Le giornate erano diventate una batosta dopo l'altra. Non c'era mai nulla che Enzo aspettasse con gioia, nulla che lo distrasse o che gli sollevava il morale. Non provava più tutte le emozioni di una volta. Da quando Catia lo aveva lasciato, il suo umore aveva solo due modalità che si davano il cambio e queste erano la tristezza e l'apatia.

La tristezza era la migliore. Quella che lo faceva stare meglio. Quando era triste, Enzo riusciva a piangere e alla fine si cullava nella promessa che il tempo avrebbe cambiato le cose.

L'apatia era la peggiore. Enzo non provava niente, se non noia e fastidio nei propri confronti, ed aveva l'agonizzante convinzione che avrebbe passato così il resto della vita.

A scuola non stava facendo un buon lavoro e questo lo deprimeva ancora di più. Amava insegnare al liceo artistico. Voleva bene ai suoi studenti. Era facile venire assorbito dal turbine di compiti, gite da organizzare, genitori e riunioni con gli altri insegnanti, ma viveva le ore di lezione con il terrore di crollare davanti ai suoi ragazzi. Quel mercoledì di novembre in particolare, dopo aver sognato la sera in cui era stato lasciato, stava davvero giocando col fuoco.

Era la seconda ora ed in 5°F stavano leggendo Leopardi. Enzo stava leggendo Leopardi. La metà dei suoi studenti stava disegnando con il libro di antologia chiuso e gli astucci usati come barriera per nascondersi. Lo spirito volenteroso con cui avevano cominciato l'ultimo anno di scuola era sfumato nei sogni sulle vacanze di Natale, ma Enzo non aveva voglia di rimproverarli.

«A se stesso.» lesse dalla cattedra. «Or poserai per sempre, stanco mio cor. Perì l'inganno estremo, ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento, in noi di cari inganni, non che la speme, il desiderio è spento. Posa per sempre. Assai palpitasti. Non val cosa nessuna i moti tuoi, né di sospiri è degna la terra.»

La gola di Enzo si strinse. Qualche studente alzò lo sguardo dal proprio disegno per vedere perché il prof si era fermato ed Enzo dissimulò le proprie emozioni con un colpo di tosse.

«Per favore, Pietro. Continua tu.»

Pietro era un ragazzo seduto in seconda fila. Era un disastro in storia e faceva spesso scena muta alle interrogazioni, ma la letteratura catturava la sua attenzione. In classe ascoltava sempre, anche quando non sembrava, ed era già capitato che prendesse in prestito dei libri nella biblioteca della scuola senza che nessuno lo obbligasse. Enzo lo riteneva un buon studente, nonostante gli alti e bassi. Per questo gli fece strano, quando venne ignorato.

«Pietro.»

Pietro si alzò ed uscì dall'aula. I suoi compagni iniziarono subito a commentare ed Enzo li mise a tacere, ma si stava facendo le loro stesse domande.

Chiese ad un'altra studentessa di leggere. Quest'ultima non aveva il libro ed Enzo le portò il proprio. Nel farlo passò vicino al banco di Pietro e notò i disegnini lugubri che ricoprivano le pagine del suo quaderno di antologia.

«Da dove devo leggere?» chiese la ragazza.

«Non val cosa nessuna.»

«Non val cosa nessuna i moti tuoi, né di sospiri è degna la terra. Amaro e noia la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. T'acqueta omai. Dispera l'ultima volta. Al gener nostro il fato non donò che il morire. Omai disprezza te, la natura, il brutto poter che, ascoso, a comun danno impera, e l'infinita vanità del tutto.»

«Scusate, ragazzi. Leggete la parafrasi, torno subito.»

Enzo uscì a cercare Pietro. In aula cominciarono tutti a chiacchierare, ma lui non tornò indietro.

Pietro non era dalle macchinette. Non era nemmeno in bagno. Una bidella disse di averlo visto lungo un corridoio ed Enzo attraversò tutti i reparti di architettura, scultura, disegno dal vero e design, prima di trovarlo.

