"E quindi tu sei rimasta incinta di Devon quella sera"

Annuisce accarezzandosi la pancia teatralmente.

Secondo errore: in quel dannato Hotel ci lavora Claire. Lei mi avrebbe detto tutto, ne sono dannatamente certa.

Ma adesso è arrivato il momento di spiegare come io sia arrivata qui, seduta di fronte alla donna che mi sta rovinando la vita.

Mio cognato Dawson non è l'unico ad avere le sue specialità da investigatore professionista. Cosa che, chiariamo subito, io non posseggo affatto. Ma Abigail sì.

Mi era bastato un solo indirizzo e l'avevo trovata. E non ero affatto sopresa quando, dopo essermi messa in macchina, Google maps mi aveva condotta davanti una topaia che non distava molto dalla zona di Madison City piena di locali aperti principalmente ad orari notturni.

Ed eccomi con il culo poggiato su una sedia di legno logora come qualsiasi cosa mi circondi e la puzza di muffa che minaccia di farmi starnutire e di farmi venire una forte emicrania.

"Mi dispiace di aver rovinato la vostra relazione, ma ritenevo giusto che lui sapesse di suo figlio"

Beh, al suono delle sue parole è diventanto ancora più difficile trattenermi dal ridere. Tuttavia la mia espressione non vacilla dimostrando l'impassibilità a cui mi sottopongo per mettere a disagio la persona dinanzi a me.

Sta per dire qualcos'altro quando una musica assordante la interrompe. Tutte le porte delle stanze di quella piccola casa sono aperte, tanne una. E' da lì che proviene la musica.

"Scusa, è la mia sorellastra" afferma la stronza alzandosi.

"Alexis, abbassa quel dannato volume!" aggiunge battendo una mano contro la superificie di legno.

Sentendo quel nome mi blocco, il sangue sembra smettere di fluire nelle mie vene e il mio cuore perde un battito.

Alexis? Quella Alexis? La mia paziente?

No, non è possibile.

Ma quando la porta si spalanca bruscamente la conferma arriva come uno schiaffo in piena faccia.

"Che diavolo vuoi?"

Sì, è proprio Alexis.

E parla perfettamente.

The crazy m̶a̶r̶r̶i̶a̶g̶e̶ coupleWhere stories live. Discover now