Pietro era seduto sui gradini di una scala che nessuno usava mai. Enzo temeva di beccarlo a fare qualcosa per cui sarebbe stato costretto ad ammonirlo, invece non stava facendo proprio nulla. Guardava il vuoto. Si strappava le pellicine delle unghie. Doveva essere parecchio pensieroso, perché non si accorse dell'arrivo di Enzo, finché lui non parlò.

«Vuoi restare solo?»

Pietro si voltò di scatto. Balzò in piedi e mormorò qualcosa sul tornare subito in classe, ma Enzo gli fece segno di rimettersi comodo. Pietro obbedì, anche se era interdetto. Enzo si sedette di fianco a lui.

«Va tutto bene nell'ultimo periodo?»

«I miei voti non sono calati.»

«No, però sei strano. E silenzioso.»

Pietro non disse nulla. Riprese a torturarsi le dita, ma strappò una pellicina di troppo e cominciò a sanguinare. Gli scappò un piccolo verso di dolore e si mise il dito in bocca. Enzo cercò il pacchetto di fazzoletti che teneva sempre in tasca e Pietro provò a rifiutare, ma poi ne accettò uno.

Quando tutto tornò tranquillo, Enzo parlò di nuovo.

«Io non so cos'hai e capisco di non essere la persona ideale con cui sfogarti, però parlane con qualcuno. Con un amico, un parente o un altro professore, se c'è qualcuno con cui ti trovi meglio. Qui a scuola c'è lo sportello d'ascolto.»

«Sono solo cinque incontri.»

«Potrebbero farti bene. Posso prendere appuntamento io per te, se ti vergogni a farlo.»

Questo catturò l'attenzione di Pietro.

«Davvero?»

«Certo. Non c'è problema.»

Pietro sorrise. Era un sorriso ammaccato, ma era comunque un segno positivo. Enzo si alzò in piedi e si spazzò i pantaloni dallo sporco delle scale.

«Io torno in aula. Resta qui un altro po', se vuoi.»

«No, aspetti. Vengo con lei.»

Pietro raggiunse Enzo e i due tornarono insieme verso l'aula. Enzo poteva ritenersi soddisfatto di come aveva gestito la situazione, finché Pietro non decise di continuare la loro conversazione.

«E lei, prof?»

«Io cosa?»

«Anche lei è strano, ultimamente.»

Enzo sorrise, nervoso.

«È solo una crisi di mezza età.»

«A trent'anni?»

«Adesso arrivano prima. Lo conferma mia madre.»

Pietro grugnì una risata.

I due tornarono dalla 5°F e la lezione su Leopardi riprese come se nulla fosse mai successo. Enzo si sentiva meglio, ma quando suonò la campanella della prima ricreazione i suoi pensieri si infittirono di nuovo.

In aula insegnanti i suoi colleghi chiacchieravano, mangiavano, prendevano il caffè. Enzo si incollò al termosifone e rimase in disparte a mangiare la crostatina triste ed asciutta che si era portato da casa. La sbocconcellò senza avere fame e quando la finì fu costretto a fare ciò che stava rimandando da quando si era svegliato.

Alle sette di quella mattina aveva ricevuto da Catia un audio lungo cinquanta secondi. Era troppo breve per temere che gli rovinasse la vita, ma Enzo aveva imparato a non dare nulla per scontato. Premette play e trattenne il fiato.

«Ciao, Enzo! Scusa se ti faccio un audio, ma sto guidando. Ti volevo confermare che la cena è per le otto. A casa abbiamo tutto, per cui non portare nulla, né vino, né altro! Scrivimi se l'orario va bene, ti aspettiamo!»

Tutto lì. Per il resto dell'audio si sentivano i rumori del traffico e le maledizioni di Catia contro qualche autista incosciente. Enzo lo interruppe e pensò al da farsi.

Spazio Autore:

Stiamo arrivando alla fine della prima metà della storia. Io ho finito di scrivere anche i capitoli finali e sono ufficialmente in fase editing, ma sto avendo molti ripensamenti sul titolo! Il che è un guaio haha, ma se mi conoscete non è la prima volta che capita. Mi è successo sia per Inghiottito dal Mare, Rapito dalla Luna che per The Sleepless King. Di solito è sempre cambiato in meglio, ma scegliere il titolo giusto è una faticaccia... 

Avete consigli?

A mercoledì prossimo!


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